Legittimo il licenziamento per aver strattonato una collega

Esclusi dai Giudici i presupposti per il licenziamento. Tuttavia, viene dichiarato risolto il rapporto e il lavoratore si vede riconosciuta un’indennità risarcitoria. Evidente la gravità del comportamento da lui tenuto in ufficio.

Scontro in azienda un lavoratore aggredisce una collega, spingendola, strattonandola e cercando di convincerla a uscire dall’ufficio. Condotta per nulla civile, ma, osservano i Giudici, non sufficiente a dare il ‘la’ al licenziamento. Vittoria, quindi, per il dipendente, che però deve comunque dire addio al proprio posto di lavoro e consolarsi con l’indennità risarcitoria Corte di Cassazione, sentenza n. 33027/18, sez. Lavoro, depositata oggi . Rilievo. Ricostruito nei dettagli l’episodio è stato appurato che il dipendente ha spinto una collega, fino a strattonarle la maglia, per convincerla a uscire dall’ufficio . Evidente, secondo i Giudici, il carattere odioso del comportamento, catalogabile come intimidazione psicologica , anche tenendo presenti i difficili rapporti esistenti da tempo con la collega. Questo dato è sufficiente a giustificare il licenziamento del lavoratore, sostiene l’azienda. Di parere diverso, invece, i Giudici che, prima in Tribunale e poi in Appello, spiegano che i fatti contestati rivestono rilievo disciplinare apprezzabile ma aggiungono che la sanzione del licenziamento è sproporzionata . Questa valutazione non salva però il dipendente, che vede dichiarato risolto il rapporto con l’azienda e si vede riconosciuta una indennità risarcitoria . E su questa posizione si assesta anche la Cassazione, respingendo il ricorso proposto dal lavoratore. Condivisa appieno dai Giudici del Palazzaccio è la lettura data al comportamento tenuto dal lavoratore in ufficio, che, come detto, si è reso autore di un comportamento violento posto in essere nei confronti di una collega , comportamento che, seppur occasionale , è di rilevanza anche penale e costituisce indubbiamente una grave violazione degli obblighi discendenti dal contratto di lavoro .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 ottobre – 20 dicembre 2018, n. 33027 Presidente Nobile – Relatore Marchese Fatti di causa Il Tribunale di Milano, con sentenza nr. 3479 del 2016, pronunciando, ai sensi dell'art. 1 comma 51 della legge nr. 92 del 2012, in merito all'impugnativa del licenziamento intimato il 18.2.2016 da Italiana Assicurazioni S.p.A. nei confronti di Lu. Gu., dichiarava illegittimo il recesso e, in applicazione della tutela ex art. 18, comma 4, della legge nr. 300 del 1970, ratione temporis applicabile, condannava la parte datoriale a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed al pagamento dell'indennità risarcitoria, pari alla retribuzione globale di fatto maturata dal licenziamento alla reintegra e comunque in misura non superiore a 12 mensilità, oltre accessori e versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. La Corte di Appello di Milano, con sentenza nr. 911 del 2017, pronunciando sul reclamo, proposto da Italiana Assicurazioni S.p.A., ai sensi dell'art. 1 comma 58 della legge nr. 92 del 2012, applicava, invece, la tutela ex art. 18, comma 5, della legge nr. 300 del 1970, ponendo le spese del doppio grado di giudizio in danno della parte reclamata. Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale, osservava come i fatti contestati, sussistenti nella loro materialità, rivestissero rilievo disciplinare apprezzabile rispetto agli stessi, tuttavia, la sanzione del licenziamento era sproporzionata. Nello specifico, il lavoratore aveva violato il codice etico della società e, sostanzialmente, le regole del vivere civile aveva spinto una collega, fino a strattonarle la maglia, per convincerla ad uscire dall'ufficio il gesto assumeva il carattere odioso dell'intimidazione psicologica, anche in ragione dei difficili rapporti sussistenti da tempo tra i due. La sanzione, però, non era proporzionata alla gravità, in concreto, del fatto si trattava di un episodio occasionale, generato anche dall'atteggiamento della vittima che prima aveva chiesto un aiuto e poi lo aveva rifiutato la vicenda era rimasta priva di conseguenze sul piano lavorativo. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso Lu. Gu., affidato a tre motivi, ed illustrato con memoria ex art. 378 cod.proc.civ. Ha resistito, con controricorso, Italiana assicurazioni SpA. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, è dedotta ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. -violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 cod. civ. 1.1.La parte ricorrente censura la ricostruzione dei fatti operata in sentenza assume l'omesso esame delle circostanze del caso concreto ed osserva come non fosse stata provata la condotta di sottrazione delle pratiche alla collega in ogni caso, la Corte non avrebbe proceduto all'apprezzamento unitario e sistematico dei vari elementi di giudizio, necessario per poter affermare l'esistenza di grave negazione dell'elemento fiduciario. 2. Con il secondo motivo, è dedotta ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 cod. civ., dell'art. 2106 cod.civ., dell'art. 18 della legge nr. 300 del 1970, in relazione al codice disciplinare applicato dalla Italiana Assicurazioni s.p.a. 2.1. La parte ricorrente imputa alla sentenza di non aver proceduto alla verifica di sussunzione del fatto, come accertato, nell'ambito delle ipotesi punite con sanzione conservativa dal codice disciplinare del CCNL applicato al rapporto. 3. I due motivi si esaminano congiuntamente, presentando profili di connessione. 3.1.Essi, complessivamente, sono da respingere. 3.2.Occorre anzitutto premettere che il vizio di cui all'art. 360 nr. 3 cod. proc. civ., quale è quello denunciato in questa sede, viene in rilievo solo in relazione al fatto nei termini in cui è accertato in sentenza e non già rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente. La denuncia di errata valutazione degli elementi di prova resta, dunque, estranea ai profili qui in esame che devono esaminarsi avuto esclusivo riguardo alla condotta del lavoratore come accertata dalla Corte di Appello. 3.3.Sulla base di questa premessa, deve rammentarsi che il giudice di merito investito della domanda con cui si chieda l'invalidazione d'un licenziamento disciplinare, accertata in primo luogo la sussistenza in punto di fatto dell'infrazione contestata, deve poi verificare che la stessa sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto la gravità dell'addebito, essendo pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia circa la futura correttezza dell'adempimento della prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore dipendente rispetto all'adempimento dei suoi obblighi cfr., ex aliis, Cass. nr.15058 del 2015 Cass. nr. 2013 del 2012 Cass. nr. 2906 del 2005 Cass. nr. 16260 del 2004 . 3.4.A tal fine, sempre secondo costante giurisprudenza, il giudice deve tener conto di tutti i connotati oggetti e soggettivi del fatto, vale a dire del danno arrecato, dell'intensità del dolo o del grado della colpa, dei precedenti disciplinari nonché di ogni altra circostanza tale da incidere in concreto sulla valutazione del livello di lesione del rapporto fiduciario tra le parti. 3.5. A tali insegnamenti si è attenuta la Corte di merito. 3.6.La sentenza impugnata ha, in primo luogo, accertato la sussistenza del fatto contestato ovvero che il lavoratore, al diniego di una collega di consegnargli alcune pratiche, tentava di prendere con forza i documenti, alzava il tono di voce, afferrava per un braccio la collega tirandole il maglione , allo scopo di portarla fuori dall'ufficio. 3.7.1 giudici di merito hanno correttamente ritenuto che detta condotta rappresentasse fatto di rilievo disciplinare, astrattamente inquadrabile nella nozione di giusta causa il comportamento violento posto in essere nei confronti di un collega di lavoro, di rilevanza anche penale, costituisce indubbiamente una grave violazione degli obblighi discendenti dal contratto di lavoro. 3.8.Il successivo giudizio, ovvero quello avente ad oggetto la verifica, in concreto, della gravità della condotta, si è concluso, invece, con esito negativo la Corte di merito, avuto riguardo all'occasionante del comportamento il lavoratore non aveva precedenti disciplinari , al contesto in cui andava ad inserirsi la condotta la collega dapprima aveva chiesto il suo aiuto e poi lo aveva rifiutato solo perché non era stato da subito disponibile , all'assenza di conseguenze sul piano lavorativo, ha escluso la giusta casa del recesso. 4. Ciò di cui si duole la parte ricorrente è, però, la tutela apprestata. 4.1. La doglianza riguarda, nello specifico, l'omessa attività valutativa e sussuntiva del giudice con riferimento alle previsioni contenute nel codice disciplinare del contratto collettivo che avrebbero stabilito, secondo la tesi del ricorrente, per la condotta come accertata, la sanzione conservativa. 4.2. La censura si arresta ad un rilievo di inammissibilità, per novità della questione. 4.3.Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini e accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello, nel rispetto del contraddittorio. 4.4. Ne consegue che ove una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata nella sentenza impugnata il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima ancora di esaminare nel merito la questione stessa ex plurimis Cass. nr. 13547 del 2014 . 4.5.Il profilo della sussunzione della condotta tra le ipotesi punite, in sede di codice disciplinare, con sanzione conservativa non è stato specificamente affrontato nella sentenza impugnata che si limita a rilevare come, per il licenziamento dai giudici, infatti, ritenuto spropositato , le parti collettive richiedano un grave diverbio litigioso e/o oltraggioso nulla si dice in relazione alla previsione, nel codice disciplinare, di una condotta esattamente corrispondente a quella in concreto accertata. 4.6.Il ricorrente avrebbe allora dovuto allegare di aver proposto la questione, negli esatti termini qui denunciati, negli atti difensivi dei gradi di merito, trascrivendo, poi, le parti rilevanti degli stessi oltre all'onere di deposito degli stessi, ai sensi dell'articolo 369 nr. 4 cod. proc. civ. . 5. Con il terzo motivo ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 132 429 e 437 , 4 co, cod.proc.civ. in relazione alla legge nr. 92 del 2012 ed all'art. 18 comma 5 della legge nr. 300 del 1970. 5.1.La censura riguarda il governo delle spese la Corte di appello, pur avendo dichiarato l'illegittimità del licenziamento, ha poi condannato la parte reclamata id est il lavoratore al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. 5.2.Il motivo è fondato. 5.3.Questa Corte ha affermato che La parte che, all'esito finale della lite, risulti vittoriosa per effetto dell'accoglimento anche non integrale della sua domanda, non può subire la condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte soccombente, salva l'ipotesi della trasgressione al dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 cod.proc.civ. Cass. nr. 6860 del 2015 . 5.4.A tale principio non si è attenuta la Corte di appello. 5.5.La sentenza va dunque cassata con rinvio al Giudice designato in dispositivo che, nel procedere a nuovo esame in merito alla liquidazione delle spese dei gradi di merito, si conformerà al principio di diritto indicato al paragrafo 5.3. il Giudice di rinvio provvedere, altresì, sulle spese del giudizio di legittimità. PQM La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.