Permesso 104 per assistere la suocera, in realtà era al mare: licenziato

Sanzione definitiva per l’oramai ex dipendente di un’azienda che si occupa di servizi di igiene urbana. A inchiodarlo un post sui social e il resoconto fatto da un’agenzia investigativa. Evidente, per i giudici, non solo l’abuso compiuto ma anche la sua gravità.

Ufficialmente a casa, grazie al permesso riconosciuto dall’azienda, per prestare assistenza alla suocera, ma, in realtà, in vacanza in una località di mare, lontano chilometri dai propri impegni familiari. Ad inchiodare il lavoratore sono i social network e il resoconto fornito da un’agenzia investigativa. Legittimo, di conseguenza, secondo i giudici, il suo licenziamento Cassazione, ordinanza n. 2743/19, sez. Sesta Civile Lavoro, depositata oggi . Permesso 104. Ricostruito nei dettagli l’addebito mosso a un dipendente di una società che opera nel settore dei servizi di igiene ambientale”. All’uomo è stata riconosciuta una giornata di permesso, ai sensi della l. n. 104/1992, per assistere la suocera, con lui residente in un Comune campano, ma si è poi scoperto – grazie anche a quanto da lui postato sui social – che in quella giornata egli si trovava in una località di mare in Calabria , lontanissimo quindi dai suoi presunti obblighi familiari. Per l’azienda il comportamento tenuto dal dipendente è gravissimo ecco spiegato il suo licenziamento disciplinare . Provvedimento, questo, ritenuto legittimo dai giudici d’Appello, i quali, smentendo la valutazione compiuta in Tribunale, evidenziano la gravità dell’abuso compiuto dal lavoratore, abuso certificato, peraltro, da una agenzia investigativa. Abuso. A cancellare le ultime speranze del lavoratore provvede la Cassazione, confermando in toto la decisione pronunciata dai giudici d’Appello e sancendo quindi in via definitiva la giustezza del drastico provvedimento adottato dall’azienda. Decisiva è la constatazione della concretezza dell’addebito mosso al dipendente. Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che egli abbia consapevolmente utilizzato illegittimamente la legge 104, non avendo prestato assistenza alla suocera . Irrilevante, osservano i Giudici del Palazzaccio, è il richiamo difensivo al fatto che quella era stata la prima volta che il lavoratore aveva approfittato per ragioni private del permesso concessogli dall’azienda per stare vicino a una familiare. Ciò che conta, invece, è l’abuso compiuto, che fa venire meno l’affidamento sull’esatto adempimento da parte del dipendente delle prestazioni future .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 24 ottobre 2018 – 30 gennaio 2019, n. 2743 Presidente Doronzo – Relatore De Marinis Rilevato - che, con sentenza del 12 ottobre 2017, la Corte d'Appello di Napoli, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Napoli, rigettava la domanda proposta da Er. Ru. nei confronti della De Vizia Transfer S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al primo dalla Società per essere stato accertato a carico del dipendente, anche grazie a quanto dallo stesso postato sui social, che in una giornata di permesso richiesta ai sensi della legge n. 104/1992 per assistere la suocera con il medesimo residente a Pozzuoli e ivi presente quel giorno egli si trovava in altra località di mare in Calabria - che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto provata la presenza della suocera del Ru. a Pozzuoli mentre lo stesso si trovava in altra località, per essere lecito l'accertamento in tal senso eseguito dall'agenzia investigativa incaricata dalla Società ed acquisibili agli atti sia il materiale fotografico prodotto sia la dichiarazione testimoniale degli investigatori, idonei a suffragare, anche in difetto di specificazione sulle fotografie della data e dell'orario dello scatto ed in presenza di altra testimonianza valutata, peraltro, inattendibile, la circostanza e, conseguentemente, sussistente l'abuso e di gravità tale da risultare proporzionata l'irrogazione della sanzione espulsiva - che per la cassazione di tale decisione ricorre il Ru., affidando l'impugnazione a quattro motivi cui resiste, con controricorso, la Società - che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata - che il ricorrente ha poi presentato memoria Considerato - che nel primo motivo la violazione dell'art. 7, L. n. 300/1970 è denunciata dal ricorrente con riguardo all'erronea applicazione da parte della Corte territoriale del principio di specificità della contestazione disciplinare - che nel secondo motivo la denuncia del vizio di cui al motivo che precede si specifica e si amplia investendo il profilo dell'omessa pronunzia sulla relativa eccezione censurata con riferimento all'art. 112 c.p.c - che, con il terzo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e 1, L. n. 604/1966, lamenta l'incongruità logica e giuridica del giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla proporzionalità tra addebito contestato e sanzione irrogata - che, con il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c nonché 5 I. n. 604/1966, il ricorrente, in una con il vizio di motivazione, lamenta l'assenza di adeguato supporto motivazionale al convincimento circa l'assolvimento dell'onere della prova gravante sulla Società della sussistenza dell'addebito contestato, per essere quel convincimento fondato essenzialmente sulla relazione investigativa insuscettibile di fornire elementi certi sul piano probatorio - che, rilevata l'infondatezza del primo e del secondo motivo, dovendo considerarsi implicitamente rigettata l'eccezione relativa alla genericità della contestazione, avendo la Corte territoriale correttamente valutato come adeguatamente specificato l'addebito, evidentemente dato dall'abuso del permesso richiesto ai sensi della legge 104/1992 conseguente alla mancata prestazione dell'assistenza alla suocera che motivava la concessione del permesso, per essere egli in località diversa da quella dove si trovava l'interessata, deve ritenersi l'inammissibilità del terzo e del quarto motivo, atteso che i rilievi sollevati dal ricorrente limitandosi ad evidenziare l'incertezza e l'approssimazione del giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine tanto all'assolvimento da parte della Società dell'onere della prova in ordine alla sussistenza dell'addebito contestato quanto sulla proporzionalità rispetto ad esso della sanzione espulsiva irrogata, non valgono ad inficiare quei giudizi, non tenendo conto, da un lato, della deducibilità del convincimento cui la Corte medesima perviene circa il dato essenziale della presenza della suocera nell'appartamento in cui coabitava con il ricorrente a Pozzuoli dagli elementi di prova acquisiti sulla base dell'istruttoria svolta e che qui neppure sono fatti oggetto di specifica contestazione quali la certezza della corrispondenza dell'edificio riprodotto nelle foto allegate alla relazione investigativa all'abitazione del ricorrente e l'identificazione con la suocera del ricorrente della persona anziana fotografata sul balcone di quell'edificio il giorno indicato come quello corrispondente al compimento della mancanza contestata, come confermato dall'investigatore che quella foto aveva scattato, sulla base della dichiarazione del teste indotto dal ricorrente, idonea ad attestare come gli anziani presenti in quell'abitazione, a prescindere dal giorno, viceversa desumibile, come detto, dalla testimonianza dell'investigatore, fossero effettivamente la suocera del ricorrente ed il marito dall'altro dei rilievi svolti dalla Corte territoriale in ordine alla rilevanza dell'abuso, in sé, anche a prescindere dalla circostanza indimostrata che si trattasse della prima volta e nella prospettiva dell'affidamento sull'esatto adempimento delle prestazioni future, cui si oppone in modo del tutto inconferente, essendo sufficiente ai fini della configurabilità dell'abuso medesimo la sola presenza del ricorrente in altro luogo, dallo stesso mai contestata, la mancata specificazione delle altre attività cui si sarebbe dedicato in alternativa il ricorrente - che, pertanto, condividendosi la proposta del relatore, il ricorso va rigettato - che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed atri accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13.