Accoglie una donna in difficoltà in locali in disuso: licenziato

Inutile il ricorso proposto da un ex capostazione. Definitivo il suo licenziamento. Fatale la decisione di avere dato ospitalità, di nascosto, per qualche notte a una donna straniera in alcuni locali in disuso all’interno della stazione. L’intento umanitario del lavoratore non rende meno grave, secondo i Giudici, la condotta, catalogata come indebito utilizzo di beni aziendali.

Cara può costare l’umana solidarietà, finanche un posto di lavoro. A sperimentarlo sulla propria pelle un capostazione – oramai ex –, finito sotto accusa perché beccato a far pernottare di nascosto una donna straniera in alcuni locali abbandonati della stazione ferroviaria. Quella condotta, pur avendo, secondo il lavoratore, un intento caritatevole, è ritenuta comunque sufficiente dai giudici per dare solidità al licenziamento deciso dall’azienda Cassazione, ordinanza n. 13420/2019, Sezione Lavoro, depositata il 17 maggio 2019 . Pernottamento. L’episodio incriminato risale all’ottobre del 2013 e si verifica nel contesto della stazione di Agrigento. Lì un dipendente, inquadrato come capostazione, finisce nel mirino del datore di lavoro – ‘Reti Ferroviarie Italiane’ – perché ha consentito l’indebito accesso e il pernottamento a una donna nei locali dell’ex dirigenza centrale operativa, siti all’interno della stazione e in disuso dal 2011 . Quel comportamento viene censurato dall’azienda e ritenuto talmente grave da giustificare il licenziamento del lavoratore, accusato di avere esposto la società anche a gravi rischi sotto il profilo della responsabilità civile . L’uomo spiega di avere agito così per ragioni umanitarie, per dare assistenza a una persona in forte difficoltà, e questa ricostruzione convince i giudici di merito ad annullare il licenziamento. Tale decisione è però messa in discussione nel 2017 dalla Cassazione, che riaffida la questione alla Corte d’appello, dove i giudici, sempre nel 2017, danno ragione all’azienda, ritenendo grave il comportamento tenuto dal lavoratore. Intento . Chiara la visione tracciata dai giudici di secondo grado nel processo bis sul licenziamento. In sostanza, essi parlano di particolare gravità con riferimento alla condotta del dipendente , condotta consistita nell’ indebito utilizzo dei beni aziendali . In questa ottica vengono sottolineati il ruolo ricoperto dal lavoratore e i pregiudizi e le responsabilità cui aveva esposto la società . A fronte di questo quadro è considerato irrilevante l’intento caritatevole e umanitario richiamato dal lavoratore per giustificare la scelta di dare un tetto sopra la testa alla donna straniera. Anzi, a questo proposito, i giudici osservano che il lavoratore poteva diversamente intervenire per assicurare un ricovero provvisorio durante la notte alla donna e poteva anche contribuire eventualmente con un personale aiuto economico . Il quadro tracciato in Appello inchioda l’ex capostazione alle proprie responsabilità. E inutile si rivela ora il ricorso in Cassazione, ritenuto inammissibile dai giudici del ‘Palazzaccio’ e quindi non in grado di mettere in discussione le valutazioni compiute sulle azioni da lui compiute, ritenute gravi perché catalogate come indebito utilizzo di beni aziendali .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 febbraio – 17 maggio 2019, n. 13420 Presidente Balestrieri – Relatore Marchese Fatto Rilevato che la Corte di Appello di Palermo, decidendo su rinvio da Cass. nr. 2821 del 2017, in riforma della sentenza nr. 22 del 2010 del Tribunale di Agrigento, rigettava la domanda di impugnativa del licenziamento proposta da Or. Gu. nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. per quanto rileva in questa sede, al lavoratore veniva contestato di aver consentito, nella qualità di Capo Stazione, l'indebito accesso ed il pernottamento nei locali dell'ex dirigenza centrale operativa di Agrigento, siti all'interno della stazione centrale di detta città ed in disuso dal 2011, a persona estranea alla società, dalla sera del 16 ottobre alla mattina del 18 ottobre 2013, con ciò esponendo l'azienda anche a gravi rischi sotto il profilo della responsabilità civile di aver rilasciato, in data 5 novembre 2013, in merito a tali fatti, dichiarazioni non corrispondenti al vero ostacolando gli accertamenti interni condotti dall'azienda e di aver abbandonato il posto di lavoro, sia la sera del 16 ottobre per circa 15 minuti che la mattina seguente per altrettanti 10/15 minuti , senza timbrare né l’ uscita, né l'entrata ed attestando falsamente la sua presenza continuativa in ufficio la Corte territoriale osservava come i fatti descritti risultassero pacifici, sul piano oggettivo, sia singolarmente sia nella loro concatenazione spazio temporale quanto al profilo soggettivo, la Corte di merito escludeva che l'intento umanitario e caritatevole opposto dal lavoratore rappresentasse una scriminante, potendo il ricorrente diversamente intervenire contribuendo eventualmente con un personale aiuto economico ad assicurare un ricovero provvisorio durante la notte in aiuto della predetta persona in ogni caso, poi, tale esigenza id est di intervento a fronte di un pericolo imminente o di una situazione di urgenza era da escludere in relazione alla ospitalità offerta per la seconda notte la condotta del dipendente di indebito utilizzo dei beni aziendali era di particolare gravità, in ragione del ruolo ricoperto dal lavoratore, di capo stazione, e dei pregiudizi e responsabilità cui aveva esposto l'azienda, anche connessi ad eventuali danni patiti dall'ospite, a cui si aggiungeva, sia pure per frazioni limitate, la condotta di sottrazione allo svolgimento dei propri compiti ha proposto ricorso per cassazione, il lavoratore, affidato a due motivi con il primo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. - è dedotta violazione dell'art. 116 cod. proc.civ. con il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. - è dedotta violazione dell'art. 112 cod.proc.civ. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, Rete Ferroviaria Italiana Spa Diritto Considerato che il ricorso è inammissibile la violazione dell'art. 116 cod.proc.civ. di cui al primo motivo non è conferente con le censure sviluppate nel primo motivo che, nel complesso, mirano ad una diversa valutazione degli elementi di causa, non consentita in questa sede di legittimità il ricorrente incorre nell'equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione della norma di legge processuale dipenda o sia ad ogni modo dimostrata dall'erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, una questione di malgoverno dell' art 116 cod. proc. civ., può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione Cass. 27.12.2016, nr. 27000 nel caso in esame, il giudice d'appello non è affatto incorso nelle denunciata violazione semplicemente ha valutato le circostanze di causa in modo diverso da quanto auspicato dalla parte ricorrente la violazione dell'art. 112 cod.proc.civ., oggetto del secondo motivo, non soddisfa, invece, gli oneri di deduzione e di specificazione di cui agli artt. 366 nr. 6 e 369 nr. 4 cod. proc.civ. il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per non aver valutato la domanda subordinata di illegittimità del licenziamento per vizi formali del procedimento disciplinare e, tuttavia, prospetta la censura in modo generico, con esclusivo riferimento alla richiesta, in tal senso formulata, nel ricorso in riassunzione parte ricorrente avrebbe dovuto, invece, trascrivere quanto meno nei passaggi significativi - e quindi indicarne la sede processuale di rinvenimento - tutti gli atti difensivi sin dal ricorso introduttivo di primo grado in cui sollevava la questione e/o la riproponeva, anche riportando, negli stessi termini, le statuizioni al riguardo assunte non può venire in soccorso la qualificazione giuridica del vizio di legittimità come error in judicando de jure procedendi in relazione al quale la Corte è anche giudice del fatto , potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito, dovendo distinguersi, anche nell'ambito del vizio di legittimità attinente l'attività processuale ex art. 360, comma 1, n. 4 , cod.proc.civ., la fase di ammissibilità da quella, cronologicamente successiva, relativa alla fondatezza della censura per accedere a quest'ultima è indispensabile che il corrispondente motivo presenti tutti i requisiti di ammissibilità e contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale v. Cass., sez.un., nr. 8077 del 2012 tra le sezioni semplici, ex plurimis, Cass. nr. 896 del 2014 che, per quanto innanzi osservato, risultano omessi nell'ipotesi di causa le spese si liquidano come in dispositivo secondo soccombenza occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, comma 17, legge nr. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. nr. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.