La giusta causa delle dimissioni è esclusa se il lavoratore torna al lavoro durante il preavviso

Nella giurisprudenza è consolidato il principio secondo cui deve escludersi la giusta causa laddove il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia consentito di continuare l’attività per il periodo di preavviso.

Così l’ordinanza n. 7711/19, depositata dalla Corte di Cassazione il 20 marzo. La vicenda. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Messina revocava il decreto ingiuntivo emesso su istanza di un lavoratore nei confronti della sua Cooperativa sociale per le somme richieste a titolo di restituzione della quota di indennità di mancato preavviso che egli sosteneva essergli stata indebitamente trattenuta. Dalla ricostruzione della vicenda era infatti emerso che il lavoratore si era dimesso ma aveva osservato solo in parte il periodo di preavviso fissato dalla contrattazione collettiva. Il lavoratore ricorre in Cassazione invocando la giusta causa delle sue dimissioni, con esclusione dell’obbligo di preavviso, per inadempimento del datore di lavoro che non gli aveva corrisposte le retribuzioni per diversi mesi. Giusta causa delle dimissioni. Nonostante la mancata corresponsione della retribuzione possa costituire giusta causa di dimissioni, secondo la giurisprudenza consolidata deve escludersi la giusta causa laddove il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia consentito di continuare l’attività per il periodo di preavviso. Infatti in tal caso, è lo stesso comportamento concludente del lavoratore ad escludere la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione anche solo temporanea del rapporto . Ciononostante, la giurisprudenza ha anche precisato che la giusta causa di recesso non è da escludersi quando il lavortore, rassegnando le dimissioni, ne abbia però posticipato l’effetto, ove ciò avvenga per rispetto dei principi di correttezza e buona fede delle obbligazioni contrattuali, in considerazione della particolare posizione rivestita dal lavoratore nell’organizzazione aziendale e perciò dalle negative conseguenze di una immediata cessazione delle sue prestazioni . Nel caso di specie, non potendosi ravvisare una simile situazione, la Corte ha correttamente applicato i principi summenzionati escludendo la sussistenza di una giusta causa delle dimissioni. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 18 dicembre 2018 – 20 marzo 2019, n. 7711 Presidente Doronzo – Relatore Ghinoy Rilevato che 1. la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale di Barcellona P.G., revocava il decreto ingiuntivo emesso su istanza di M.S. nei confronti della Cooperativa sociale obiettivo salute e lavoro per la somma di Euro 2.085,00 richiesta a titolo di restituzione della quota di indennità di mancato preavviso che il lavoratore asseriva essergli stata indebitamente trattenuta. 2. La Corte riferiva che il M. si era dimesso in data 31 marzo 2013 con comunicazione ricevuta il successivo 2 aprile, ma aveva continuato a lavorare sino al successivo 30 aprile, così osservando solo in parte il termine di preavviso fissato in 60 giorni dalle disposizioni della contrattazione collettiva. La Corte riteneva poi che non potesse avere rilievo al fine di escludere l’obbligo del preavviso la configurabilità di una giusta causa di dimissioni, considerato che la volontaria prosecuzione del rapporto dopo le dimissioni era idonea ad escluderla. 3. Per la cassazione della sentenza M.S. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la Cooperativa obiettivo salute e lavoro. 4. La causa, inizialmente fissata per l’adunanza del 26.9.2018, è stata rinviata alla successiva del 18.12.2018 per mancata notifica al difensore del ricorrente del decreto di fissazione dell’adunanza camerale con la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. 5. Salvatore M. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2. Considerato che 6. a fondamento del ricorso M.S. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e lamenta che la Corte d’appello non abbia ritenuto sussistente la giusta causa di dimissioni, configurata nel caso dal grave inadempimento contrattuale del datore di lavoro che non aveva corrisposto le retribuzioni dal mese di ottobre 2009 al marzo 2010, giusta causa che avrebbe dovuto esonerarlo dall’obbligo del preavviso. Riferisce che non vi era stata nel caso alcuna volontaria prosecuzione dell’attività lavorativa, ma solo la prosecuzione di fatto della stessa per circa 30 giorni su espressa richiesta del Presidente della cooperativa e nell’attesa che le dimissioni venissero accettate dal Consiglio. 7. Il ricorso non è fondato, alla luce del principio affermato da questa Corte secondo il quale, sebbene la mancata corresponsione della retribuzione per un periodo significativo possa costituire giusta causa di dimissioni, tuttavia la stessa è da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia consentito a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso. In tal caso, infatti, è lo stesso comportamento concludente del lavoratore ad escludere la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione anche soltanto temporanea del rapporto v. Cass. n. 24477 del 21/11/2011, Cass. n. 2492 del 21/03/1997, Cass. n. 2048 del 20/03/1985 . 8. Questa Corte ha poi aggiunto che la giusta causa di recesso non è da escludersi quando il lavoratore, rassegnando le dimissioni, ne abbia però posticipato l’effetto, ove ciò avvenga per rispetto dei principi di correttezza e buona fede nelle obbligazioni contrattuali, in considerazione della particolare posizione rivestita dal lavoratore nell’organizzazione aziendale e perciò dalle negative conseguenze di una immediata cessazione delle sue prestazioni Cass. n. 5146 del 23/05/1998 . Tale situazione non risulta tuttavia essersi verificata nel caso in esame, considerato che la circostanza valorizzata in ricorso, secondo la quale il M. avrebbe continuato a lavorare in attesa dell’accettazione delle dimissioni da parte della Cooperativa, non smentisce l’assunto della Corte di d’appello secondo il quale la protrazione del rapporto per circa 30 giorni oltre la data il cui erano state rassegnate le dimissioni è dipesa comunque da una scelta volontaria del lavoratore e non imposta da una valutazione di insostituibilità della sua prestazione . 9. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore notificata ex art. 380 bis c.p.c., il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5. 10. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza. 11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.