Revocazione: quando si configura un errore di fatto del giudice?

Inammissibile il motivo di revocazione prospettato dall’avvocato che assumeva la commissione di un errore di fatto del giudice circa l’equiparazione tra effetti del condono fiscale e quelli dell’accertamento per adesione, poiché tale errore coinvolge la sfera valutativa del giudice.

Questa la decisione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14588/19, depositata il 28 maggio. Il caso. La Suprema Corte cassava la decisione emessa dalla Corte d’Appello di Torino, che rigettava la richiesta di un avvocato di riliquidare la sua pensione includendo i contributi versati sui maggiori redditi accertati e poi definiti mediante accertamento per adesione. Propone ricorso per revocazione l’avvocato, lamentando un errore di fatto commesso dagli Ermellini per aver fondato la suddetta pronuncia sull’erronea equiparazione tra l’accertamento per adesione ed il condono fiscale. Errore di fatto o errore di diritto? La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, richiamando il principio secondo cui l’errore di fatto utile a costituire motivo di revocazione si delinea come una falsa percezione della realtà, traducendosi in un errore puramente esterno che non coinvolge la sfera valutativa del giudice, non potendo, dunque, configurare vizi che investano il procedimento logico-giuridico di formulazione della decisione. Tuttavia, nel caso concreto, il motivo di revocazione prospettato dal ricorrente coinvolge proprio il giudizio logico-giuridico che ha portato all’emanazione della sentenza impugnata, vertendo sull’equiparazione tra effetti dell’accertamento di adesione e quelli del condono fiscale, rivelandosi, dunque, non ammissibile. Per questo motivo, la Corte non accoglie il ricorso dell’avvocato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 20 febbraio – 28 maggio 2019, n. 14588 Presidente Curzio – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza n. 5380 del 2018, questa Corte di cassazione ha cassato la pronuncia resa dalla Corte di appello di Torino e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda con cui l’avv. G.P.C. aveva chiesto la riliquidazione della propria pensione con l’inclusione, nella relativa base di calcolo, dei contributi versati sui maggiori redditi accertati a seguito della verifica effettuata dai competenti uffici impositivi e definita mediante accertamento per adesione D.Lgs. n. 218 del 1997 ex art. 2, comma 3 che avverso tale pronuncia l’avv. G.P.C. ha proposto ricorso per revocazione, fondato su di un motivo che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha resistito con controricorso che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio che parte ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto che, con l’unico motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia errore di fatto per avere questa Corte basato la propria decisione sulla erronea equiparazione dell’accertamento per adesione al condono fiscale, considerando fittizi i redditi professionali accertati per adesione e ritenendo altresì erroneamente che detto accertamento non costituisse definizione del suo reddito professionale, laddove dal processo verbale di contestazione risultava che l’accertamento in questione aveva avuto ad oggetto esclusivamente l’attività professionale da lui svolta che costituisce orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, ossia una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e si risolve in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività, onde non è configurabile per supposti vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico Cass. n. 8180 del 2009, cui hanno dato seguito numerose successive conformi che, nel caso di specie, il motivo di revocazione - in disparte l’affermazione contenuta a pag. 4 della sentenza impugnata, secondo cui l’accertamento con adesione non costituisce una reale definizione del solo reddito professionale dell’avvocato , che di per sé è priva di alcuna decisività - investe viceversa proprio il giudizio squisitamente logico-giuridico di equiparazione compiuto nella sentenza tra gli effetti del condono e quelli dell’accertamento per adesione, come emerge vieppiù dalle considerazioni svolte a pagg. 8-9 della memoria dep. ex art. 378 c.p.c., di talché si rivela palesemente inammissibile che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.