Reintegrazione del lavoratore ed esigenze produttive della parte datoriale

Dopo l’accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, il datore di lavoro deve provvedere al ripristino della posizione di lavoro del dipendente nel luogo e nelle mansioni originarie, salvo trasferimento ad altra unità produttiva per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21712/18, depositata il 6 settembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma dichiarava illegittimo il trasferimento di un dipendete di Poste Italiane, ordinando a quest’ultima la riammissione del lavoratore all’originaria sede di lavoro. Il Giudice sottolineava che la società aveva provveduto al mero ripristino formale del rapporto di lavoro, ritenendo dunque violato l’ordine giudiziale, di cui alla precedente sentenza del Tribunale di Cassino, di ripristino emesso in sede di conversione del rapporto di lavoro a termine. Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione. Ripristino. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, dopo l’accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contrato di lavoro, comporta il ripristino della posizione di lavoro del dipendente nel luogo e nelle mansioni originarie, salvo che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva sempre che vi siano sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. Sottolinea inoltre il Collegio che il giudice di merito non ha tenuto in considerazione l’accordo collettivo interno in materia di gestione degli effetti delle riammissioni in servizio di personale già assunto con contratto a tempo determinato. Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 aprile – 6 settembre 2018, n. 21712 Presidente Nobile – Relatore Negri Della Torre Fatti di causa 1. Con sentenza n. 5607/2014, depositata il 17 giugno 2014, la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava illegittimo il trasferimento all’Ufficio di omissis disposto da Poste Italiane S.p.A., con lettera del 17/5/2007, nei confronti di M.D. , ordinando alla società datrice di lavoro di riammettere l’appellante nell’Ufficio di omissis cui lo stesso era stato assegnato nel corso del precedente rapporto a termine poi convertito con sentenza del Tribunale di Cassino. 2. La Corte rilevava, a sostegno della propria decisione, che la società aveva provveduto solo ad un ripristino formale dei rapporto di lavoro, sui piano contabile e amministrativo, e in una sede diversa dall’ufficio postale, al quale il dipendente era stato addetto durante il rapporto a tempo determinato, con la conseguenza che doveva ritenersi violato l’ordine giudiziale di ripristino emesso con la sentenza di conversione. 3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza Poste Italiane S.p.A. con tre motivi, assistiti da memoria. 4. Il lavoratore ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 2103, 1419 e 2697 cod. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere considerato che in caso di riammissione in servizio a seguito di accertamneto della nullità del termine, pur comportando l’ottemperanza all’ordine giudiziale il ripristino dell’attività lavorativa nel luogo e nelle mansioni originarie, resta comunque salva la facoltà del datore di lavoro di trasferire il dipendente ad altra unità produttiva, sussistendone le condizioni di legge. 2. Con il secondo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza per avere omesso l’esame dell’Accordo nazionale del 29 luglio 2004, tra Poste Italiane e le organizzazioni sindacali, in materia di gestione degli effetti delle riammissioni in servizio di personale già assunto con contratto a termine, accordo che prevede espressamente il ripristino dei rapporto nella struttura ove si è svolta l’attività a tempo determinato ma, qualora tale struttura risulti eccedentaria, il successivo trasferimento del lavoratore nelle sedi disponibili secondo una definita sequenza di priorità. 3. Con il terzo, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 253, 420, 421 e 437 cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere dato ingresso alla prova testimoniale, articolata sin dal primo grado di giudizio e reiterata in appello, la cui assunzione le avrebbe consentito di dimostrare l’inevitabilità e la correttezza del trasferimento. 4. Risultano fondati, e devono essere accolti, il primo e il secondo motivo di ricorso. 5. Con riferimento al primo motivo, si osserva che la Corte di merito non si è attenuta al principio di diritto, per il quale l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive Cass. n. 11927/2013 conforme n. 27844/2009 e la giurisprudenza citata nella stessa sentenza di appello . 6. Quanto al secondo, si osserva che la Corte ha ritenuto illegittimo il trasferimento per la violazione dell’ordine giudiziale di ripristino del rapporto e del diritto del lavoratore ad essere ricollocato nel posto di lavoro da ultimo occupato , senza prendere minimamente in considerazione l’Accordo collettivo del 29 luglio 2004, in materia di Gestione degli effetti delle riammissioni in servizio di personale già assunto con contratto a tempo determinato , pur oggetto di specifica allegazione in primo grado e di altrettanto specifico richiamo in grado di appello, nel quale la società, costituendosi, ha ripercorso le ragioni del provvedimento, con dettagliata esposizione dei presupposti delineati dalla fonte collettiva eccedenza di personale nella sede di originaria assegnazione esame dei criteri di progressiva distanza geografica . 7. Nell’accoglimento dei primi due motivi resta assorbito il terzo. 8. La sentenza n. 5607/2014 della Corte di appello di Roma deve conseguentemente essere cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata, anche per le spese dei presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale, attenendosi al richiamato principio di diritto, provvederà a valutare il documento sub 6. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.