Missione all’estero: le perplessità messe per iscritto dal dirigente non giustificano il licenziamento

Impossibile, checché ne dica l’azienda, addebitare al lavoratore un comportamento ostruzionistico. Egli ha solo comunicato con una missiva ad alcuni superiori le difficoltà incontrate nell’organizzazione della trasferta e le perplessità sul generico incarico affidatogli.

I conflitti di vecchia data con l’azienda giustificano la sfiducia del dipendente di vertice a fronte del nuovo incarico. Legittime, quindi, le sue perplessità, che non sono catalogabili come vero e proprio ostruzionismo. Impossibile, perciò, ritenere comprensibile il licenziamento deciso dalla società datrice di lavoro. Cassazione, sentenza n. 11539/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Incarico. Terreno di scontro è la missione all’estero – in Ungheria, per la precisione – affidata dall’azienda a un suo dirigente. Questo incarico viene mal digerito dal lavoratore, che esprime le proprie perplessità in una missiva indirizzata a cinque superiori, e che, secondo l’azienda, rende complicato lo svolgimento dell’incarico affidatogli. Conseguenziale, a parere dei vertici della società, è la rottura definitiva del rapporto di lavoro col dipendente, che, per la cronaca, è ‘quadro direttivo’. Questa decisione viene contestata dal dipendente e viene ritenuta abnorme dai giudici, che, prima in Tribunale e poi in appello, condannano l’azienda. In sostanza, per i magistrati il lavoratore sotto accusa ha solo espresso le proprie perplessità per la missione in Ungheria, perplessità giustificate anche dal fatto che l’azienda gli ha affidato un incarico con scarsa definizione del preciso oggetto, in assenza di preliminari colloqui con il dipendente, diretti a chiarire le sue mansioni . E a questo proposito viene anche rilevato, tra l’altro, che nulla era stato chiarito sui tempi di consegna del progetto da parte del dirigente in missione. Difficoltà. Inutile si rivela ora l’ulteriore ricorso proposto in Cassazione dai legali dell’azienda. Anche per i Giudici del Palazzaccio, difatti, è evidente la illegittimità del licenziamento subito dal dirigente. Decisiva la constatazione, già compiuta tra primo e secondo grado, del comportamento corretto tenuto dal lavoratore, il quale si è limitato a mettere per iscritto le difficoltà ad assumere l’incarico propostogli , anche tenendo presente il lungo tempo di demansionamento subito , e a fornire una descrizione dei problemi concreti avuti nell’organizzare in breve tempo la trasferta ungherese . Respinta, poi, anche l’ipotesi di una condotta inefficiente del dirigente. Su questo fronte i giudici spiegano che non può ritenersi inadeguato lo studio progettuale presentato dal dipendente appena un mese dopo la comunicazione fattagli dall’azienda sulla missione all’estero, comunicazione che, per giunta, non delineava un programma di lavoro opportunamente dettagliato .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 gennaio – 2 maggio 2019, numero 11539 Presidente Manna – Relatore Curcio Fatti di causa Con sentenza del 27.04.2017 la corte d'Appello di Milano ha respinto il gravame presentato da ENI spa avverso la sentenza del tribunale di Milano che, accogliendo la domanda di Enumero Le., quadro direttivo della società, aveva escluso la sussistenza dei fatti contestatigli con lettera del 21.9.2011 ed accertato l'illegittimità del licenziamento disciplinare comminatogli dalla società in data 4.10.2011, con ordine di reintegrazione e con condanna al risarcimento del danno. Anche per la corte di merito gli addebiti rivolti al Le. consistenti a nell'invio di una polemica ed irrispettosa lettera a cinque superiori prima della formalizzazione dell'incarico poi affidatogli per un progetto da sviluppare in Ungheria, b nell'aver frapposto svariate difficoltà di ordine personale e professionale durante l'intero corso della missione e nell'aver presentato in ritardo un testo progettuale del tutto carente, c nella recidiva in cui il dipendente era incorso per la sanzione della sospensione di 8 giorni irrogatagli nel 2011 -, non potevano ritenersi sussistenti, tanto in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, quanto in termini di giustificato motivo oggettivo, pure eccepito in via subordinata dalla datrice di lavoro. In particolare secondo la sentenza impugnata non potevano rinvenirsi nella lettera inviata ai superiori in data 26.7.2011 dal Le. espressioni sgarbate o offensive nei confronti dei dirigenti destinatari, atteso che tale comunicazione conteneva essenzialmente perplessità in merito al nuovo incarico affidatogli consistente nell'organizzazione in Ungheria di un progetto di cross selling con la società ungherese di distribuzione di gas, Tigaz, avente ad oggetto l'implementazione di servizi contrattuali offerti dall'ENI all'utenza, nell'ambito degli insediamenti pubblici connessi alla commercializzazione del gas. La corte territoriale ha poi rilevato che scetticismo e ostilità aveva espresso la società anche nei primi giorni di avvio della missione del Le. in Ungheria, impartendo un incarico con scarsa definizione del preciso oggetto, in assenza di preliminari colloqui con il dipendente diretti a chiarire le sue mansioni. Per la corte di merito vi era stata da parte aziendale una condotta non improntata a correttezza e buona fede, che si era concretizzata a nella tardiva reprimenda a fini disciplinari fatta al Le. per la lettera da lui inviata ai superiori in data 26.7.2011 b nel non aver considerato che, sin dal 11.8.2011, il dipendente aveva inviato al suo diretto superiore Fontana un draft bozza preliminare del suo studio poi seguito dalla versione più approfondita e completa del 31.8.2011. Per la corte insussistente doveva inoltre ritenersi l'addebito di tardività del deposito di tale progetto, in assenza di una scansione dettagliata, rigida ed ineludibile imposta dalla datrice di lavoro per detto deposito. Come anche andava tenuto in conto che l'addebito disciplinare, contestato come recidiva, era stato posto nel nulla dalla sentenza del tribunale di Milano del 4.10.2011. Inoltre andava escluso il disvalore disciplinare degli addebiti, atteso che/era stata in realtà ascritta al Le. una scadente qualità dell'elaborato ossia del progetto-, senza svolgere alcuna puntualizzazione quanto agli errori tecnici, documentali e formali contestati che risultavano ridursi in concreto a mancanza di impaginazione e di titoli giusti, all' uso di un programma informatico piuttosto che un altro . Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione ENI spa affidato ad un solo articolato motivo, a cui ha resistito il Le. con controricorso. Sono state depositate memorie ai sensii dell'articolo 378 c.p.c. Ragioni della decisione Con l'unico motivo di appello Eni spa deduce la violazione dell'articolo 2119 c.c. e dell'articolo 3 legge numero 604/1966 in relazione all'articolo 360 c.1 numero 3 c.p.c. Avrebbe errato la corte nel considerare atomisticamente i fatti contestati al Le., così contravvenendo ad un pacifico orientamento di questa corte, secondo cui non è necessario ravvisare la giusta causa solo nel complesso inscindibile dei fatti addebitati, pur dovendo questi essere valutati nella loro concatenazione, ma potendo ravvisare il giudice anche soltanto in alcuni di tali fatti il carattere di gravità lesiva del vincolo fiduciario. Ha errato quindi la sentenza impugnata che ha parcellizzato i fatti addebitati i quali, come si deduce dalla lettera di contestazione ed anche dalla corrispondenza intercorsa tra il dipendente e i dirigenti, sarebbero invece strettamente correlati. La corte avrebbe così svalutato la portata degli addebiti, tra loro concatenati, che denotavano un persistente ostruzionismo e la non volontà di rendersi collaborativo, mentre dalle mail intercorse tra le parti si evinceva che l'incarico era in linea con il suo inquadramento e con le pregresse esperienze maturate. Il motivo non merita accoglimento. Diversamente da quanto denunciato dalla ricorrente società, la sentenza impugnata non ha effettuato una parcellizzazione dei vari addebiti mossi al ricorrente, così da sottrarsi ad una valutazione necessariamente anche complessiva della loro rilevanza disciplinare. Deve invero preliminarmente rilevarsi che nell'ipotesi in cui il licenziamento per giusta causa venga intimato a fronte di più condotte inadempienti addebitate, non necessariamente l'esistenza della giusta causa deve essere ritenuta solo con riferimento al complesso dei fatti contestati, potendo ciascuno di essi essere idoneo a giustificare la massima sanzione espulsiva cfr. tra le tante Cass. numero 1062/2012, Cass numero 12195/2014 . E allo stesso tempo il giudice, sebbene debba esaminare le condotte contestate non atomisticamente ma con riferimento anche alla concatenazione tra tutte, ha altresì l'obbligo di valutare la valenza disciplinare di ogni singola inadempienza, sia pure nel contesto complessivo della contestazione. Tale operazione ha effettuato la corte di merito, esaminando, come era suo onere, i vari comportamenti addebitati al Le., ma poi valutandoli nel contesto consequenziale di cui alla lettera di contestazione. Così in relazione all'addebito prima indicato al punto a la corte ha escluso che la lettera inviata ai superiori contenesse espressioni irriverenti e confidenziali nei confronti dei superiori, trattandosi di una comunicazione sulle difficoltà ad assumere l'incarico proposto, stante il lungo tempo di demansionamento subito. In relazione all'addebito di cui al punto b la corte di merito ha escluso un intento ostruzionistico contenuto nella lettera del 1.8.2011 del lavoratore, trattandosi di una descrizione delle difficoltà concrete avute nell'organizzare in breve tempo la trasferta ungherese e che infine non poteva ritenersi insufficiente e inadeguato lo studio progettuale presentato dal Le. il 31. 8. 2011, atteso che la comunicazione del 29.7.2011 della società non delineava un programma di lavoro opportunamente dettagliato. Non ha poi mancato la corte di rilevare che gli addebiti si erano attestati anche su contestazioni di carattere del tutto formale, quali ad esempio le osservazioni sulla veste grafica della relazione, giungendo conclusivamente a ritenere che i comportamenti contestati non avessero alcun carattere di grave inadempimento, non mancando di evidenziare altresì gli antefatti processuali relativi a procedimenti precedenti il primo passato in giudicato che avevano accertato la dequalificazione a cui era stato sottoposto il Le. sin dal 2003, ritenendo che tale antefatto giustificasse l'atteggiamento sfiducia del dipendente. Ebbene, le doglianze della società in realtà non si concretizzano in rilievi attinenti ad un'erronea ricognizione, da parte della sentenza impugnata, della fattispecie astratta di cui all'articolo 2019 ecc., in termini di un'erronea applicazione di detta norma attinente ad un'errata e contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta. Nel caso in esame la società ricorrente finisce per dedurre un'errata applicazione della legge, ma esclusivamente in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa, emergenti in particolare dal contenuto della documentazione versata in giudizio, costituita dalle numerose comunicazioni intercorse tra il Le. e i suoi superiori, dalle relazioni e dalle mail redatte dal dipendente ed inviate alla società. La società ricorrente richiede pertanto una nuova valutazione del merito che in questa sede è preclusa. Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna della società, soccombente, alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater D.P.R. numero 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.