Sussistenza di un rapporto subordinato: orario di lavoro e straordinari inchiodano il titolare della ricevitoria

Vittoria per il lavoratore, che, conclusa la collaborazione, vede riconosciuto il proprio diritto ad ottenere dal proprietario di una ricevitoria le somme relative al lavoro straordinario svolto e al trattamento di fine rapporto. Non fondamentale il fatto che l’esercizio commerciale abbia visto il padre del dipendente dare una mano al titolare.

Società di fatto per la gestione della ricevitoria. Questo elemento però non è sufficiente per escludere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il titolare e il figlio dell’altra persona – un dipendente pubblico – ufficiosamente impegnata nell’esercizio commerciale. Decisiva, invece, la constatazione dell’impegno sostenuto dal giovane. Conseguente la condanna del proprietario della ricevitoria a versare al dipendente le somme relative alle ore di lavoro straordinario e al trattamento di fine rapporto Cassazione, ordinanza n. 4984/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Rapporto. Linea di pensiero comune per i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello legittima la richiesta dell’oramai ex dipendente di una ricevitoria, richiesta finalizzata a vedersi versare dal titolare ulteriori compensi per lavoro straordinario e il trattamento di fine rapporto. Per i Giudici non può essere decisiva l’esistenza di una ipotetica società di fatto tra il titolare dell’esercizio commerciale e il padre del lavoratore. Questa valutazione è condivisa anche dai Magistrati della Cassazione, che ‘sigillano’ la vittoria dell’ex dipendente della ricevitoria. A certificare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato , viene osservato, ci sono diversi elementi, tra cui l’accertamento della consistenza dell’orario di lavoro così come dedotto dall’ex dipendente, l’accertamento dell’integrale svolgimento della prestazione oraria richiesta , e, infine, l’irrilevanza del coinvolgimento del padre del dipendente nell’attività lavorativa della ricevitoria, anche se diretto a sollevare il figlio dall’obbligo di coprire l’intero orario di lavoro . In particolare, l’esistenza di una presunta società di fatto tra il titolare della ricevitoria e il padre del dipendente non può avere incidenza, spiegano i Giudici della Cassazione, sulla funzionalità del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 11 ottobre 2018 – 21 febbraio 2019, n. 4984 Presidente Curzio - Relatore De Marinis Rilevato che con sentenza del 19 giugno 2017, la Corte d'Appello di Potenza confermava la decisione resa dal Tribunale di Potenza e accoglieva parzialmente la domanda proposta da Gi. Ca. nei confronti di Pa. Pe. titolare in Melfi di una ricevitoria di giochi e scommesse denominata Tuttototo, che assumeva di gestire in società di mero fatto con Ro. Ca., padre dell'istante e cognato del Pe. e pertanto chiamato in causa da quest'ultimo, riconoscendo, in relazione al rapporto di lavoro subordinato in essere tra le parti dall'8.9.2000 al 17.12.2007, dovute, sulla base del CCNL di settore ed in relazione alla prestazione eccedente il normale orario di lavoro costantemente resa, parte delle differenze retributive rivendicate, in particolare a titolo di straordinario e TFR e condannando il Pe. al pagamento delle medesime che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto il richiesto accertamento della società di fatto tra il Pe. ed il Ca. padre questione incidentale non dirimente nei rapporti tra datore di lavoro e dipendente, in ogni caso non provata la sussistenza della società di fatto tra i due, provato lo svolgimento delle prestazioni di lavoro straordinario - che per la cassazione di tale decisione ricorre il Pe., affidando l'impugnazione a tre motivi, cui resistono, con controricorso, sia Gi. Ca. che Ro. Ca., il quale, a sua volta, propone ricorso incidentale, articolato su un unico motivo, in relazione al quale il Pe. non svolge difesa alcuna - che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata - che il ricorrente nelle more ha depositato memoria recante tra l'altro la comunicazione dell'intervenuto fallimento del Pe. e la richiesta di interruzione del giudizio Considerato - che, esclusa, per essere il giudizio di cassazione ad impulso d'ufficio, l'operatività della dichiarazione di fallimento quale causa di interruzione del medesimo, questa Corte procede all'esame dei ricorsi, principale e incidentale, qui presentati - che, con il primo motivo, il ricorrente principale, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio imputa alla Corte territoriale di aver dato rilievo al difetto di allegazione di elementi significativi del dedotto vincolo societario, disconoscendo la rilevanza che, con specifico riguardo alla condizione di incompatibilità con il coinvolgimento nell'attività commerciale derivante a carico del Ca. Ro. dal suo status di dipendente pubblico, venivano ad assumere evidenze istruttorie viceversa confermative dell'esistenza in fatto di quel vincolo - che, con il secondo motivo del ricorso principale, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 156, 161 c.p.c. e 111 Cost, lamenta l'essere la Corte territoriale incorsa in un vizio di omessa motivazione, da cui assume conseguire la nullità dell'impugnata sentenza, nell'aver recepito in ordine alla ritenuta fondatezza della domanda di riconoscimento integrale delle dedotte prestazioni di lavoro straordinario le conclusioni del primo giudice, senza dar conto delle ragioni di conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione che nel terzo motivo del ricorso principale la medesima pronunzia è censurata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. nonché dell'art. 2697 c.c., per aver dato rilievo ai fini del proprio convincimento alle risultanze istruttorie confermative della versione del Ca. Gi. a fronte dell'acquisizione di elementi di prova attestanti, secondo quanto contraddittoriamente riconosciuto in sentenza dalla stessa Corte territoriale, la presenza e la fattiva collaborazione nell'attività della ricevitoria di Ca. Ro. che, dal canto suo, il ricorrente incidentale, Ro. Ca., con l'unico motivo formulato, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. censura il capo dell'impugnata sentenza relativo alla statuizione sulle spese di lite, per aver la Corte territoriale omesso di pronunciare, a fronte della soccombenza del Pe. anche relativamente alle domande proposte nei confronti del chiamato in causa, la condanna alle spese in favore di questi che, rilevata l'inammissibilità del primo motivo del ricorso principale per non essere deducibile il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio a fronte del conforme esito delle pronunzie rese nei gradi di merito, deve ritenersi l'infondatezza del secondo e del terzo motivo del ricorso principale, per essere la pronunzia sul punto resa dalla Corte territoriale fondata su un convincimento autonomamente maturato, in relazione al quale vengono ad assumere rilievo e del tutto correttamente sul piano logico e giuridico, l'accertamento della consistenza dell'orario di lavoro da prestarsi presso la ricevitoria in termini coincidenti con quanto dedotto dal lavoratore, l'accertamento dell'integrale svolgimento della prestazione oraria richiesta, l'irrilevanza del coinvolgimento di Ro. Ca. nell'attività lavorativa della ricevitoria, ove anche diretto a sollevare il figlio dall'obbligo di coprire l'intero orario di lavoro, coinvolgimento che non a caso la Corte territoriale definisce in motivazione come tollerato dal Pe., a riflettere la sottesa valutazione della Corte medesima, qui neppure fatta oggetto di specifica censura, circa l'assoluta non incidenza di detto coinvolgimento sulla funzionalità del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore che, di contro merita accoglimento, l'unico motivo del ricorso incidentale per risultare effettivamente omessa la liquidazione delle spese in favore del chiamato in causa Ro. Ca., nonostante l'invocato criterio della soccombenza in base al quale il Pe. risultava onerato delle spese anche nei confronti del chiamato in causa che, pertanto condividendosi la proposta del relatore, il ricorso principale va rigettato mentre il ricorso incidentale va accolto e, in relazione ad esso, la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Salerno che provvedere in conformità, disponendo altresì per l'attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese, alla Corte d'Appello di Salerno. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.