La Suprema Corte sull’omessa valutazione di documenti decisivi ai fini della decisione

L’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

Così dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 11187/19, depositata il 23 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Brescia dichiarava inammissibile il gravame proposto dall’amministratore unico di una s.r.l. avverso la decisione del Tribunale che ne aveva respinto l’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla direzione provinciale del lavoro con cui erano accertate violazioni non sanabili nei confronti di due lavoratori. Così il datore di lavoro ricorre in Cassazione. Gli estremi dell’impugnazione. Preliminarmente occorre affermare che il ricorso è stato notificato alla direzione provinciale del lavoro presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia e che l’amministrazione è rimasta intimata. Tale notifica però è nulla posto che, secondo consolidato principio giurisprudenziale, in caso di notificazione del ricorso per cassazione affetta da nullità perché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato e non presso l’Avvocatura generale dello Stato, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notificazione che ha l’effetto di sanare tale nullità impedendo la decadenza della impugnazione. Premesso ciò, deve osservarsi che, nel caso in esame, le affermazioni relative all’attività di sanatoria quale esercizio della facoltà riconosciuta dalla legge sono state indicate dalla Corte come proposizioni difensive già avanzate in primo grado negli stessi termini, non reiterabili nel giudizio del gravame. Ciò infatti si porrebbe in contrasto con il principio secondo cui l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Per tali motivi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 6 marzo – 23 aprile 2019, n. 11187 Presidente Tria - Relatore Arienzo Rilevato in fatto che 1. la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 26.9.2013, dichiarava inammissibile il gravame proposto da P.A.G. , in proprio e nella qualità di amministratore unico della s.r.l. Logikal, avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo che ne aveva respinto l’opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22, avverso l’ordinanza ingiunzione n. 576/09 emessa dalla Direzione Provinciale del lavoro di Bergamo, con la quale erano state accertate violazioni non sanabili consistenti nell’avere adibito al lavoro L.B. nel periodo dall’1.10.2007 al 15.1.2008, nel non avere concesso allo stesso lavoratore ed al collega B.M.M. i periodi di riposo prescritti dalla legge e nel non avere consegnato a quest’ultimo i prospetti paga all’atto della corresponsione della retribuzione 2. il Tribunale, ritenuto che l’unica contestazione avanzata era quella di cui alla prima violazione e che le altre dovevano ritenersi come ammesse, aveva desunto la prova dell’inizio del rapporto di lavoro dalla regolarizzazione effettuata dal datore di lavoro al fine di ottemperare alla diffida D.Lgs. n. 124 del 2004, ex art. 13 3. la Corte di Brescia rilevava, a sostegno della inammissibilità del gravame, che il testo dell’art. 434 c.p.c., comma 1, sostituito dal decreto L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, ratione temporis applicabile alla fattispecie, imponeva l’indicazione sia delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice, sia delle circostanze rilevanti da cui derivava la violazione delle normative rilevanti ai fini della decisione in particolare, l’appellante si era limitato a ribadire quanto aveva già dedotto in primo grado con riguardo ai motivi per i quali aveva provveduto alla retrodatazione del rapporto di lavoro, con argomentazione difensiva già esaminata dalla sentenza di primo grado rispetto alla quale nessuna censura era mossa nell’atto di appello la doglianza circa la mancata applicazione della disciplina più favorevole introdotta con riguardo alla maxi sanzione della L. n. 183 del 2010, era ritenuta ugualmente inammissibile, in quanto non censurata la ratio decidendi fondata sull’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui in materia di sanzioni amministrative pecuniarie non era applicabile il principio di retroattività della legge più favorevole, valido soltanto per le infrazioni valutarie e tributarie 4. non si censurava specificamente, secondo il giudice del gravame, ogni altra motivazione adottata dal Tribunale per escludere la possibilità di applicazione della sanzione in misura ridotta o dell’estinzione del procedimento 5. di tale decisione domanda la cassazione P.A.G. , affidando l’impugnazione a due motivi la Direzione Provinciale del Lavoro di Bergamo è rimasta intimata. Considerato in diritto che 1. con il primo motivo si denunziano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, omessa valutazione di circostanze e documenti decisivi ai fini della decisione, omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione del diritto di difesa del ricorrente ex art. 24 Cost., osservandosi che il tenore dell’atto di impugnazione - trascritto solo per alcuni passaggi - era tale per cui dallo stesso dovesse desumersi che il ricorrente aveva compiutamente e specificatamente indicato le modifiche alla ricostruzione del fatto operata dal giudice di prime cure, per avere evidenziato come, all’atto dell’accesso ispettivo, il lavoratore L. era regolarmente assunto presso la Logikal e ne era stata ritenuta l’assunzione dal 16.1.2008 e l’assunzione a nero per il periodo dal 1.10.2007, senza che fosse indicata alcuna documentazione a conforto di tale retrodatazione si sostiene, poi, che nell’atto di appello era stato rilevato come non potesse essere utilizzata la retrodatazione del rapporto effettuata da Logikal al solo esclusivo fine di evitare inutili e costose opposizioni 2. con il secondo motivo, si ascrivono alla sentenza impugnata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, della L. n. 183 del 2010, e del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, nella parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto inammissibile la doglianza della mancata applicazione della disciplina più favorevole, e quella incentrata sulla dedotta violazione del principio della retroattività della disciplina più favorevole in materia di sanzioni amministrative 3. preliminarmente deve essere rilevato che il ricorso è stato notificato alla Direzione Provinciale del Lavoro di Bergamo presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia e che l’amministrazione è rimasta intimata 4. tale notifica è nulla, atteso che questa Corte ha affermato il principio per cui in caso di notificazione del ricorso per cassazione affetta da nullità perché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notificazione che - senza che sia necessario il rilascio di una nuova procura - ha l’effetto di sanare tale nullità impedendo la decadenza dall’impugnazione cfr. Cass. SS.UU. n. 22079 del 2014 conf. Cass. n. 608 del 2015, confermative di orientamento già affermato da Cass., S.U., n. 4573 del 1998 Cass. n. 15602 del 2006 Cass. n. 9411 del 2011 Cass. n. 22767 del 2013 . 5. tuttavia, deve richiamarsi il principio, pure affermato da questa Corte, ispirato all’esigenza di conformazione degli istituti processuali alla garanzia della ragionevole durata del processo, in base al quale si esclude che debba procedersi alla rinnovazione della notificazione o agli altri adempimenti di cui al citato art. 375 c.p.c., n. 2 , tutte le volte in cui il ricorso si appalesi, prima facie, inammissibile o manifestamente infondato, sia nelle ipotesi in cui si debba procedere alla integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, sia nel caso in cui la notifica del ricorso sia nulla e potrebbe quindi farsi applicazione dell’art. 291 c.p.c. cfr. Cass. 13.12.2018 n. 32331, Cass. 23.3.2018 n. 7305, con richiamo alle predenti, Cass. n. 2723 del 2010 Cass. SS.UU., n. 6826 del 2010 Cass. n. 15106 del 2013, concernente una ipotesi di notificazione nulla oltre che Cass. SS.UU. n. 22079/2014 cit. 6. tanto premesso, deve osservarsi, quanto al primo motivo, che in realtà le affermazioni relative all’attività di sanatoria quale esercizio della facoltà riconosciuta alla società dalla legge e dalla stessa controparte ed all’impossibilità di ritenere la stessa quale ammissione degli addebiti sono state indicate dalla Corte come proposizioni difensive già avanzate negli stessi termini in primo grado, non reiterabili allo stesso modo nel giudizio di gravame senza contrapporre alla decisione del Tribunale idonei motivi di censura 7. ciò si pone in contrasto con i principi sanciti da Cass. s.u. 16.11.2017 n. 27199, Cass. 30.5.2018 n. 13535, e, precedentemente da Cass. 5.2.2015 n. 2143, Cass. 14.9.2017 n. 21366, secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, pur non occorrendo l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata 8. anche relativamente alle questioni poste con il secondo motivo, la sentenza impugnata precisa che nessuna critica era stata mossa dall’appellante all’affermazione del Tribunale secondo cui in materia di sanzioni amministrative pecuniarie non si applicava il principio di retroattività della normativa più favorevole, previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, soltanto per infrazioni valutarie e tributarie 9. il riferimento alla possibilità di applicare, in ogni caso, la L. n. 183 del 2010, vigente al momento dell’emissione della sanzione costituisce novum, a prescindere dalla considerazione che la normativa applicabile va individuata con riferimento al momento della commissione dei fatti contestati e non a quello dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione 10. un avallo alla validità dei principi affermati deve rinvenirsi in C. Cost. 193/2016, secondo cui, esclusa, nel quadro delle garanzie l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata del principio di retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative, La scelta legislativa dell’applicabilità della lex mitior limitatamente ad alcuni settori dell’ordinamento non può poi ritenersi in sé irragionevole. La qualificazione degli illeciti amministrativi, espressiva della discrezionalità legislativa, si riflette sulla natura contingente e storicamente connotata dei relativi precetti, sicché risulta sistematicamente giustificata la pretesa di potenziare l’effetto preventivo e dissuasivo della comminatoria, eliminando per il trasgressore ogni aspettativa di evitare la sanzione grazie a possibili mutamenti legislativi. Il limitato riconoscimento della retroattività in mitius risponde a scelte discrezionali di politica legislativa, modulate in funzione della natura degli interessi tutelati e sindacabili solo laddove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio 11. il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in forza delle esposte considerazioni 12. nulla va statuito sulle spese, in difetto di attività difensiva dell’intimata 13. occorre, tuttavia, dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, in quanto il ricorso per cassazione risulta proposto in data successiva al 30 gennaio 2013. P.Q.M. la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R