Pensione di reversibilità al figlio inabile se sussiste il requisito della “vivenza a carico”

Il figlio, maggiorenne e riconosciuto inabile al lavoro, ha diritto alla pensione di reversibilità del genitore deceduto qualora sussista il requisito della vivenza a carico”, requisito che deve essere accertato dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità.

Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza n. 1861/19, depositata il 23 gennaio. La vicenda. Il Giudice del lavoro veniva adito dal ricorrente, un soggetto inabile al lavoro, il quale esponeva in fase di giudizio che al suo mantenimento aveva provveduto il padre, titolare della pensione di reversibilità e alla morte di questi il figlio aveva ottenuto la reversibilità della prestazione, trattamento, però, poi revocato dall’INPS chiedeva, dunque, al Giudice la restituzione delle somme non pagate dall’INPS e il riconoscimento della reversibilità del trattamento pensionistico. Poiché il Giudice revocava la sua domanda per mancanza di documentazione, il ricorrente arriva in Cassazione. La vivenza a carico” e l’accertamento del giudice. Dai Giudici del Palazzaccio viene ribadito il principio secondo cui, in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, se maggiorenne e se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento della morte di questi, qualora il requisito della vivenza a carico”, se non si identifica con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria dell’inabile, deve essere considerato attentamente, risultando necessario provare che il genitore provvedeva al mantenimento del figlio inabile, in maniera continuativa e in misura prevalente. Tale accertamento spetta al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, purché adeguatamente motivato. Nel caso in esame, il giudice del merito escludeva il requisito della vivenza a carico”. Per tale ragione, gli Ermellini dichiarano il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 7 novembre 2018 – 23 gennaio 2019, n. 1861 Presidente Esposito – Relatore Fernandes Rilevato che P.R. adiva il giudice del lavoro di Cosenza esponendo che al suo mantenimento aveva provveduto il genitore P.F., titolare di trattamento pensionistico di reversibilità che alla di lui morte aveva ottenuto la reversibilità della prestazione, a decorrere dal maggio 2011, trattamento poi revocato dall’INPS con conseguente richiesta di restituzione delle somme erogate dal 1^ novembre 2011 al 31 marzo 2012. Tanto premesso chiedeva il riconoscimento in suo favore della reversibilità del trattamento pensionistico in precedenza percepito dal genitore deceduto ed il ripristino della erogazione dei ratei sin dalla data della sospensione che l’adito giudice rigettava la domanda e tale decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza del 29 marzo 2017 in quanto dalla documentazione acquisita agli atti era emerso che il genitore deceduto non provvedeva in via continuativa ed in misura quantomeno prevalente al mantenimento economico della P. , che, seppur non autosufficiente, era coniugata con soggetto percettore di un reddito superiore ad Euro 2.000,00 mensili ed era ella titolare di indennità di accompagnamento che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la P. affidato a due motivi cui resiste l’INPS con controricorso che è stata depositata proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio. Considerato che con il primo motivo di ricorso si deduce erronea e falsa applicazione del R.D.L. 14 aprile 1933, n. 636, art. 13 e succ. modifiche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte territoriale erroneamente escluso il requisito della vivenza a carico del figlio maggiorenne inabile omettendo di tener conto della documentazione acquisita agli atti, in particolare, dei certificati di residenza dei genitori della P. e di quello del coniuge, quest’ultimo risultante residente a Bolzano sin dal 1994 con il secondo motivo viene denunciata omessa e falsa applicazione del R.D.L. n. 636 del 1933, art. 13, come successivamente modificato, in combinazione con l’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 non avendo la Corte d’appello ammesso la prova testimoniale articolata dalla P. e finalizzata proprio a dimostrare la sua vivenza a carico dei genitori al momento del loro decesso che entrambi i motivi, nonostante il richiamo a violazione di legge contenuto nelle rispettive intestazioni, sono inammissibili in quanto finiscono con il sollecitare una rivisitazione del merito non consentita in questa sede. Peraltro, l’impugnata sentenza ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo cui In caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi, laddove il requisito della vivenza a carico , se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile tale accertamento di fatto è rimesso al giudice di merito e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato Cass. n. 9237 del 13 aprile 2018, da ultimo e per tutte . Ed infatti, il requisito della vivenza a carico va identificato con la dipendenza economica del figlio, nel caso in esame correttamente esclusa dalla Corte d’appello e non nell’attività di cura ed assistenza eventualmente prestata dai genitori presso il domicilio del figlio non autosufficiente nell’espletamento degli atti del vivere quotidiano, circostanza questa, quindi, non decisiva e che la prova testimoniale correttamente non ammessa - era intesa a provare che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228 legge di stabilità 2013 trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame Cass. n. 22035 del 17/10/2014 Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi . P.Q.M. La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.