Se il termine è nullo, il rapporto è a tempo indeterminato sin dalla sua origine

La conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato opera con effetto ex tunc dalla illegittima apposizione del termine al contratto, mentre l’indennità di cui all’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la riammissione in servizio.

A ribadirlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 8385 depositata il 23 marzo 2019. Il caso. Un lavoratore ricorreva al Giudice del lavoro di Venezia lamentando di essere stato assunto a tempo determinato dal gennaio 2011 al gennaio 2012, venendo poi illegittimamente licenziato nell’agosto 2011. In ragione di ciò, richiedeva l’accertamento della nullità del termine apposto al suo contratto e della illegittimità del licenziamento, con le conseguenze di cui all’art. 18 Stat. lav. Il Tribunale accoglieva integralmente le domande del lavoratore. La Corte di Appello di Venezia invece, riformando la pronuncia di primo grado, riteneva che le conseguenze applicabili ad un recesso illegittimo da un contratto a termine che solo ex post, in sede giudiziaria, viene dichiarato a tempo indeterminato consistessero nelle retribuzioni maturate dalla data del recesso sino alla scadenza naturale del contratto mentre, venendo alla conversione del rapporto derivante dalla accertata nullità del termine, riteneva applicabile la tutela forfetizzata di cui all’art. 32 l. n. 183/2010 c.d. Collegato lavoro . Alla luce di tali valutazioni la Corte di merito, pur condividendo il giudizio di prime cure sulla illegittimità sia del termine apposto al contratto che del licenziamento, condannava il datore di lavoro alla riammissione in servizio del ricorrente, ed al pagamento delle retribuzioni maturate dall’agosto 2011 al gennaio 2012, oltre ad un’indennità risarcitoria quantificata in 2,5 mensilità di retribuzione globale di fatto. Contro tale pronuncia il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando un unico motivo. Non esiste più alcun dubbio sull’interpretazione del Collegato lavoro. In particolare, nell’avviso del ricorrente, l’accertamento della nullità del termine comportava la trasformazione con efficacia dichiarativa ex tunc e non costitutiva ex nunc del rapporto, sì che il licenziamento illegittimamente comunicato dalla società doveva considerarsi intervenuto su un rapporto a tempo indeterminato, con conseguente applicazione dell’art. 18 Stat. lav. Motivo che viene integralmente condiviso dalla Corte la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. In particolare, la Cassazione premette che la Corte Costituzionale ha definitivamente chiarito come l’indennità di cui all’art. 32 del Collegato lavoro non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sentenza n. 303/2011 . II danno forfetizzato dalla norma in commento copre pertanto solo il periodo c.d. intermedio, ossia quello tra la scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso . La nullità del termine viene accertata con una sentenza dichiarativa Proprio da tale condivisibile ragionamento, nell’avviso della Corte, si trae la conferma della natura dichiarativa e non costitutiva della sentenza che accerta la nullità della clausola . Conclusione quest’ultima che nemmeno può essere messa in dubbio dall’art. 1, comma 13, della c.d. Legge Fornero che portando confusione, anziché chiarezza ha interpretato autenticamente l’art. 32 del Collegato lavoro statuendo come esso copra” solo il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro . Sebbene infatti l’espressione ricostituzione avesse generato qualche incertezza interpretativa, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 226/2014 ha chiarito che tale pur infelice espressione sostanzialmente recepisce l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 32 [.] . ed il licenziamento è a tutti gli effetti un recesso comunicato nell’ambito di un rapporto a tempo indeterminato. In ragione di ciò, la Cassazione ribadisce l’ormai granitico principio per cui la sentenza con cui il Giudice, rilevato il vizio della pattuizione del termine, converte il contratto di lavoro in un contratto di lavoro a tempo indeterminato non può che operare ex tunc , sin dall'origine del rapporto di lavoro, il quale è da ritenere instaurato illegittimamente a termine e che invece è da qualificare sin dall'origine, ancorché per effetto di accertamento intervenuto ex post, di durata indeterminata . Conseguentemente, il recesso comunicato da un tale rapporto deve essere considerato ad ogni effetto di legge e di contratto recesso da un rapporto a tempo indeterminato, con le conseguenze risarcitorie previste per tale ultima categoria di rapporti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 febbraio – 26 marzo 2019, n. 8385 Presidente Bronzini – Relatore Blasutto Fatti di causa 1. La Corte di appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla ICTS Italia s.r.l., in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, ha accertato il diritto di G.P. a 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto, con gli interessi legali, previa rivalutazione, dalla data della sentenza al saldo. Inoltre, in ragione dell’illegittimità del recesso accertata in primo grado, ha riconosciuto il diritto dall’appellato alle retribuzioni non corrisposte dalla data del recesso alla scadenza naturale del contratto 2 gennaio 2012 , con gli interessi legali, previa rivalutazione, dalle singole scadenze al saldo. Infine, ha condannato l’appellato restituire alla società appellante la differenza tra quanto percepito in ragione dell’esecuzione sentenza di primo grado e quanto spettante in ragione della pronuncia, con gli interessi legali. 2. Il G. era stato assunto dalla società ICTS con contratto a tempo determinato per il periodo gennaio 2011 - gennaio 2012, venendo poi licenziato prima della scadenza del termine e precisamente nell’agosto 2011. Il Giudice del lavoro di Venezia, adito dal lavoratore, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e l’illegittimità del licenziamento per l’effetto, aveva condannato la società a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno commisurato le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra aveva negato l’indennizzo di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, osservando che la tutela riconosciuta ai sensi dell’art. 18 stat. lav. nel regime anteriore alla riforma di cui alla L. n. 92 del 2012 assorbiva ogni altro diverso risarcimento. 3. Tale sentenza veniva impugnata solo dalla società, che limitava le proprie censure ai capi concernenti il risarcimento del danno. 4. La Corte d’appello di Venezia, premesso che non era più in contestazione l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, né il diritto del lavoratore alla conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e neppure era più in contestazione l’illegittimità del recesso intimato anticipatamente senza la preventiva contestazione disciplinare, ha osservato che a quanto alle conseguenze applicabili ad un recesso intimato in modo illegittimo in costanza di svolgimento di un contratto a termine - che solo ex post, in sede giudiziaria, viene dichiarato a tempo indeterminato -, la tutela applicabile è quella risarcitoria consistente nelle retribuzioni perdute dalla data del recesso alla scadenza naturale del contratto a termine e tale tutela corrisponde, nel caso in esame, alle retribuzioni maturate e non corrisposte dalla data del recesso alla scadenza naturale del contratto b quanto alla conversione del rapporto derivante dalla accertata nullità del termine, la L. n. 183 del 2010, art. 32, attribuisce un’indennità risarcitoria forfetizzata, omnicomprensiva di ogni pregiudizio dalla scadenza del termine legittimo fino alla sentenza e, per tale titolo, è da stimare congruo il riconoscimento di 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto. 5. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il lavoratore con un motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 1418 c.c., e L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, e L. n. 300 del 1970, art. 18. Premesso che si era formato il giudicato interno sulla illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di assunzione stipulato tra le parti e pure sulla illegittimità del licenziamento comminato il 21 agosto 2011, per cui l’appello aveva ad oggetto esclusivamente le conseguenze applicabili al recesso datoriale intimato in modo illegittimo in un contratto a termine dichiarato a tempo indeterminato con la medesima sentenza, si deduce che l’accertamento della nullità del termine comporta la trasformazione con efficacia dichiarativa ex tunc e non costitutiva ex nunc del rapporto, sì che l’illegittimo recesso datoriale interviene in un rapporto trasformato a tempo indeterminato. Si deduce che il risarcimento non poteva essere limitato fino alla data della originaria scadenza del contratto, poiché il termine era stato dichiarato nullo con conseguente conversione del rapporto ai sensi dell’art. 1419 c.c., e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, dovendo trovare applicazione la tutela di cui all’art. 18 Stat. lav., nella formulazione anteriore alla cosiddetta riforma Fornero. Si rappresenta, infine, che la soluzione interpretativa seguita dal giudice di merito comporta l’illogica conseguenza che il risarcimento riconosciuto risulta all’evidenza peggiorativo sia rispetto a quello di cui il ricorrente avrebbe beneficiato se fosse stato assunto illegittimamente a termine conversione e indennizzo , sia a quello che avrebbe ottenuto se fosse stato illegittimamente licenziato in costanza di rapporto a tempo indeterminato reintegra e risarcimento . 2. Il ricorso merita accoglimento. 3. Occorre muovere dalla considerazione - già più volte espressa da questa Corte v. tra le altre, Cass. n. 14461 del 2015, n. 14996 del 2012, n. 14461 del 2014 - che la sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011, interpretando la norma della L. n. 183 del 2010, art. 32, ha avuto modo di chiarire che essa non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato il danno forfetizzato dall’indennità prevista dalla norma copre soltanto il periodo cosiddetto intermedio, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto , con la conseguenza che a partire da tale sentenza è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva , altrimenti risultando completamente svuotata la tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato così ancora Corte Cost., n. 303 del 2011 . 4. Da tale sentenza si trae la conferma della natura dichiarativa e non costitutiva della sentenza che accerta la nullità della clausola. La scelta legislativa è stata quella di prevedere una forfetizzazione del risarcimento del danno, per esigenze di certezza e di omogeneità delle situazioni debitorie derivanti dalla conversione del rapporto di lavoro instaurato con termine illegittimo, ma il rimedio risarcitorio costituisce una sanzione che non si sostituisce, ma si aggiunge, alla ricostituzione del rapporto derivante dalla conversione, dichiarata con sentenza di accertamento. 5. La norma in oggetto, come affermato dal Giudice delle leggi, risulta adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi . Infatti, al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad un’indennità che gli è dovuta sempre e comunque, senza necessità né dell’offerta della prestazione, né di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data d’interruzione del rapporto fino a quella dell’accertamento giudiziale del diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso. 5.1. La normativa in questione, da un lato assicura la stabilizzazione del rapporto, dall’altro forfetizza il danno, con valenza sanzionatoria, solo per il periodo compreso tra la scadenza del termine e l’accertamento giudiziale della sua nullità. Dalla data della sentenza il lavoratore ha diritto alla riammissione in servizio e alla ricostituzione della effettiva funzionalità del rapporto illegittimamente interrotto. 6. Sulla questione è poi intervenuta la L. 28 giugno 2012, n. 92, Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita , che con l’art. 1, comma 13, ha introdotto una disposizione di interpretazione autentica della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, stabilendo che La disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro . 7. L’uso della locuzione ricostituzione del rapporto di lavoro aveva fatto sorgere dubbi interpretativi, essendo stato ipotizzato da alcuni interpreti - e così sembra avere ritenuto anche la Corte di appello nella sentenza impugnata - che il legislatore avesse accreditato la tesi secondo cui la conversione del rapporto opera ex nunc e non ex tunc. 8. Tali dubbi interpretativi appaiono fugati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 226 dell’8 luglio 2014, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 11 e 117 Cost., in relazione alla clausola 8.3 dell’Accordo Quadro Europeo sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, come interpretato autenticamente dalla L. n. 92 del 2012. 8.1. La Corte costituzionale, richiamata la precedente sentenza n. 303 del 2011, ha innanzitutto ribadito che - la ratio della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, risiede nella volontà di introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione a fronte delle obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente, con l’esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati in misura eccessiva - l’art. 32, comma 5, citato non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma va ad integrare la garanzia della conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato che costituisce la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario - l’obiettivo era quello di assicurare la certezza dei rapporti giuridici, imponendo un meccanismo semplificato e di più rapida definizione di liquidazione del danno evitando accertamenti probatori in ordine alla mora accipiendi, all’aliunde perceptum, al percipiendum, ecc. a fronte della illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro. 8.2. Ha poi aggiunto che - analogo obiettivo è alla base della norma di interpretazione autentica contenuta nella L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13 - tale disposizione, emanata all’indomani della sentenza n. 303 del 2011, sostanzialmente recepisce l’interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, che quella pronuncia conteneva - a fronte delle divergenze interpretative che pur dopo tale pronuncia erano emerse nella giurisprudenza di merito, il legislatore è intervenuto accogliendo e rendendo vincolante l’interpretazione data da questa Corte alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 . - questi elementi consentono di ravvisare l’obiettivo perseguito dal legislatore, ancora una volta, nella esigenza di assicurare certezza nella quantificazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore in caso di illegittima apposizione del termine al contratto, rendendo cogente la soluzione, già prevista, che bilanciava le opposte pretese del lavoratore e del datore di lavoro, nonché nello scoraggiare ulteriore contenzioso. Se, dunque, l’intento perseguito da entrambe le disposizioni è quello di stabilire un criterio uniforme e certo per la quantificazione del danno allo scopo di semplificare il contenzioso, allora ne consegue che esse si collocano fuori dall’ambito di applicazione della clausola 8.3 dell’accordo quadro e che pertanto non sussiste alcuna violazione di detta clausola e, conseguentemente, degli evocati parametri costituzionali . 9. Dunque, la sentenza con cui il giudice, rilevato il vizio della pattuizione del termine, converte il contratto di lavoro in un contratto di lavoro a tempo indeterminato non può che operare ex tunc, sin dall’origine del rapporto di lavoro, il quale è da ritenere instaurato illegittimamente a termine e che invece è da qualificare sin dall’origine, ancorché per effetto di accertamento intervenuto ex post, di durata indeterminata. 9.1. L’accertamento giudiziale è di natura dichiarativa anche alla luce dell’intervento legislativo di interpretazione autentica, avendo la Corte costituzionale nel 2014 sent. 226 del 2014 confermato la propria precedente lettura interpretativa sent. 303 del 2011 ed escluso che il legislatore del 2012 ne abbia voluto introdurre una diversa. 9.2. La sentenza che accerta la nullità del termine implica la ricostituzione della funzionalità del rapporto illegittimamente interrotto, cui è connesso l’obbligo del datore di riammettere in servizio il lavoratore e di corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva. 10. In conclusione, va affermato il principio che, anche a seguito della norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13, la sentenza di accerta la nullità della clausola appositiva del termine e ordina la ricostituzione del rapporto illegittimamente interrotto, cui è connesso l’obbligo del datore di riammettere in servizio il lavoratore, è di natura dichiarativa e non costitutiva. 10.1. La conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato opera, pertanto, con effetto ex tunc dalla illegittima stipulazione del contratto a termine, mentre l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. 11. La sentenza impugnata è incorsa nell’errore di diritto di ritenere che la conversione potesse operare solo ex nunc, dalla data della sentenza che ha accertato la nullità del termine, e che, di conseguenza, il recesso datoriale dovesse essere regolato alla stregua di un recesso ante tempus intervenuto in costanza di un rapporto di lavoro a termine. Per tali motivi, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di appello di Venezia in diversa composizione per il riesame dell’appello proposto da ICTS s.r.l. alla luce del principio di diritto sopra enunciato. 12. Tenuto conto dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.