Sanzionata dall’azienda la tempistica nella lavorazione di un lotto di trenta pezzi. Significativi anche due precedenti negativi. Ma ciò che conta, secondo i Giudici, è la prognosi negativa dell’azienda stessa sull’ipotesi di un aumento di diligenza del lavoratore nell’esecuzione della prestazione.
Legittimo il licenziamento dell’operaio ritenuto troppo lento dall’azienda. A inchiodare il lavoratore non solo la tempistica nella tornitura di un lotto di trenta pezzi, ma anche alcuni precedenti negativi in passato, sempre relativi a una produttività non ritenuta soddisfacente Cassazione, sentenza numero 2289/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Prestazione. Riflettori puntati sui banchi di lavorazione di un’azienda specializzata nella relazione di lavorazioni di tornitura e di fresatura. Sotto osservazione, in particolare, un operaio, che si mostra poco reattivo nell’affrontare «un lotto di trenta pezzi», e, per giunta, ha alle spalle anche alcuni precedenti negativi, «sanzionati con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione». Il comportamento tenuto dal lavoratore è ritenuto non accettabile dall’azienda. Consequenziale è il suo licenziamento. L’addebito mosso, cioè «scarso rendimento», è ritenuto legittimo anche dai giudici, che prima in Tribunale e poi in Corte d’appello rigettano l’opposizione dell’operaio. A chiudere il cerchio provvede ora la Cassazione, confermando la legittimità del licenziamento. Per i Giudici del Palazzaccio, innanzitutto, «non era necessario che la lettera di contestazione contenesse oltre che la descrizione nei termini fattuali della condotta addebitata» all’operaio anche «la qualificazione giuridica di tale condotta». Ma ciò che conta davvero, sanciscono i magistrati, è che «il rigetto dell’impugnativa di licenziamento non è frutto della meccanica applicazione della previsione collettiva che consentiva il recesso per giustificato motivo soggettivo in presenza di due precedenti sospensioni» ma «nasce dall’autonoma valutazione fondata sulla prognosi negativa in ordine al miglioramento dei rapporti ed all’aumento di diligenza nell’esecuzione della prestazione da parte del lavoratore».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 ottobre 2018 – 28 gennaio 2019, numero 2289 Presidente Bronzini – Relatore Pagetta Fatti di causa 1. La Corte di appello di Venezia, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato il rigetto dell'impugnazione del licenziamento con preavviso intimato a Fa. Mo. dalla datrice Pesavento Dario s.r.l. sulla base di contestazione che addebitava al lavoratore scarsità di rendimento in relazione alla tornitura di un lotto di 30 pezzi e la recidiva in precedenti condotte sanzionate con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. 1.1. Per quel che ancora rileva, il giudice del reclamo, respinta la deduzione di difetto di specificità della contestazione per mancata puntuale indicazione delle sanzioni disciplinari richiamate quali recidiva, esclusa la prospettata violazione della regola di distribuzione dell'onere probatorio, ritenuti dimostrati sia il fatto oggetto di contestazione del 16.4.2014 sia i fatti, configuranti precedenti disciplinari, contestati con lettere del 27.3.2013 e del 1.4.2014 e sanzionati con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, ha considerato integrata la fattispecie in presenza della quale la norma collettiva consentiva il recesso con preavviso. 2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Fa. Mo. sulla base di quattro motivi la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 7 Legge 20/05/1970 numero 300 in relazione alla affermata necessità di contestazione specifica della recidiva nella fattispecie di cui all'articolo 10 lett. h c.c.numero l. Industria metalmeccanica. Premesso che in relazione alla richiamata previsione la recidiva, consistente in due precedenti provvedimenti di sospensione ai sensi dell'articolo 9 c.c.numero l., configurava elemento costitutivo, censura la sentenza impugnata per non avere considerato che i provvedimenti di sospensione in oggetto non erano stati specificamente indicati né nella lettera di contestazione di addebito né nella lettera di licenziamento. 2. Con il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 5 Legge 15/07/1966 numero 604 e degli articolo 414 e 416 cod. proc. civ. in relazione agli oneri di allegazione e prova facenti capo alle parti nei giudizi di impugnazione del licenziamento per giusta causa e/o giustificato motivo soggettivo ed in particolare nei giudizi di impugnazione del licenziamento disciplinare per recidiva. Censura la affermazione del giudice di appello secondo la quale il datore di lavoro non era in concreto onerato della prova relativa ai precedenti disciplinari in quanto in sede sommaria parte ricorrente non aveva azionato alcuna domanda di annullamento delle sanzioni irrogate. Assume che la necessità della prova orale non poteva dirsi superata dai documenti prodotti da controparte che si limitavano alla indicazione dei pretesi orari di lavorazione già oggetto di istanza di prova. Evidenzia, inoltre, che la Corte di merito nulla aveva detto in punto di prova del fatto di cui alla lettera di contestazione del 27.3.2014. 3. Con il terzo motivo deduce violazione dell'articolo 7 Legge numero 300/1970 cit. e dell'articolo 9 lett. d c.c.numero l. Industria metalmeccanica in relazione al requisito della necessità di contestazione specifica di fatti di negligenza o voluta lentezza con riferimento alla fattispecie dello scarso rendimento di cui alla contestazione disciplinare in data 16.4.2014 violazione dell'articolo 5 Legge numero 604/1966 cit. in relazione all'onere di allegazione e prova in giudizio a carico del datore di lavoro - di fatti di negligenza o voluta lentezza. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto specifica la contestazione di scarso rendimento che sostiene essere inidonea a connotare, sotto il profilo disciplinare, la negligenza ovvero la voluta lentezza, vale a dire le condotte sanzionate dal contratto collettivo. 4. Con il quarto motivo deduce violazione degli articolo 3 Legge numero 604/1966 cit., dell'articolo 2119 cod. civ. e dell'articolo 7 Legge numero 300/1970 cit. in relazione alla nozione di giusta causa e giustificato motivo soggettivo e al giudizio di proporzionalità. Sostiene che la sentenza impugnata non aveva operato alcuna valutazione sulla sussistenza in concreto della giusta causa e/o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento e che la valutazione di proporzionalità era frutto di automatica applicazione della norma collettiva. 5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto parte ricorrente, nel dedurre violazione di legge e di contratto collettivo in punto di necessaria specificità della contestazione relativa alla recidiva, non si confronta con le effettive ragioni alla base della decisione sul punto. La sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione in diritto in contrasto con il principio di specificità della contestazione disciplinare le ragioni del decisum nel capo investito con il motivo in esame riposano, infatti, sull'accertamento dell'assenza di lesione in concreto del diritto di difesa del lavoratore il quale, nella lettera di giustificazione sottoscritta anche dal rappresentante sindacale , aveva dimostrato di avere ben compreso quali fossero i precedenti disciplinari richiamati nella lettera di contestazione v. sentenza, pag. 6 . L'accertamento relativo alla chiara percezione da parte del lavoratore dei precedenti disciplinari richiamati a titolo di recidiva non risulta investito da censura atteso che il ricorrente, come si evince anche dalla giurisprudenza di legittimità evocata in ricorso, si diffonde in considerazioni astratte sulla necessaria specificità dei fatti addebitati, profilo questo superato dalla verifica operata dalla Corte di merito in ordine all'assenza di concreta lesione delle prerogative attinenti alla possibilità per il lavoratore di articolare una difesa efficace e tempestiva a fronte delle mancanze contestate. La sentenza sul punto risulta, pertanto, coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, per ritenere integrata la violazione del principio di specificità, finalizzato a consentire al lavoratore la comprensione dei fatti addebitati e, quindi, la predisposizione di immediata ed adeguata difesa, è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore v. tra le altre, Cass. 20/03/2018 numero 6889 Cass. 21/04/2005 numero 8303 venendo a tal fine in rilievo come elemento in concreto valutabile anche la difesa esercitata in sede di giustificazioni Cass. 6889/2018 cit . 5.1. Le considerazioni che precedono assorbono l'ulteriore profilo di inammissibilità del motivo, collegata alla violazione dell'articolo 366, comma 1, numero 6 cod. proc. civ., per mancata integrale trascrizione dei documenti alla base delle censure articolate parte ricorrente si è, infatti, limitata alla trascrizione solo di alcune espressioni contenute nella lettera di addebito e nella successiva intimazione del licenziamento le quali, in quanto slegate dal relativo contesto, non consentono la ricostruzione dell'effettivo contenuto del documento v., tra le altre, Cass. 07/06/2017 numero 14107 . 6. Il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile per difetto di pertinenza con le effettive ragioni della decisione per il profilo che investe la prospettata violazione dell'onere della prova con riguardo ai fatti integranti recidiva. Nel respingere analoga doglianza formulata in sede di reclamo la Corte di merito ha, infatti, affermato che il giudice di prime cure aveva correttamente applicato la regola secondo la quale la dimostrazione dei fatti alla base del licenziamento ricadeva sulla parte datoriale, ritenendo provato sia l'addebito del 27.3.2014, “di cui peraltro era stata contestata soltanto la genericità della contestazione” che gli addebiti contestati con lettere del 1.4. 2014 e del 16. 4. 2014 v. sentenza, pag. 10, primo capoverso , ulteriormente puntualizzando, quanto all'addebito di cui alla lettera in data 1.4.2014, che, a fronte della eccepita irrilevanza dei fatti contestati - eccezione non modificabile in sede di reclamo -era da condividere l'assunto del giudice di prime cure che aveva ritenuto dimostrata la condotta ascritta “in quanto sostanzialmente non contestata oltre che provata dai documenti prodotti dalla società “ v. sentenza pag. 11, primo capoverso . La ricostruzione dei passaggi argomentativi della sentenza impugnata esclude, quindi, la prospettata violazione del disposto dell'articolo 5, Legge numero 604/1966 cit. in tema di onere, a carico della parte datrice, della prova dei fatti costitutivi del recesso. 6.1. Le deduzioni che prospettano violazione degli articolo 414 e de416 cod. proc. civ. in tema di oneri di allegazione e prova ricadenti sulle parti, così come la deduzione in punto di non corretta applicazione del principio di non contestazione, risultano anch'esse inammissibili in quanto non sorrette dalla trascrizione integrale o comunque dal riassunto dell'intero contenuto degli atti richiamati. La tecnica redazionale utilizzata dal ricorrente nella esposizione della vicenda processuale, tecnica connotata dalla riproduzione e giustapposizione solo di talune espressioni tratte dagli scritti difensivi delle parti, espressioni estrapolate dal complessivo contesto argomentativo di riferimento, il difetto di ordinata esposizione secondo la relativa sequenza temporale degli atti rilevanti al fine della illustrazione delle censure, si palesano inadeguati a consentire sulla base del solo ricorso per cassazione la verifica di fondatezza delle censure articolate, come invece, prescritto v., tra le altre, Cass. 07/06/2017 numero 14107 in tema di autosufficienza, con particolare riferimento alla non contestazione , Cass. 12/10/2017 numero 24062 . 6.2. Le ulteriori censure sviluppate dal reclamante, intese a contestare la significatività della prova documentale richiamata, risultano inammissibili per un duplice profilo collegato sia alla violazione dell'articolo 366, comma 1, numero 6 cod. proc. civ. per omessa trascrizione del documento alla base delle censure articolate Cass. numero 14107/2017 cit sia al fatto che tali censure tendono ad inficiare l'accertamento del giudice di merito in violazione del principio in tema di “doppia conforme” sancito dall'articolo 348 ter cod. proc. civ., comma 4., applicabile rattorte temporis. 7. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Il giudice del reclamo, con riferimento al terzo addebito ha ritenuto la contestazione rispettosa del canone di specificità evidenziando, mediante richiamo alla giurisprudenza di legittimità sul tema, che non era necessario a tal fine che la lettera di contestazione contenesse oltre che la descrizione della condotta addebitata nei suoi termini fattuali anche la qualificazione giuridica di tale condotta. Tale valutazione non risulta inficiata dalle argomentazioni svolte che si limitano a prospettare una diversa lettura della lettera di contestazione laddove, secondo il condivisibile insegnamento di questa Corte, l'apprezzamento del carattere di specificità della contestazione, da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali Cass. 30/05/2018 numero 13667 , costituisce valutazione riservata al giudice di merito sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura restando escluso che parte ricorrente possa limitarsi ad una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata, come avvenuto nel caso di specie Cass. numero 13667/2018 cit. Cass. 03/02/2003 numero 1562, Cass. 27/01/1993 numero 1000 . 8. Il quarto motivo di ricorso è infondato. Si premette che, come più volte affermato da questa Corte Cass. 12/12/2012 numero 22798 Cass. 26/09/2016 numero 18885 Cass. 27/09/2002 numero 14041 Cass. 04/04/1997 numero 2949 , deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo, anche in presenza di previsione collettiva, il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato. La sentenza impugnata è coerente con tale principio in quanto il rigetto della impugnativa di licenziamento non è frutto della meccanica applicazione della previsione collettiva che consentiva il recesso per giustificato motivo soggettivo in presenza di due precedenti sospensioni comminate ai sensi dell'articolo 9 c.c.numero l. disciplinari ma nasce dall'autonoma valutazione fondata sulla prognosi negativa in ordine al miglioramento dei rapporti ed all'aumento di diligenza nell'esecuzione della prestazione da parte del lavoratore v. sentenza, pag. 16, 6. capoverso . 9. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto. 10. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza. 11. Sussistono i presupposti per l'applicabilità dell'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, del DP.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.