Mandante residente all’estero e rilascio della procura alle liti in Italia

In caso di mandante residente all’estero, la prova contraria volta a superare la presunzione del rilascio della procura alle liti in Italia, può desumersi anche dalla mancata risposta all’interrogatorio formale deferito dalla controparte sulla circostanza del luogo in cui la procura venne sottoscritta, cui il giudice, secondo la sua prudente valutazione, può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti .

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 26828/18 depositata il 23 ottobre. Il caso. L’appellante impugnava la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che accoglieva l’eccezione dell’INPS e dichiarava la nullità della procura alle liti, in quanto rilasciata all’estero senza l’espletamento delle formalità della legalizzazione di essa da parte di rappresentanze consolari italiane all’estero. In particolare chiedeva la condanna dell’INPS al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sui ratei pensionistici corrisposti in ritardo al suo dante causa per la applicazione tardiva dei benefici per gli ex combattenti. La procura alle liti. La ricorrente, nella fattispecie sostiene che alla luce del novellato art. 182 c.p.c. deve ritenersi introdotto il principio della sanabilità della procura alle liti con efficacia ex tunc o comunque dal momento dell’instaurazione del giudizio pertanto, il giudice di prime cure ha sbagliato nel non concederle un termine per la sanatoria della procura. In particolare, la Corte territoriale ha respinto l’impugnazione dopo aver rilevato che l’appellante non si era presentata per rendere interrogatorio formale, avente ad oggetto la sottoscrizione in Italia della procura a margine del ricorso di primo grado. Sul tema la Suprema Corte ha già statuito in precedenza che, in caso di mandante residente all’estero, la prova contraria volta a superare la presunzione del rilascio della procura alle liti in Italia, può desumersi da vari elementi o dal comportamento processuale della parte in particolare dalla mancata risposta all’interrogatorio formale deferito dalla controparte sulla circostanza del luogo in cui la procura venne sottoscritta, cui il giudice, secondo la sua prudente valutazione, può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti . Per queste ragioni, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 giugno – 23 ottobre 2018, n. 26828 Presidente Manna – Relatore Berrino Fatto e diritto Rilevato che V.M. ha impugnato in appello la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che, accogliendo l’eccezione dell’Inps, aveva dichiarato la nullità della procura, in quanto rilasciata all’estero e senza l’espletamento delle formalità della legalizzazione della stessa da parte di rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero, nonché del ricorso volto alla condanna del predetto istituto al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sui ratei pensionistici corrisposti in ritardo al suo dante causa per la tardiva applicazione dei benefici per gli ex combattenti la Corte d’appello di Roma sentenza del 27.2.2012 ha respinto l’impugnazione dopo aver rilevato che l’appellante non era comparsa a rendere l’interrogatorio formale, vertente sulla circostanza relativa alla sottoscrizione in Italia della procura a margine del ricorso di primo grado, e non aveva ottemperato all’ordine di esibizione di una copia del proprio passaporto o di altra idonea documentazione da cui poteva risultare l’effettuazione del viaggio in Italia per il rilascio della procura al difensore costituito per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.M. con due motivi, cui ha resistito l’Inps con controricorso le parti hanno depositano memoria il P.G. ha concluso per le rimessione della causa all’udienza pubblica Considerato che 1. col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo all’art. 232 c.p.c., all’art. 83 c.p.c., all’art. 2697 c.c. e all’art. 182 c.p.c. come modificato dalla legge 18.6.2009 n. 69, nonché l’error in pocedendo ratifica e conferma della sussistenza dello jus postulandi in capo al difensore 1. a. la ricorrente sostiene che alla luce del novellato art. 182 c.p.c. deve ritenersi definitivamente introdotto il principio della sanabilità della procura alle liti con efficacia ex tunc o dal momento dell’instaurazione del giudizio, per cui male aveva fatto il primo giudice a non concederle un termine per la sanatoria della procura 2. col secondo motivo, dedotto per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo agli artt. 112, 434, 115, 116, 232 e 83 c.p.c., la ricorrente lamenta l’illegittimità della motivazione incentrata sulla mancata risposta all’interpello, in quanto il giudice di primo grado non aveva ammesso l’interrogatorio formale, né l’Inps aveva chiesto una tale prova, per cui la Corte territoriale aveva deciso sulla base di una prova mai richiesta e mai acquisita 2. a. in ogni caso, ai fini della validità della procura alle liti era irrilevante il fatto che essa ricorrente risiedesse all’estero, non potendo tale circostanza valere come prova contraria alla presunzione di avvenuto rilascio in Italia del mandato inoltre il primo giudice non l’aveva onerata di esibire il passaporto, ma di provare con i mezzi più opportuni il rilascio in territorio italiano del mandato, senza contare che, comunque, sarebbe stato onere dell’Inps superare la presunzione dell’avvenuto conferimento in Italia del suddetto mandato 3. il ricorso è infondato 3. a. anzitutto, corre obbligo rilevare che in maniera inammissibile la ricorrente sottopone all’esame di questa Corte una questioni di merito, quale quella della lamentata mancata concessione da parte del giudice di primo grado di un termine per la sanatoria della procura, questione, questa, che poteva formare oggetto di motivo d’appello innanzi al giudice di secondo grado, posto che gli eventuali vizi della sentenza di prime cure si convertono in motivi di gravame del giudizio di merito 3. b. si è, infatti, statuto Cass. Sez. 2 n. 6754 del 5.5.2003 che Spetta al giudice di merito definire il contenuto e la portata delle domande e delle eccezioni avanzate dalle parti, identificando sia il bene della vita destinato a formare oggetto della pronuncia giudiziale petitum , sia il complesso degli elementi della fattispecie da cui derivino le pretese dedotte in giudizio causa petendi . Ne consegue che, in virtù dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza di appello e del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione, deriva che l’errore in cui sia incorso il giudice quanto alla individuazione del petitum oltrepassato e/o della causa petendi mutata rispetto alla prospettazione , se commesso nel primo grado del giudizio, non può essere dedotto come mezzo di cassazione della sentenza di secondo grado quando non abbia formato oggetto di motivo del gravame rivolto al giudice di appello, posto che ai fini della denuncia con ricorso per cassazione della violazione di norme di diritto, possono essere considerate solo le statuizioni del giudice di appello in relazione ai motivi ed alle richieste formulate dall’appellante, dovendosi, in caso contrario, indefettibilmente rilevare da parte del giudice di legittimità la formazione del giudicato interno sulle questioni che abbiano formato oggetto di dibattito in primo grado e della relativa pronunzia e che non siano state ritualmente riproposte, da chi vi ha interesse, al giudice di appello 4. per quel che concerne, invece, il ragionamento seguito dalla Corte territoriale in ordine al superamento della presunzione del rilascio della procura alle liti in Italia si osserva che lo stesso è sorretto da adeguata motivazione ed è esente da vizi di ordine logico - giuridico, per cui sfugge all’apodittica censura di malgoverno del potere di riparto dell’onere della prova 4. a. si è, infatti, statuito Cass. Sez. Lav. n. 13482 del 30.6.2016 che in caso di mandante residente all’estero, la prova contraria, idonea a superare la presunzione di rilascio della procura ad litem in Italia, può essere desunta da vari elementi quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica stabile residenza della parte in un paese non della Comunità Europea o la mancata dimostrazione di un suo ingresso in Italia , nonché dal comportamento processuale della parte e, in particolare, dalla mancata risposta all’interrogatorio formale deferito dalla controparte sulla circostanza del luogo in cui la procura venne sottoscritta, cui il giudice, secondo la sua prudente valutazione, può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti 4. b. nella fattispecie la Corte distrettuale, dopo aver esaminato l’eccezione preliminare dell’Inps in ordine alla nullità della procura alle liti, ha posto bene in evidenza che l’appellante non era comparsa a rendere l’interrogatorio formale, volto ad appurare la circostanza relativa alla sottoscrizione in Italia della procura a margine del ricorso di primo grado, e non aveva ottemperato all’ordine di esibizione di una copia del proprio passaporto o di altra idonea documentazione da cui poteva risultare l’effettuazione del viaggio in Italia per il rilascio della procura al difensore costituito 4. c. inoltre, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, trattasi di mezzi istruttori ammessi proprio dalla Corte d’appello la quale, nel pervenire al convincimento del raggiungimento della prova del conferimento della procura in esame fuori dello Stato italiano, ha fatto riferimento alla complessiva ed unitaria valutazione delle risultanze processuali, tra le quali anche la stabile residenza della ricorrente nel territorio estero 5. pertanto, il ricorso va rigettato 5. a. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo ricorrono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento del contributo unificato di cui all’art. 13 del d.p.r. n. 115 del 2002, come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente ai pagamento delle spese nella misura di Euro 1100,00, di cui Euro 900,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.