L’esecuzione di un ordine illegittimo può giustificare il licenziamento disciplinare?

Spetta al giudice di merito accertare se l’adempimento di un ordine illegittimo impartito dal datore di lavoro equivalga alla violazione degli obblighi contrattualmente assunti poiché, inoltre, nell’ambito privato, non può trovare applicazione l’art. 51 c.p. data l’assenza di un potere di supremazia - inteso in senso pubblicistico - del superiore riconosciuto dalla legge.

Così ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1582/19, depositata il 22 gennaio a fronte del ricorso avanzato da Poste Italiane avverso la statuizione della Corte d’Appello che, in conferma della pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato a una dipendente. Gli ordini illegittimi. Il licenziamento traeva origine da una particolare vicenda la lavoratrice assecondava gli ordini e le sollecitazione illegittime impartite dalla direttrice. La Corte d’Appello, sottolineando che la lavoratrice aveva adempiuto a un dovere impartito attraverso un ordine illegittimo della direttrice, riteneva che il fatto contestato alla dipendente non poteva essere ricondotto alla fattispecie di cui all’art. 54, comma V, lett. c CCNL 2011 in tema di danni derivanti dall’inosservanza degli obblighi di servizio poiché Poste Italiane non aveva ipotizzato né che dalla condotta della lavoratrice fosse conseguito un qualunque danno, né la riconducibilità della condotta contestata nella lett. g del citato CCNL in tema di incapacità di adempiere adeguatamene agli obblighi di servizio . La condotta. In particolare, Poste Italiane, in qualità di ricorrente, denuncia in sede di legittimità la violazione dell’art. 54, comma V, lett. c CCNL 2011 e dell’art. 1362 c.c. Espressioni generali . Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che, una volta esclusa la ricorrenza della fattispecie disciplinare di cui all’art. 54 cit., non potesse valutarsi la rilevanza disciplinare della medesima condotta contestata a norma della successiva lett. g , siccome implicante la considerazione di nuove circostante . La S.C. ritiene che i Giudici di merito hanno fatto un’erronea applicazione del dettato normativo per due ragioni. In primo luogo, il testo negoziale di settore, si riferisce a obblighi e non a ordini di servizio . In secondo luogo l’erroneità del provvedimento impugnato deriva dall’assunto che l’esecuzione di un ordine illegittimamente impartito da un superiore gerarchico non può non equivalere alla violazione degli obblighi contrattualmente assunti circa il rispetto delle norme interne legittimamente emanate, coerentemente con il principio secondo cui, nel rapporto di lavoro privato, non può trovare applicazione l’art. 51 c.p., stante l’assenza di un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge . In conclusione, gli Ermellini accolgono il ricorso, cassano la sentenza impugnata e rinviano la causa alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 10 ottobre 2018 – 22 gennaio 2019, n. 1582 Presidente Tardio – Relatore Fiordalisi Rilevato in fatto che, con sentenza depositata il 10.6.2017, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la statuizione di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato da Poste Italiane s.p.a. a P.S. che avverso tale pronuncia Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura che P.S. ha resistito con controricorso che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio che parte controricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 St. lav., dell’art. 54, comma 5, lett. c e lett. g , CCNL 2011, nonché degli artt. 1362 c.c. ss., per avere la Corte di merito ritenuto che, una volta esclusa la ricorrenza della fattispecie disciplinare di cui all’art. 54, comma 5, lett. e , CCNL cit., non potesse valutarsi la rilevanza disciplinare della medesima condotta contestata a norma della successiva lett. g , siccome implicante la considerazione di circostanze nuove che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 St. lav., dell’art. 54, comma 4, lett. n , CCNL 2011, nonché degli artt. 1362 c.c.ss., per avere la Corte territoriale ritenuto che la mancanza contestata alla lavoratrice potesse essere sussunta nell’ambito della disposizione contrattuale cit., che prevede la comminazione di una sanzione disciplinare conservativa, senza considerare che tale disposizione andrebbe letta congiuntamente a quella di cui all’art. 54, comma 5, lett. g , che per le mancanze di particolare gravità prevede il licenziamento che, con riguardo al primo motivo, è costante l’orientamento di questa Corte nel ritenere che, in materia di licenziamento disciplinare, non rileva né la circostanza che nell’atto risolutivo del rapporto, fermo restando nella sua specificità il fatto contestato, questo venga ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare, non verificandosi in specie una modifica della contestazione ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto, né che analogamente proceda il giudice di merito, cui è demandato l’apprezzamento del fatto al fine della valutazione della gravità o meno dell’inadempimento Cass. nn. 11851 del 1995, 6499 e 21622 del 2011, 5821 del 2013, 26678 del 2017 che, nella specie, la Corte di merito ha ritenuto che, una volta accertato che il fatto contestato alla lavoratrice non poteva essere ricondotto sotto la fattispecie di cui all’art. 54, comma 5, lett. c , CCNL, per non avere l’odierna ricorrente neppure ipotizzato che un danno di qualunque tipo sia conseguito alle condotte addebitate cfr. pag. 4 della sentenza impugnata , nemmeno poteva ipotizzarsi la riconducibilità della condotta contestata alla fattispecie della successiva lett. g che prevede il licenziamento anche per qualsiasi fatto che dimostri piena incapacità di adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio , dal momento che nella vicenda oggetto di contestazione non si addebitava alla lavoratrice di non aver adempiuto ad ordini di servizio, ma l’esatto contrario aver assecondato gli ordini e le sollecitazioni illegittime che le provenivano dalla direttrice ibid., pag. 6 che, così interpretando la disposizione contrattuale, i giudici di merito hanno palesemente violato l’art. 1362 c.c., comma 1, sia perché il testo negoziale si riferisce ad obblighi e non ad ordini di servizio, sia perché l’esecuzione di un ordine illegittimo impartito da un superiore gerarchico non può non equivalere alla violazione degli obblighi contrattualmente assunti circa il rispetto delle norme interne legittimamente emanate, coerentemente con il principio secondo cui, nel rapporto di lavoro privato, non può trovare applicazione l’art. 51 c.p., stante l’assenza di un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge cfr. da ult. Cass. n. 23600 del 2018 che, conseguentemente, assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione che, in considerazione dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.