La busta paga non dimostra l’effettivo pagamento della retribuzione

In tema di lavoro subordinato, non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dalle buste paga. È infatti sempre possibile l’accertamento dell’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore alle buste paga.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28029/18, depositata il 2 novembre. I fatti. La Corte d’Appello di Palermo confermava il rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo con cui era stato intimato il pagamento delle somme relative al rapporto di lavoro intercorso tra le parti e al TFR. La Corte territoriale aveva infatti accertato che la sottoscrizione del lavoratore in calce alla busta paga non aveva valore di quietanza ma attestava la mera ricezione della stessa. Sarebbe dunque stato onere del datore di lavoro dimostrare l’avvenuta erogazione di tali somme. Il datore di lavoro ricorre dunque in Cassazione. Buste paga . Il ricorso si rivela infondato essendosi la sentenza impugnata conformata alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui le buste paga, anche se sottoscritte dal lavoratore con formula per ricevuta” costituiscono prova della mera consegna delle stesse e non dell’effettivo pagamento. La dimostrazione di quest’ultimo incombe al datore di lavoro attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quando da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 luglio – 2 novembre 2018, numero 28029 Presidente Nobile – Relatore Garri Fatti di causa 1. La Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato l’opposizione proposta da G.M. avverso il decreto ingiuntivo con il quale T.T. aveva intimato il pagamento della somma di Euro 20.622,10 per retribuzioni relative al periodo gennaio 2003/giugno 2004 Euro 15.589,80 e trattamento di fine rapporto Euro 5.032,30 . 2. La Corte territoriale ha accertato che la sottoscrizione apposta dal lavoratore in calce alle buste paga non aveva valore di quietanza ma attestasse solo la ricezione delle stesse e che, perciò, era onere del datore di lavoro, che non vi aveva adempiuto, dimostrare l’effettiva erogazione delle somme ivi riepilogate. Quanto al TFR la Corte di merito ha escluso che le cifre indicate in due fogli di agenda prodotti dal datore di lavoro prive di specificazione di una causale potessero essere riferite ad anticipi erogati al T. . 3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso G.M. affidato a due motivi al quale resiste T.T. con tempestivo controricorso. Ragioni della decisione 4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’articolo 2697 cod. civ. in combinato disposto con gli artt. 111 Cost. e 2729 cod. civ. e 99 e 100 cod. proc. civ Sostiene il ricorrente che gravava sul lavoratore dimostrare il fondamento del proprio credito e, nello specifico, che le somme a lui erogate non corrispondevano a quelle riportate nelle buste paga depositate e ciò a maggior ragione ove le stesse siano state sottoscritte dal lavoratore all’atto della consegna. Perciò depositando in giudizio le buste paga il datore di lavoro aveva assolto all’onere probatorio che su di lui incombeva. Ed infatti il lavoratore le aveva genericamente contestate e le modalità di compilazione delle buste paga doveva convincere del fatto che, in mancanza di prova del contrario, erano state sottoscritte per quietanza. Sottolinea che la testimonianza del teste indotto dal lavoratore era priva di valenza probatoria in quanto riportava una ricostruzione dei fatti appresa dallo stesso lavoratore. 5. La censura, per taluni aspetti inammissibile, è comunque infondata. Va premesso che il motivo di ricorso è generico nella parte in cui, invocando un’errata distribuzione degli oneri probatori ed una non corretta valorizzazione del materiale probatorio, trascura di riportare il contenuto della prova testimoniale e delle buste paga, di cui si denuncia una non corretta valorizzazione nella ricostruzione della prova offerta in giudizio. Ma la censura è del pari infondata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula per ricevuta e nello specifico non è dato sapere neppure se tale formula fosse presente , costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte cfr. tra le tante Cass. 27/04/2018 numero 10306, 26/10/2017 numero 25463 e 24/06/2016 numero 13150 . Premesso che la sottoscrizione per ricevuta apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, e pertanto la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e seguenti cod. civ. cfr. Cass. 24/06/1998 numero 6267 va qui ribadito che non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l’accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga cfr. Cass. 14/07/2001 numero 9588 . 6. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di analizzare le dichiarazioni rese dal teste C. che aveva riferito che il T. quando veniva a ritirare il denaro firmava qualcosa nell’ufficio che io vedevo attraverso il vetro . Inoltre ha riferito di fatti appresi dallo stesso attore che comprovavano il pagamento di tutto quanto dovuto in relazione al rapporto di lavoro. 7. La censura è inammissibile atteso che la Corte territoriale ben lungi dal trascurare le circostanze riferite dal teste C. , nell’esercizio del potere discrezionale di valutazione delle prove acquisite al processo a lei riservato, ne ha apprezzato la rilevanza e l’attendibilità nel contesto delle prove complessivamente acquisite sicché non è incorsa nella denunciata violazione. Va qui ribadito che l’articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., riformulato dall’articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie cfr. per tutte Cass. s.u. 07/04/2014 numero 8053 . 8. In conclusione, per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, distratte in favore dell’Avv. Di Matteo anticipatario, sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 comma 1 bis del citato d.P.R P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 3500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori di legge. Spese da distrarsi in favore dell’Avv. Filippo Di Matteo che se ne è dichiarato antistatario. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 comma 1 bis del citato d.P.R