Quando il professore-avvocato fa causa alla sua scuola…

Per effetto della mancata disapplicazione dell’art 1, comma 58-bis, d.lgs. n. 662/1997 da parte dell’art. 1, comma 1, l. n. 339/2003, all’amministrazione scolastica compete la valutazione in concreto della legittimità dell’assunzione del patrocinio legale, da parte dell’insegnante che ivi presti servizio, nonché l’individuazione delle attività che, in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali, non sono consentite ai dipendenti con particolare riferimento all’assunzione di difese in controversie di cui la stessa amministrazione è parte.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26016/2018, depositata il 17.10.2018. La scuola limita il professore nel suo ruolo di avvocato. Un insegnante di scuola pubblica, che svolgeva contemporaneamente la professione forense, impugnava la delibera del proprio Dirigente Scolastico con cui gli veniva concessa l’autorizzazione a svolgere l’attività di avvocato per l’anno scolastico 2009-2010, a condizione che il professore-avvocato” rispettasse il divieto di patrocinare cause a favore o contro l’amministrazione pubblica di appartenenza. Ciò - evidentemente - per evitare conflitti di interesse o, quantomeno, situazioni imbarazzanti. Non è infatti raro lo riportano le sentenze del giudizio in oggetto che molti professori-avvocati assumano il patrocinio in cause che vedono coinvolte come parti colleghi o personale scolastico da un lato e, dall’altro, la stessa scuola in cui insegnano, con la spiacevole conseguenza che il Dirigente Scolastico può trovare in Tribunale, in qualità di procuratore di controparte, il professore-avvocato in servizio nella scuola che dirige Gli interessi da bilanciare La Corte di Cassazione per decidere sulla legittimità dell’autorizzazione a svolgere la professione forense, limitata con il divieto forte di patrocinare cause a favore e contro l’amministrazione pubblica di appartenenza, ragiona intorno ai principi di fedeltà e di esclusività dei pubblici dipendenti in relazione al regime speciale previsto dal Testo Unico in materia di Istruzione d.lgs. n. 297/1994 . In particolare, l’art. 508 del T.U. subordina l’esercizio delle libere professioni da parte dei docenti delle scuole pubbliche a 3 condizioni a autorizzazione del Preside/Dirigente Scolastico b assenza di pregiudizio all’attività di insegnamento c compatibilità della libera professione e orario di servizio, comprensivo delle ore dedicate ad attività propedeutiche e collaterali all’insegnamento. Nel caso di specie, la Corte territoriale si era limitata a considerare tale previsione, ritenendo quindi che non vi fossero limiti all’assunzione del patrocinio in controversie nelle quali fosse parte l’amministrazione scolastica. Il professore-avvocato poteva quindi liberamente difendere e fare causa” all’amministrazione di appartenenza. Diversamente, la Corte di Cassazione considera riduttiva la decisione della Corte territoriale e va oltre, ripercorrendo il contenuto delle norme in materia di pubblico impiego l. n. 140/1997, l. n. 33972003, R.d.l. n. 1578/1933 da un lato considera la generale incompatibilità tra il rapporto di pubblico impiego con le libere professioni, dall’altro però considera la norma speciale di cui all’art. 1, comma 1, l. n. 339/2003 che consente l’esercizio della professione forense a poche specifiche categorie, tra le quali i professori degli istituti scolastici secondari statali come il resistente del caso di specie . Tale possibilità però deve rispettare le condizioni di cui al Testo Unico in materia di istruzione, pertanto, in estrema sintesi, si può concludere che il professore di un istituto scolastico pubblico, secondario, può svolgere la professione forense, su autorizzazione del proprio Preside/Dirigente Scolastico, a condizione che ciò non comporti pregiudizio all’insegnamento e sia con quest’ultimo compatibile dal punto di vista quotidiano. Certo è che il Dirigente scolastico per dare l’autorizzazione a svolgere la professione forense deve considerare i possibili pregiudizi all’insegnamento e può, legittimamente, limitare la propria autorizzazione in ragione dell’interferenza della professione forense sull’insegnamento e sul contesto scolastico. Ne consegue che è giustificato il divieto di patrocinare in cause in cui è parte l’amministrazione pubblica di appartenenza.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 aprile – 17 ottobre 2018, numero 26016 Presidente Di Cerbo – Relatore De Felice Fatti di causa La Corte d’Appello di L’Aquila, in riforma della pronuncia di prime cure, ha accolto la domanda di C.M., docente di discipline giuridiche ed economiche presso l’Istituto di istruzione superiore omissis , volta a sentir dichiarare il suo pieno diritto ad esercitare la professione di avvocato. L’appellante aveva chiesto al Giudice di disapplicare il provvedimento del 3 novembre 2009, con cui il Dirigente scolastico aveva vincolato la concessione dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività libero-professionale per l’anno scolastico 2009-2010 al divieto di patrocinare cause a favore o contro l’amministrazione di appartenenza. Aveva sostenuto l’illegittimità di un siffatto limite, per l’esistenza di una normativa speciale art. 3 R.d.l. numero 1578/1933 , il cui contenuto era stato preservato dai provvedimenti successivi l. numero 662/1996 e sue modifiche ed integrazionì e l. numero 339/2003 la quale, trattando il regime dell’incompatibilità dell’esercizio delle libere professioni - e di quella forense in modo specifico - con il rapporto di pubblico impiego, aveva escluso dal divieto la categoria dei professori delle scuole superiori. Nell’accogliere la domanda, la Corte territoriale ha statuito che la normativa speciale sulla scuola e la peculiare natura dell’attività d’insegnamento ha lasciato inalterata la possibilità in capo al docente di scuola superiore di svolgere la professione forense, senza altri limiti e condizioni, se non quelli espressamente previsti dall’art. 508, co. 15, del d.lgs. 16 aprile 1994, numero 297 cd. Testo Unico in materia d’istruzione . Ha, pertanto, concluso, che il diniego di autorizzazione imposto a C.M., limitatamente al patrocinio in giudizi in cui fosse parte l’Amministrazione scolastica, si poneva in contrasto con la lex specialis che conferisce ai docenti di materie giuridiche ed economiche delle scuole la facoltà di svolgere la professione forense, previa autorizzazione, non ravvisando in ciò un contrasto con lo status giuridico della dipendente. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Miur affidandosi a una censura. C.M. resiste con tempestivo controricorso. Ragioni della decisione Nell’unica censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co.1, numero 3 cod. proc. civ., il Ministero ricorrente contesta Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione della I. 339/2003 dell’art. 58 bis L. 23/12/1996 numero 662 del R.D.L. 27/11/1933 numero 1578, convertito, con modificazioni, dalla L. 22/1/1934 numero 36 e successive modificazioni del Codice deontologico forense degli artt. 2 e 6 del codice di comportamento dei pubblici dipendenti allegato 2 al vigente CCNL scuola del 29/11/2007 dell’art. 508 del d.lgs. 297/94 . Afferma che la motivazione della Corte d’Appello contrasta con la normativa richiamata in epigrafe. Si richiama alla necessità di evitare potenziali conflitti d’interesse nell’esplicazione dell’attività professionale, in quanto Nel caso di specie il conflitto e l’interferenza sono quanto mai concreti, perché risulta che molti avvocati-professori delle scuole hanno assunto il patrocinio in ricorsi proposti ai Giudici del lavoro ed amministrativi dal personale scolastico e di frequente accade che il Dirigente scolastico, autorizzato alla difesa in giudizio ex art. 417 bis cod. proc. civ., trova in Tribunale il professore in servizio nella scuola che dirige, in posizione avversa a quella che egli è chiamato a difendere p. 6 ric. . Propone, pertanto, un’interpretazione del R.D.L. 27/11/1933 numero 1578, convertito, con modificazioni, dalla L. 22/1/1934 numero 36 e successive modificazioni, che ritiene maggiormente coerente con i valori costituzionali d’imparzialità e buona amministrazione, nonché con i principi di fedeltà e di esclusività dei pubblici dipendenti alla Nazione artt. 97 e 98 a cui tutte le norme vigenti sono destinate ad uniformarsi. In quest’ottica la censura prospetta che anche la disciplina di cui all’art. 508 del d.lgs. numero 297/1994, che ha confermato il regime speciale della compatibilità tra status di docente delle scuole superiori pubbliche ed esercizio della professione legale, debba essere contemperata con le altre norme di legge che prevedono per tutti i pubblici dipendenti, nessuno escluso, il generale divieto di operare in conflitto d’interessi con le amministrazioni presso cui prestano servizio. La censura è fondata. La Corte territoriale ha basato il suo convincimento su un’esegesi dell’art. 508, del d.lgs. numero 297/1994 Testo Unico in materia d’istruzione , rimasto in vigore per effetto del richiamo contenuto nell’art. 53 del d.lgs. numero 165/2001 in tema d’incompatibilità, cumulo d’impieghi ed incarichi dei dipendenti pubblici restano ferme le disposizioni dell’art. 508 del d.lgs. numero 297/1994 . L’art. 508 del d. lgs. numero 297 subordina l’esercizio delle libere professioni da parte dei docenti delle scuole pubbliche a all’autorizzazione del dirigente scolastico o del preside b all’assenza di pregiudizio per l’attività d’insegnamento c alla condizione della compatibilità tra libera professione e orario di servizio, comprensivo delle ore dedicate ad attività propedeutiche e collaterali all’insegnamento. La Corte ha, così, ritenuto che l’art. 508, non contenendo nessun’altra limitazione a carico del docente, non ponesse limiti, nello specifico, all’assunzione del patrocinio in controversie nelle quali fosse parte l’Amministrazione scolastica. Il R.D.L. numero 1578/1933, convertito in legge numero 234/1936, nel sancire l’incompatibilità tra la libera professione e il rapporto d’impiego pubblico aveva posto un’espressa deroga per i professori e gli assistenti delle università, e degli istituti scolastici secondari statali, a tutela della libertà d’insegnamento. Tale diverso trattamento, mantenuto da tutte le riforme intervenute in seguito, si giustifica, secondo i Giudici dell’Appello, per il fatto stesso che un conflitto d’interessi non sarebbe neppure ipotizzabile, in ragione della peculiare natura dell’attività svolta dai docenti p.3 sent. , consistente nell’attribuzione agli stessi non già o, meglio, non solo del compito di realizzare i fini particolari dell’amministrazione di appartenenza, ma di concorrere alla più ampia formazione culturale dei cittadini nei vari campi del sapere, in condizioni d’indipendenza art. 33 Cost. . Lungo tale linea interpretativa la Corte territoriale ha escluso che l’attività forense possa mai arrecare pregiudizio all’amministrazione scolastica qualora quest’ultima sia parte in causa, sul presupposto che l’affermazione della legalità costituisce un fine al quale la p.a. aspira primariamente. Con la successiva l. numero 662/1996 art. 1, commi 56, 56 bis, 57, 58, 58 bis, 59 e 60 , il legislatore, tornando in argomento, ha introdotto una parziale liberalizzazione delle diverse attività libero professionali per i dipendenti pubblici, ponendo come condizione la trasformazione del rapporto d’impiego da full time a part time. Per i docenti delle scuole statali, tuttavia, il regime eccezionale di deroga era rimasto invariato, tant’è che, come affermato dalla Corte territoriale, a carico degli stessi la legge non aveva nemmeno posto l’obbligo della trasformazione del rapporto in part time, essendo, l’attività libero professionale, compatibile anche con un insegnamento a tempo pieno. Là dove la ratio decidendi della sentenza gravata è censurabile, è nell’aver omesso di correlare la fin qui richiamata disciplina con l’art. 1 della l. numero 339/2003, che ha introdotto nuove norme in tema d’incompatibilità dell’esercizio della professione forense. Con tale provvedimento arti., co.1 il legislatore ha ripristinato il divieto originariamente previsto in capo ai dipendenti pubblici richiamando i limiti sanciti dal R.D. numero 1578/1933 restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto - legge 27 novembre 1933, numero 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, numero 36, e successive modificazioni ha disapplicato l’art. 1, commi 56, 56 bis e 57 della l. numero 662/1996 che ammettevano la compatibilità tra la professione forense e lo status di pubblico dipendente, a condizione della trasformazione del rapporto d’impiego in part time Le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 56, 56 bis, e 57 della legge 23 dicembre 1996, numero 662, non si applicano all’iscrizione agli albi degli avvocati ha mantenuto la deroga in favore dei docenti delle scuole superiori. Il punto dirimente degli effetti disapplicativi dell’art. 1, co.1 della l. numero 339/2003, sulla condizione dei professori - avvocati , che la Corte d’Appello ha mancato di considerare, è, tuttavia, la mancata disapplicazione del comma 58 bis dell’art. 1 del d.lgs. numero 662/1996, aggiunto all’originario provvedimento dalla l. numero 140/1997, il quale dispone che, ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto d’interesse, alle amministrazioni compete indicare tutte quelle attività che in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali, non sono consentite ai dipendenti. Il fatto che l’art. 1 della l. numero 339/2003 abbia mantenuto in vita il solo comma 58 bis della legge numero 662/1996, disapplicando i restanti commi, induce a ritenere che, nei residui casi in cui tuttora la legge consente l’esercizio della professione forense, ossia nel caso dei docenti delle università, degli istituti superiori e delle scuole secondarie, il legislatore abbia inteso conservare in capo alle amministrazioni di appartenenza un margine di discrezionalità nella valutazione della possibile interferenza tra l’attività professionale e lo status di pubblico dipendente. La previsione di tale limite di carattere generale contraddice, tuttavia, la conclusione, cui è erroneamente pervenuta la Corte territoriale, secondo la quale, l’eccezionale previsione di compatibilità per i docenti, che ha resistito a ogni riforma limitativa intervenuta in materia, implicherebbe l’esclusione di qual si voglia limitazione, anche qualora l’attività forense si eserciti in giudizi di cui sia parte l’amministrazione scolastica. Tale statuizione non si concilia, infatti, con il dettato dell’art. 1, co. 58 bis della l. numero 662/1996, mantenuto in vigore dalla l. numero 339/2003, a norma del quale permane, in capo agli organi scolastici, oltre che la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto d’interesse, altresì la facoltà di indicare le attività che interferiscono con i compiti istituzionali del docente. In conclusione, alla generale incompatibilità del rapporto di pubblico impiego con le libere professioni, si contrappone la norma speciale di cui al R.D.L. numero 1578/1933, conv. in L. numero 234/1936 e successive modificazioni, richiamata dall’art. 1 co. 1 della l. numero 339/2003, che consente l’esercizio della professione forense a poche specifiche categorie, tra cui i professori degli istituti scolastici secondari statali. La legge affida, tuttavia, la garanzia del legittimo svolgimento dell’attività forense all’osservanza di poche regole, tra cui quella di richiedere l’autorizzazione al dirigente scolastico o al preside, di non arrecare pregiudizio all’insegnamento e di svolgere la libera attività nel rispetto dell’orario di servizio art. 508 del d.lgs. numero 297 del 1994, richiamato dall’art. 53, del d.lgs. numero 165 del 2001 . Non è dato ritenere, pertanto, che non sussista in capo all’amministrazione scolastica alcun margine per valutare la legittimità dell’assunzione del patrocinio legale da parte del docente-avvocato, così com’è confermato dall’evolversi della disciplina sulle incompatibilità di cui alla l. numero 339 del 2003, la quale, nel ripristinare il generale divieto di svolgimento delle libere professioni in capo ai dipendenti pubblici, anche con rapporto d’impiego part time, ha mantenuto in vita la facoltà per i docenti delle scuole superiori di svolgere la professione forense, ferma restando la possibilità in capo alle amministrazioni scolastiche, di valutare in concreto singoli casi di conflitto d’interesse o comunque d’interferenza con i compiti istituzionali del docente. Dal quadro normativo, così come sopra ricostruito, deve trarsi il seguente principio di diritto Per effetto della mancata disapplicazione del co. 58 bis dell’art. 1, del d.lgs. numero 662/1997 introdotto con la l. numero 140/1997 da parte dell’art. 1, co.1 della l. numero 339/2003, all’amministrazione scolastica compete la valutazione in concreto della legittimità dell’assunzione del patrocinio legale, da parte dell’insegnante che ivi presti servizio, nonché l’individuazione delle attività che, in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali, non sono consentite ai dipendenti, con particolare riferimento all’assunzione di difese in controversie di cui la stessa amministrazione scolastica è parte”. In definitiva, essendo l’unica censura fondata, il ricorso va accolto. La sentenza va cassata e la causa va decisa nel merito, con rigetto dell’originaria domanda. Le spese dell’intero processo sono compensate in ragione dell’esito alterno dei giudizi di merito. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese dell’Intero processo.