Nuova sconfitta per un Comune in provincia di Brescia che aveva originariamente escluso a priori le domande presentate da persone non italiane. Quella era una evidente discriminazione. Ma, secondo i Giudici, è una discriminazione anche accogliere le richieste dei cittadini extracomunitari per poi riconoscere loro un contributo inferiore a quello originariamente previsto e riconosciuto agli aventi diritto italiani.
È discriminatorio precludere ai cittadini extracomunitari la possibilità di accedere al Fondo per il contributo integrativo all’affitto istituto dal Comune. E, allo stesso tempo, è discriminatorio anche porre rimedio all’errore riconoscendo ai cittadini extracomunitari contributi ridotti rispetto a quelli originariamente assegnati ai cittadini italiani. Irrilevanti i richiami ai problemi di bilancio e alla necessità di dovere recuperare le somme in eccesso già versate ai richiedenti – italiani – il contributo per poterle redistribuire tra gli ulteriori beneficiari Cassazione, sentenza numero 1848/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Fondo. Riflettori puntati su un Comune in provincia di Brescia, e, in particolare, sulla scelta di «escludere dall’accesso al Fondo per il contributo integrativo all’affitto, istituito nel 2009, i residenti non aventi cittadinanza comunitaria». A protestare sono, ovviamente, i cittadini extracomunitari che si sono visti respingere a priori la richiesta di potere ottenere il sostegno economico. Passaggio successivo è per loro la scelta di citare in giudizio il Comune. E questa scelta si rivela azzeccata in Tribunale viene dichiarato «il carattere discriminatorio del regolamento» adottato dal Comune, a cui viene ordinato di «estendere il beneficio» anche ai cittadini non comunitari e di «riaprire i termini per la presentazione delle loro domande». Questione chiusa? Assolutamente no, poiché viene sì ufficializzata «l’inclusione di altri trentasette soggetti», il Comune «riparametra il contributo alla luce del più alto numero dei soggetti aventi diritto» e «ne subordina la corresponsione ai beneficiari extracomunitari al recupero delle some eccedenti già pagate agli originari aventi diritto» ossia esclusivamente «cittadini comunitari». Questa decisione viene ritenuta corretta dal Tribunale, che condanna il Comune a «pagare ai beneficiari extracomunitari la minor somma di 336,48 euro». Di parere diverso, invece, i Giudici della Corte d’Appello, i quali osservano che «il comportamento dell’Ente locale ha determinato il perpetuarsi della discriminazione», poiché «l’esito incerto delle procedure di recupero equivale a disattendere l’obbligo di rimuovere la discriminazione» originaria, creando invece una ulteriore «conseguenza pregiudizievole nei confronti dei soggetti lesi» che hanno diritto, sanciscono i Giudici, a «percepire il contributo nella misura già corrisposta a favore dei cittadini comunitari». Importi. A rendere definitiva la condanna del Comune è la Cassazione, che ne cristallizza l’obbligo di versare ai cittadini extracomunitari il beneficio integrale, pari cioè a quello già riconosciuto ai cittadini comunitari. Respinta la linea difensiva proposta dall’ente locale. L’avvocato del Comune ha sottolineato che «la rimozione della condotta discriminatoria comportava necessariamente l’attivazione degli strumenti economico-finanziari che regolano la vita di un ente locale, e, dunque, in primo luogo l’individuazione della copertura finanziaria necessaria a far fronte alla spesa». Sempre ragionando in questa ottica, egli spiega ai Giudici che «stante l’impossibilità di conseguire maggiori disponibilità per il fondo, se non a prezzo del dissesto finanziario, e non potendosi, a saldi invariati, dare esecuzione al provvedimento del giudice, se non previo recupero dei contributi già illegittimamente versati nel 2009 ai soli cittadini comunitari, era necessario sia rideterminare gli importi delle erogazioni dovute che, in ragione del considerevole aumento degli aventi diritto, sarebbero risultate giocoforza di consistenza inferiore, sia subordinare le nuove erogazioni alla ripetizione di quelle in precedenza effettuate in eccesso». Queste obiezioni non hanno minimamente convinto i Magistrati della Cassazione. A loro parere, difatti, non solo è indiscutibile «il diritto» dei beneficiari extracomunitari ad «ottenere l’immediato pagamento del contributo», ma è altrettanto certo che «il credito» da loro vantato «andava liquidato nella medesima misura in cui il Comune lo aveva già riconosciuto in favore dei cittadini comunitari». Anche perché, viene aggiunto, «l’erogazione di un contributo inferiore avrebbe comportato il perpetuarsi del trattamento discriminatorio» nei confronti dei cittadini extracomunitari.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 novembre 2018 – 23 gennaio 2019, numero 1848 Presidente/Relatore D’Antonio Fatti di causa 1.La Corte d’appello di Brescia,in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato il Comune di Adro, contumace nel giudizio, a pagare agli attuali contro ricorrenti le ulteriori somme, oltre quelle già riconosciute dal Tribunale, indicate in dispositivo a titolo di saldo del contributo integrativo per l’affitto. La Corte ha riportato la motivazione già assunta in altro analogo giudizio ed in particolare ha riferito che il Tribunale di Brescia con provvedimento in sede cautelare reso ai sensi del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 44 , dichiarò il carattere discriminatorio del regolamento del Comune di Adro nella parte in cui escludeva dall’accesso al fondo per contributo integrativo all’affitto, istituito nel 2009, i residenti non aventi cittadinanza comunitaria e ordinò all’ente di estendere il beneficio anche a questi ultimi, riaprendo i termini per la presentazione delle loro domande che la messa in esecuzione del provvedimento comportò l’inclusione in graduatoria di altri 37 soggetti, oltre ai 27 originari a seguito del quale il Comune riparametrò il contributo alla luce del più alto numero degli aventi diritto subordinandone la corresponsione agli extracomunitari al recupero delle somme eccedenti già pagate agli originari aventi diritto cittadini comunitari che il Tribunale di Brescia condannò il Comune a pagare ai ricorrenti la minor somma di Euro 336,48, oltre agli interessi legali, premettendo che la decisione del Comune di non rifinanziare il fondo affitti non era sindacabile e che, comunque, era dovuta immediatamente la minor somma ottenuta a seguito della riparametrazione del contributo al maggior numero di richiedenti. Secondo la Corte d’appello, in conformità alla sua precedente decisione, il comportamento del Comune aveva determinato il perpetuarsi della discriminazione che i provvedimenti cautelari avevano ordinato di rimuovere, atteso che, attendere l’esito incerto delle procedure di recupero, equivaleva a disattendere l’obbligo di rimuovere la discriminazione integrando una conseguenza pregiudizievole nei confronti dei soggetti lesi dalla discriminazione con conseguente diritto degli stessi di percepire il contributo nella misura già corrisposto a favore dei cittadini comunitari ed ha condannato il Comune al pagamento degli ulteriori importi,di cui in dispositivo. 2.Avverso la sentenza ricorre il Comune di Adro con un articolato motivo. Resistono con controricorso A.A.H. , P.C. , S.O. e E.M.S. . Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c Ragioni della decisione 3. Con l’unico motivo di ricorso il Comune di Adro contesta che le delibere assunte in data successiva all’emanazione del provvedimento reso D.Lgs. numero 286 del 1998, ex articolo 44, avessero carattere discriminatorio. Rileva al riguardo che tale provvedimento gli imponeva unicamente di eliminare dal regolamento fondo affitti la clausola discriminatoria e di riaprire i termini per la presentazione delle domande, dandovi adeguata pubblicità, e che non è controverso che tali obblighi siano stati rispettati. Assume, per contro, che non avendo il giudice posto a suo carico alcun vincolo in ordine alla quantificazione del contributo od ai tempi della sua effettiva erogazione, e non essendo pertanto la prestazione immediatamente esigibile, la rimozione della condotta discriminatoria comportava necessariamente l’attivazione degli strumenti economico-finanziari che regolano la vita di un ente locale, e dunque, in primo luogo, l’individuazione della copertura finanziaria necessaria a far fronte alla spesa. Sostiene quindi che, stante l’impossibilità di conseguire maggiori disponibilità per il fondo se non a prezzo del proprio dissesto finanziario, e non potendosi, a saldi invariati, dare esecuzione al provvedimento giurisdizionale se non previo recupero dei contributi già illegittimamente versati nel 2009 ai soli cittadini comunitari, era necessario sia rideterminare gli importi delle erogazioni dovute che, in ragione del considerevole aumento degli aventi diritto, sarebbero risultate giocoforza di consistenza inferiore , sia subordinare le nuove erogazioni alla ripetizione di quelle in precedenza effettuate in eccesso. Rileva, infine, che il TAR della Lombardia, adito da uno dei soggetti cui era stata richiesta la restituzione, ha respinto la tesi della necessità dell’estensione anche ai cittadini extracomunitari dell’importo inizialmente erogato. 4. Il motivo non merita accoglimento. Questa Corte ha già deciso una fattispecie del tutto analoga con la sentenza numero 16048/2018 alla quale questo collegio intende uniformarsi. In particolare nel citato precedente si è osservato,e tali considerazioni risultano del tutto pertinenti anche alla fattispecie in esame che il tribunale, pur affermando l’insindacabilità delle delibere con le quali il Comune di Adro aveva stabilito di non rifinanziare il fondo affitti e di ripartire fra tutti gli aventi diritto il finanziamento già stanziato previa ripetizione degli importi in precedenza erogati in eccesso,aveva comunque riconosciuto il diritto del ricorrente ad ottenere l’immediato pagamento del contributo ancorché nella minor misura che sarebbe derivata dall’ipotetica distribuzione della somma stanziata fra una più numerosa platea di aventi diritto che il giudice di primo grado aveva non solo in contraddizione con la propria premessa ritenuto illegittima, e perciò disapplicato, la delibera che subordinava l’erogazione del contributo ai cittadini extracomunitari ad un evento futuro ed incerto il parziale recupero di quanto già distribuito ai cittadini comunitari , ma aveva quantomeno implicitamente accertato che l’inclusione nell’elenco dei soggetti ammessi al beneficio integrava, di per sé, fatto costitutivo del diritto del richiedente alla riscossione del contributo che la decisione era stata impugnata dai soli attuali contro ricorrenti e non dal Comune, con la conseguenza che si era formato il giudicato sull’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile degli stessi, derivante dal titolo dedotto in giudizio, non essendo più controverso il diritto di credito nell’an, né potendo più porsi in dubbio la sua immediata esigibilità,restando devoluta al giudice d’appello la sola questione concernente l’effettivo ammontare di tale credito che le censure con le quali il ricorrente torna a contestare il suo obbligo di pagamento immediato evidenziando la piena legittimità della delibera che subordinava il versamento del contributo dovuto ai cittadini extracomunitari al parziale recupero delle somme già erogate risultano, pertanto, palesemente inammissibili che il motivo è parimenti inammissibile nella parte in cui lamenta l’erroneità della statuizione di condanna al pagamento della maggior somma pretesa dai ricorrenti che il giudice a quo ha in proposito osservato che il credito dell’appellante andava liquidato nella medesima misura in cui il Comune, ripartendo il fondo fra i cittadini comunitari, lo aveva già riconosciuto esistente in favore di costoro, in quanto l’erogazione di un contributo inferiore avrebbe comportato il perpetuarsi del trattamento discriminatorio, che non poteva ritenersi eliminato da una delibera successiva alla ripartizione, e dunque alla già compiuta determinazione di ciò che spettava ai soli soggetti cui in origine era stato illegittimamente accordato il beneficio che la ratio decidendi della sentenza risiede,dunque, nel rilievo dell’inesistenza di un potere discrezionale dell’amministrazione di rideterminare il contributo al ribasso, una volta che i fondi stanziati erano già stati interamente erogati ciò, del resto, perché, secondo quanto già accertato dal primo giudice con pronuncia, come si è detto, coperta sul punto da giudicato l’ammissione dei richiedenti al beneficio integrava fatto costitutivo di un vero e proprio loro diritto di credito, la cui effettiva consistenza era stata definita allorché il Comune, dando esecuzione al proprio obbligo, aveva provveduto al pagamento che tale ratio decidendi non risulta investita dalle censure del ricorrente, che invoca,in via del tutto generica, la discezionalità della propria azione amministrativa e la sussistenza di vincoli di bilancio che gli avrebbero impedito di rifinanziare il fondo, ma non contesta in via specifica l’assunto del giudice a quo secondo cui, per evitare il perpetuarsi della condotta discriminatoria, occorreva che i contributi da erogare venissero equiparati nel quantum a quelli già erogati che, infine, non rileva che, con sentenza passata in giudicato, il Tar della Lombardia, nel decidere della legittimità della pretesa del Comune di ottenere la parziale restituzione delle somme già versate, abbia incidentalmente ritenuto non condivisibile la tesi della ricorrente cittadina italiana, percettrice del contributo secondo cui l’importo inizialmente erogato ai soli cittadini comunitari andava esteso anche ai cittadini extracomunitari. Al di là del fatto che il giudice amministrativo ha comunque accolto il ricorso, sancito la non ripetibilità delle somme corrisposte ai cittadini comunitari in tal modo confermando che gli stessi sono definitivamente beneficiari del trattamento più favorevole ed affermato che è ingiustificata la decisione del Comune di subordinare al recupero l’erogazione del contributo ai cittadini extracomunitari sottolineando come, all’interno del bilancio comunale, dovranno comunque essere reperite ulteriori risorse per erogare i contributi anche ai nuovi richiedenti , resta che la sentenza, che non ha pronunciato sulle modalità attraverso le quali doveva essere ripristinata la parità di trattamento, non è idonea a far stato nel presente giudizio. 5. Va,da ultimo, rilevato che nessuna distinzione può essere fatta con riferimento alla controricorrente P.C. che,al pari degli altri, si è visto riconoscere, con decisione definitiva fin dal primo grado, il diritto alla prestazione, né risultando dedotto dal Comune di Adro di aver contestato il diritto della stessa fin dal giudizio davanti al Tribunale. 6. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2 850,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, nonché Euro 200,00 per esborsi, a favore delle parti costituite. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.