Attività occulta e gravosa: legittimo il licenziamento del dipendente assente per infortunio

Respinto il ricorso proposto in Cassazione dal lavoratore. Confermata la linea seguita sia in Tribunale che in appello evidente il fatto che il comportamento da lui tenuto ha ritardato la guarigione e il rientro in servizio.

Cure e riposo” questa la prescrizione data dal medico. E invece il lavoratore, ufficialmente a casa per infortunio, ha pensato bene di dedicarsi, di nascosto, a un’attività lavorativa pesante, consistita nella guida di automezzi e nelle operazioni di carico e scarico di prodotti – cerchi in lega per autovetture, per la precisione –. A scoprirlo è stata un’agenzia investigativa, e il resoconto fatto all’azienda gli è costato il posto. Indiscutibile per i giudici il fatto che il comportamento tenuto dall’uomo ne ha ritardato la guarigione Cassazione, sentenza n. 7641/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Attività. La linea dura adottata dalla società datrice di lavoro è ritenuta corretta dai giudici, che prima in Tribunale e poi in Corte d’appello sottolineano la legittimità del licenziamento adottato nei confronti del dipendente. Inequivocabile il comportamento tenuto dall’uomo, e accertato da un’agenzia investigativa. In sostanza, si è appurata la potenzialità dannosa dell’ attività lavorativa da lui svolta durante il periodo di assenza per infortunio e consistita nella guida di automezzi e in operazioni di carico e scarico di cerchi in lega per autovetture . Di conseguenza, per i giudici non vi sono dubbi sul fatto che il lavoratore ha ritardato la propria guarigione e così ha compiuto una violazione così grave da giustificare il recesso da parte dell’azienda. Violazione. Nessun cambio di prospettiva in Cassazione, dove viene ribadita in modo definitivo la giustezza del licenziamento. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, la valutazione compiuta in Appello è assolutamente lineare, poiché si è accertato che il lavoratore ha col proprio comportamento disatteso la prescrizione medica che imponeva cure e riposo e ha così ritardato il rientro in azienda. Non a caso, viene osservato, in occasione dei ai controlli medici non veniva riscontrata la guarigione prevista e la riammissione in servizio poteva avvenire quasi due mesi dopo. Logico, quindi, attribuire al lavoratore la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buonafede , una violazione sufficiente a giustificare il licenziamento, concludono i magistrati della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2018 – 19 marzo 2019, n. 7641 Presidente Napoletano – Relatore Della Torre Fatti di causa 1. Con sentenza n. 1350/2017, pubblicata il 28 giugno 2017, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede, in accoglimento del ricorso proposto da Unilever Italia Manufacturing S.r.l., aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad An. Ra., con lettera del 3/3/2010, per avere svolto, in periodo di assenza per infortunio, attività lavorativa consistita nella guida di automezzi e in operazioni di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture, tale da compromettere o ritardare la guarigione. 2. La Corte ha rilevato a sostegno della propria decisione che i fatti contestati, giunti a conoscenza della società attraverso un'indagine investigativa, avevano trovato conferma nelle dichiarazioni degli investigatori e che la consulenza d'ufficio disposta in primo grado aveva consentito di accertare la potenzialità dannosa del comportamento addebitato, il quale, pertanto, integrando un inadempimento degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, era da ritenersi di gravità tale da giustificare il recesso datoriale, anche in difetto di previsione del contratto collettivo o del codice disciplinare. 3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con tre motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito la società con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, deducendo ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. e 5 L. n. 604/1966, nonché dell'art. 24 Cost., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto accertati i fatti descritti nella relazione investigativa prodotta in giudizio dalla società, sebbene tali fatti fossero stati puramente confermati in blocco dai testimoni escussi e la relazione, in quanto documento di parte, non avesse ex se efficacia probatoria. 2. Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2106, 1175, 1375 e 1455 cod. civ., nonché dell'art. 70 C.C.N.L. Industria Alimentare, il ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che anche una condotta potenzialmente idonea a compromettere o ritardare la guarigione, quale delineata dal consulente d'ufficio in esito alle proprie indagini, potesse integrare la giusta causa di recesso, di conseguenza trascurando, su tale premessa, di ricercare e di accertare i fatti che potessero dimostrare la sussistenza, in concreto e non solo in astratto , di tale nesso di causalità. 3. Con il terzo motivo, deducendo il vizio di cui all'art. 360 n. 5, il ricorrente si duole del fatto che la Corte non abbia preso in esame le deduzioni e i rilievi critici formulati con il ricorso in appello e che, con il supporto della relazione medico-legale allegata, avrebbero consentito di smentire la validità delle conclusioni raggiunte dal consulente d'ufficio. 4. Il primo motivo è inammissibile. 5. Come più volte precisato da questa Corte cfr. da ultimo Cass. n. 13395/2018 , la violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove - come con il motivo ora in esame - oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 n. 5 cod. proc. civ. . 6. E' altresì consolidato il principio, secondo il quale la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale Cass. n. 4699/2018 . 7. Il secondo motivo è infondato. 8. La Corte di appello ha invero correttamente richiamato l'orientamento, per il quale lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio Cass. n. 26496/2018 conforme, fra le più recenti, Cass. n. 10416/2017 . 9. La Corte ha peraltro positivamente accertato come la condotta imputata al lavoratore fosse stata tale, anche in concreto, da ritardare la guarigione, avendo osservato che egli guidando autovetture e sollevando cerchi in lega nei giorni 18, 21, 22 e 23 dicembre 2009 aveva disatteso la prescrizione medica in data 7 dicembre 2009 e cioè ulteriori 17 giorni di cure e riposo e che ai successivi controlli medici non veniva riscontrata la guarigione, tanto che la riammissione in servizio poteva avvenire soltanto il successivo 28 gennaio 2010 cfr. sentenza impugnata, p. 4 . 10. Il terzo motivo è inammissibile, in forza della preclusione cd. doppia conforme di cui all'art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., a fronte di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato il 14 dicembre 2015 e, pertanto, in epoca successiva all'entrata in vigore della novella 11 settembre 2012 . 11. Né il ricorrente, al fine di evitare l'inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse Cass. n. 5528/2014 e successive conformi . 12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. 13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.