Il datore non può rifiutare la prestazione del lavoratore, salvo impossibilità oggettiva di riceverla

Il rifiuto unilaterale del datore di lavoro di ricevere la prestazione del dipendente a causa dei disagi provocati da uno sciopero in seguito revocato, non fa venire meno il diritto del lavoratore alla prestazione retributiva, a meno che non sia oggettivamente impossibile l’utilizzazione della stessa, a causa di circostanze non imputabili al datore, imprevedibili e non riferibili a carenze organizzative.

Questo l’epilogo della pronuncia della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14419/19, depositata il 27 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Milano confermava la decisione del Tribunale e condannava un datore di lavoro alla restituzione al proprio dipendente dell’importo trattenuto a titolo di sciopero sulla retribuzione, posto che lo sciopero era stato poi revocato. Il datore di lavoro, dunque, propone ricorso per cassazione, sostenendo come la sentenza impugnata non abbia tenuto conto del presupposto sul quale si fonda la mora del creditore, cioè l’offerta della prestazione del lavoratore. Inoltre, il ricorrente ritiene che la revoca dello sciopero non possa costituire un’implicita offerta della prestazione lavorativa, posto che anche i lavoratori stessi erano consapevoli che non fosse più possibile eseguire la prestazione, dato il tempo ristretto rimasto tra la revoca dello sciopero e il momento in cui era necessario offrire la prestazione. Il rifiuto del datore di lavoro di ricevere la prestazione. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, richiamando un orientamento costante in base al quale il datore di lavoro non può ridurre ovvero sospendere unilateralmente l’attività lavorativa, rifiutando, dunque, di corrispondere la retribuzione dovuta, poiché incorrerebbe in un inadempimento di stampo contrattuale. Tale inadempimento si configura qualora la prestazione lavorativa sia impedita dalla volontà unilaterale del datore di lavoro, e non sia il frutto di una omissione da parte del dipendente. A ciò deve aggiungersi che solo nel caso in cui vengano ad esistenza le due condizioni della impossibilità della prestazione di lavoro da parte del lavoratore e della impossibilità di qualsiasi altra prestazione equivalente, può giustificarsi il rifiuto del datore di lavoro di ricevere la prestazione. Chiarito ciò, gli Ermellini affermano che il dipendente sospeso” non è tenuto a provare d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro e quindi del rifiuto datoriale di ricevere la prestazione [] il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla prestazione retributiva . Nel caso di specie, la Corte riscontra una condizione di mora accipiendi del datore di lavoro, per non aver dato alcuna dimostrazione circa l’impossibilità oggettiva di utilizzare la prestazione rifiutata. Svolte le sopraesposte considerazioni, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 6 marzo – 27 maggio 2019, n. 14419 Presidente Tria – Relatore Ponterio Rilevato in fatto che 1. con sentenza n. 952 pubblicata il 17.10.16 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello della Fondazione Teatro alla Scala, confermando la decisione di primo grado che aveva condannato la Fondazione a restituire al dipendente P.M. l’importo, pari a 2,5 giornate, trattenuto sulla retribuzione di agosto a titolo di sciopero 2. la Corte territoriale, premesso che il datore di lavoro non possa rifiutare la prestazione offerta dal lavoratore, a meno che non sia oggettivamente impossibile l’utilizzazione della stessa, ha ritenuto come la Fondazione non avesse dimostrato l’impossibilità oggettiva di utilizzare la prestazione del sig. P. nei giorni dal omissis , fissati per la turnèe a , annullata a causa dello sciopero proclamato dalle organizzazioni sindacali e poi revocato ha precisato come, a fronte della revoca dello sciopero in data 17.7.10, nel rispetto dei termini previsti dalla contrattazione collettiva, la Fondazione non avesse dimostrato che l’annullamento della turnèe fosse inevitabile per impossibilità di allestire lo spettacolo a Pompei, avendo articolato sul punto un unico generico capitolo di prova testimoniale n. 6 che, inoltre, la Fondazione neppure aveva comprovato l’impossibilità di adibire in quei giorni il sig. P. alle prove di scena e di sala presso il teatro 3. avverso tale sentenza la Fondazione Teatro della Scala ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso il lavoratore 4. entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c Considerato in diritto che 5. con l’unico motivo di ricorso la Fondazione Teatro alla Scala ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 1206, 1175, 1181, 1197, 1218, 2104 e 2106 c.c., e dell’art. 41 Cost. 6. ha sostenuto come presupposto per configurare la mora del creditore sia l’offerta della prestazione da parte del lavoratore, e come la sentenza impugnata non recasse alcun riferimento a tale elemento ha escluso che la revoca dello sciopero in data ravvicinata a quella del primo spettacolo potesse costituire implicita offerta della prestazione, essendo gli stessi lavoratori consapevoli dell’impossibilità di organizzare la trasferta e lo spettacolo a Pompei in tempi così ristretti 7. ha ulteriormente argomentato l’erronea applicazione delle norme in materia di mora accipiendi per l’oggettiva impossibilità della Fondazione di ricevere la prestazione a causa dell’annullamento della turnèe, decisa unitamente al omissis , anche al fine legittimo di limitare i possibili danni economici in caso di sciopero, e comunque nell’esercizio della libertà riconosciuta dall’art. 41 Cost. la revoca dello sciopero, seppure intervenuta nel rispetto dei termini previsti dalla contrattazione collettiva, era comunque successiva alla data del omissis , oltre cui sarebbe stato impossibile organizzare la trasferta e lo spettacolo, come più volte comunicato alle organizzazioni sindacali 8. ha ribadito l’impossibilità di impiegare il lavoratore nelle prove di scena e di sala, programmate con cadenza mensile, quindicinale o al più settimanale, e non con un intervallo di due giorni lavorativi 9. il motivo di ricorso non può trovare accoglimento 10. la sentenza impugnata si è attenuta ai principi affermati da questa Corte con orientamento costante secondo cui il datore di lavoro non può unilateralmente ridurre, sospendere l’attività lavorativa e, specularmente, rifiutare di corrispondere la retribuzione, perché se lo fa incorre in un inadempimento contrattuale, previsto in generale dalla disciplina delle obbligazioni corrispettive, secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente nella specie il datore di lavoro soltanto se l’altra parte il lavoratore ometta di effettuare la prestazione dovuta, ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova a carico del medesimo della impossibilità sopravvenuta, Cass. n. 7300 del 2004 in motivazione nello stesso senso Cass., S.U., n. 14381 del 2002 Cass. n. 5101 del 2002 n. 13742 del 2000 n. 11263 del 1998 11. si è ulteriormente precisato Cass. n. 15372 del 2004 come, in base agli artt. 1218 e 1256 c.c., la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata, ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. La legittimità della sospensione va verificata in riferimento all’allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa solo ricorrendo il duplice profilo dell’impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell’impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla 12. le pronunce richiamate hanno anche chiarito che il dipendente sospeso non è tenuto a provare d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro e quindi del rifiuto datoriale di ricevere la prestazione, che realizza un’ipotesi di mora credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla prestazione retributiva Cass. n. 13742 del 2000 n. 11650 del 1997 13. nel caso in esame, la Corte d’appello, con accertamento in fatto non censurabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto sussistente una condizione di mora accipiendi per avere la Fondazione rifiutato la prestazione del dipendente senza dimostrare l’impossibilità di utilizzare la stessa sia nella turnèe di , non risultando comprovato l’inevitabile annullamento della stessa nonostante la revoca dello sciopero nei termini previsti dalla contrattazione collettiva, sia nelle prove di scena e di sala presso il teatro 14. le censure oggetto del ricorso in esame, seppure veicolate attraverso il vizio di violazione di legge, in realtà investono il merito della controversia, e specificamente la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito quanto alla impossibilità datoriale di ricevere la prestazione nei giorni originariamente destinati alla turnèe poi annullata tali censure sono, come tali, inammissibili in ragione della disciplina di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, sulla c.d. doppia conforme, applicabile ratione temporis ricorso in appello risalente al 2013 15. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile 16. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo 17. si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.