Danno al dipendete pubblico? Provarlo è difficile. E allora…

In caso di reiterazione dei contratti a termine, al fine del risarcimento del danno, sul lavoratore non può gravare un impossibile onere della prova si consente, pertanto, la previsione di una indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nell’ordinanza 3189/19, depositata il 4 febbraio. La fattispecie. La Corte di Appello di Torino riformava parzialmente la sentenza di primo grado che aveva accertato l'illegittimità dei contratti a tempo determinato intervenuti tra una donna e una Comunità Montana e condannava l’ente pubblico datore di lavoro al risarcimento del danno. Sosteneva, infatti, che i contratti a termine – a differenza di quanto stabilito dalla legge in materia - erano stati stipulati in assenza di esigenze straordinarie non fronteggiabili con il personale in servizio. Il giudice d'appello, peraltro, rigettava la richiesta di risarcimento avanzata dalla lavoratrice in quanto, da un lato, nell'impiego pubblico contrattualizzato, il danno risarcibile prescinde dalla mancata conversione del rapporto, che deriva da una disposizione di legge costituzionalmente legittima e conforme al diritto comunitario dall'altro, il danno deve essere allegato e dimostrato dal soggetto che assume di averlo subito. Nel caso di specie, invece, la dipendente non aveva provato natura ed entità del pregiudizio derivatole dalla reiterazione abusiva del contratto a termine. La donna ricorre in Cassazione. In caso di ricorso abusivo al contratto a termine Secondo la dipendente, la Corte d’Appello avrebbe violato il divieto di discriminazione, determinando un'ingiustificata disparità di trattamento fra lavoratori pubblici e privati, pur a fronte di un medesimo comportamento illegittimo, costituito dal ricorso abusivo al contratto a termine. Sostiene, inoltre, che il risarcimento del danno non può essere subordinato all'assolvimento dell'onere probatorio gravante sul lavoratore, perché - in tal modo - si finisce per negare ogni tutela al soggetto illegittimamente assunto e, di conseguenza, si consente un abuso non adeguatamente sanzionato. sì al risarcimento del danno provato per presunzioni. La Corte di Cassazione accoglie parzialmente il ricorso. Il diritto comunitario non impone la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato e stabilisce che una misura adeguata può essere anche il risarcimento del danno. In particolare, il danno risarcibile consiste di norma nella perdita di chance di un'occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore. E, tuttavia, poiché la prova di detto danno non sempre è agevole, è consentito fare ricorso alla prova per presunzioni. A ciò occorre aggiungere che il diritto nazionale prevede la possibilità del ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un'indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ciò prevedendo la concessione di un'indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione di detto lavoratore. La Suprema Corte, alla luce di quanto detto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 29 novembre 2018 – 4 febbraio 2019, n. 3189 Presidente Napoletano – Relatore Di Paolantonio Rilevato Che 1. la Corte di Appello di Torino, adita dalla Comunità Montana Grand Paradis, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Aosta che aveva accertato l’illegittimità dei contratti a tempo determinato stipulati con G.M.M. nell’arco temporale 25.3.2008/30.4.2011 ed aveva condannato la Comunità al risarcimento del danno, quantificato in misura pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione percepita 2. la Corte territoriale, respinti i motivi di appello con i quali erano state riproposte le eccezioni di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e di decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, ha evidenziato che, contrariamente a quanto asserito dall’appellante, i contratti a termine erano stati stipulati in assenza delle condizioni richieste dall’art. 54 del CCRL Comparto Unico Valle d’Aosta 24.12.2002, con il quale era stato consentito il ricorso alla tipologia contrattuale solo in presenza di esigenze straordinarie non fronteggiabili con il personale in servizio 3. Il giudice d’appello, peraltro, quanto alle conseguenze della ritenuta nullità, ha escluso che potesse trovare accoglimento la domanda risarcitoria proposta dalla G. in quanto, da un lato, nell’impiego pubblico contrattualizzato il danno risarcibile prescinde dalla mancata conversione del rapporto, che deriva da una disposizione di legge costituzionalmente legittima e conforme al diritto comunitario, dall’altro il danno, al quale nel nostro ordinamento è estranea ogni componente punitiva o sanzionatoria, deve essere allegato e dimostrato dal soggetto che assume di averlo subito 4. l’appellata non aveva provato natura ed entità del pregiudizio derivatole dalla reiterazione abusiva del contratto a termine, essendosi limitata solo ad un generico ed insufficiente richiamo alle conseguenze pregiudizievoli connesse alla situazione di instabilità reale 5. sulla base di dette considerazioni la Corte, in parziale accoglimento dell’appello, ha assolto la Comunità Montana Grand Paradis dalla condanna al risarcimento del danno 6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.M.M. sulla base di due motivi, ai quali la Comunità Montana ha resistito con tempestivo controricorso 7. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. ed il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso. Considerato Che 1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia la violazione di norme costituzionali artt. 3, 10 e 117 Cost. , del diritto eurounitario clausole 4 e 5 dell’accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE artt. 1, 2 e 3 della direttiva 2000/43/CE artt. 1, 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE artt. 1 e 4 della direttiva 2006/54/CE nonché dei D.Lgs. n. 315 del 2003, D.Lgs. n. 216 del 2003 e D.Lgs. n. 198 del 2006 1.1. la G. sostiene, in estrema sintesi, che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, come interpretato dalla Corte territoriale, viola il divieto di discriminazione, perché determina un’ingiustificata disparità di trattamento fra lavoratori pubblici e privati, pur a fronte di un medesimo comportamento illegittimo, costituito dal ricorso abusivo al contratto a termine 1.2. aggiunge che per il principio di prevalenza del diritto eurounitario su quello nazionale, di quest’ultimo occorre dare un’interpretazione che sia orientata al rispetto dei precetti dettati dalle direttive richiamate nella rubrica e, quindi, il rapporto fra il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001 va ricostruito dando prevalenza alla normativa in tema di lavoro a termine, emanata successivamente ed estesa dal legislatore anche all’impiego pubblico contrattualizzato, senza eccezione alcuna 1.3. richiama plurime pronunce della Corte di Giustizia per sostenere che, se si esclude la conversione, l’ordinamento interno deve prevedere una misura di prevenzione dell’abusiva reiterazione del contratto a termine che sia effettiva, dissuasiva ed equivalente, sicché il risarcimento del danno non può essere subordinato all’assolvimento dell’onere probatorio gravante sul lavoratore, nei termini richiesti dalla Corte territoriale, perché in tal modo si finisce per negare ogni tutela al soggetto illegittimamente assunto e, di conseguenza, si consente un abuso non adeguatamente sanzionato 2. la seconda censura addebita alla sentenza impugnata, oltre alla violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, della clausola 5 dell’accordo quadro e degli artt. 1218, 1223, 1226, 1227, 2056 e 2697 c.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio perché la Corte territoriale, nel ritenere non provato il danno subito, non ha considerato che il pregiudizio consiste nella perdita delle retribuzioni relative agli intervalli non lavorati nonché di quelle che il lavoratore avrebbe percepito qualora fosse stato assunto a tempo indeterminato 3. è parzialmente fondato il primo motivo di ricorso perché la sentenza impugnata contrasta con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, alla stregua del quale in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13 , sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario , determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito. Cass. S.U. 15.3.2016 n. 5072 3.1. con la richiamata pronuncia, alla quale le stesse Sezioni Unite hanno dato continuità con la più recente sentenza n. 19165/2017, si è in sintesi osservato che, ove venga in rilievo la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il diritto dell’Unione non impone la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato, giacché può costituire una misura adeguata anche il risarcimento del danno 3.2. nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché la conversione è impedita dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, attuativo del precetto costituzionale dettato dall’art. 97 Cost., il danno risarcibile, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A, consiste di norma nella perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c. 3.3. peraltro, poiché la prova di detto danno non sempre è agevole, è necessario fare ricorso ad un’interpretazione orientata alla compatibilità comunitaria, che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia richiede un’adeguata reazione dell’ordinamento volta ad assicurare effettività alla tutela del lavoratore, sì che quest’ultimo non sia gravato da un onere probatorio difficile da assolvere 3.4. sulla questione qui controversa è, poi, recentemente intervenuta la Corte di Lussemburgo che, chiamata a pronunciare sulla conformità al diritto dell’Unione, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha evidenziato che la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C - 494/16 Santoro 4. nel caso di specie la Corte territoriale se, da un lato, ha correttamente affermato la specialità, quanto alle conseguenze dell’abusiva reiterazione, della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 rispetto a quella generale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, dall’altro ha errato nel respingere la domanda risarcitoria perché non provata, finendo in tal modo per lasciare privo di sanzione l’abuso 5. è, invece, infondato il secondo motivo perché la retribuzione per gli intervalli non lavorati presuppone, oltre alla messa in mora, l’unicità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, dunque, la conversione del rapporto a termine, nella specie impedita dal chiaro disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 5.1. va, poi, ribadito che nell’impiego pubblico contrattualizzato il danno non consiste nella perdita del posto di lavoro, e, quindi, la domanda risarcitoria non può essere fondata sullo stato di disoccupazione del lavoratore né il pregiudizio subito può essere commisurato, come sostiene la ricorrente, a tutte le retribuzioni che la stessa avrebbe percepito qualora fosse stata assunta a tempo indeterminato 6. in via conclusiva la sentenza impugnata, in parziale accoglimento del primo motivo di ricorso, deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità 7. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.