L’incidenza della mobilità sul trattamento pensionistico

La contribuzione acquisita nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può tradursi nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già maturata, pertanto, al contrario, non è possibile la neutralizzazione dei periodi contributivi che concorrono ad integrare il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico.

Così la Cassazione con la sentenza n. 21678/18, depositata il 5 settembre. I periodi contributivi Un lavoratore, ormai pensionato, chiedeva all’INPS la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico, previa neutralizzazione della contribuzione figurativa maturata durante il periodo di mobilità. In sostanza, secondo il lavoratore ricorrente in Cassazione, INPS avrebbe liquidato una pensione di valore inferiore rispetto a quello spettante, poiché per il calcolo della pensione aveva considerato la minore retribuzione percepita durante la mobilità, anziché la retribuzione piena. Il contezioso giungeva sino agli ermellini, che hanno ridimensionato la pretesa del ricorrente. La mobilità può portare ad un trattamento pensionistico minore ma anticipato. La Corte di Cassazione ha rigettato le istanze del lavoratore pensionato, in considerazione del suo consolidato orientamento Cass., 4868/2014 e della decisione. 388/1995 della Corte Costituzionale. Nel caso di specie, l’accesso alla mobilità aveva consentito al lavoratore di maturare in anticipo il diritto al trattamento pensionistico in sostanza la cadenza temporale della mobilità tra il 1992 e il 1996 aveva evitato al lavoratore l’applicazione del d.lgs. n. 503/1992 che aveva rideterminato i requisiti di anzianità per il pensionamento aumentandoli da 55 a 60 anni per le donne e da 60 e 65 per gli uomini facendo salvi i lavoratori collocati in mobilità al momento dell’entrata in vigore della riforma. Pertanto, il lavoratore ricorrente, che al momento dell’entrata in vigere della riforma, si trovava in mobilità, poteva vedersi ancora applicati i requisiti pensionistici ante riforma, accedendo al pensionamento già all’età di 60 anni anziché a 65, ossia con cinque anni di anticipo rispetto ai lavoratori coetanei. Non v’è dubbio, quindi, che la mobilità sia stata considerata i fini del trattamento pensionistico, che peraltro si è rivelato di maggior favore per il lavoratore medesimo! Senza il periodo di mobilità, infatti, l’anticipo di cinque anni per maturare il diritto alla pensione non sarebbe stato possibile. Per la Corte di Cassazione si tratta, quindi, di capire se, ex lege , il periodo di mobilità concorra alla sussistenza dei requisiti pensionistici o meno. Poiché nel caso di specie, la mobilità ha certamente concorso a determinare l’anzianità utile per raggiungere la pensione, allora la stessa mobilità dovrà essere considerata per determinare il valore economico del trattamento pensionistico. Non si può quindi, considerare il periodo di mobilità per ottenere un pensionamento anticipato e, al contrario, neutralizzarlo, ossia non considerarlo, onde ottenere un trattamento pensionistico di maggior valore economico. Insomma, il lavoratore ricorrente non poteva avere la botte piena e la moglie ubriaca”.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 aprile – 5 settembre 2018, numero 21678 Presidente Manna – Relatore Mancino Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 19 aprile 2016, ha respinto l’appello proposto da I.C. nei confronti dell’INPS avverso la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda volta alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento pensione di vecchiaia, con decorrenza 1 dicembre 1996 previa neutralizzazione della contribuzione figurativa relativa al periodo ottobre 1992-nocembre 1996, per effetto della quale, in considerazione del trattamento di mobilità in misura notevolmente inferiore alle retribuzioni fino ad allora percepite, gli era stata liquidata una pensione di importo inferiore a quello spettante, sterilizzando il predetto periodo in mobilità. 2. Avverso tale sentenza ricorre I.C. , con ricorso affidato ad un motivo, cui resiste l’INPS con controricorso. 3. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 4. Con il primo motivo, deducendo violazione dell’articolo 3, comma ottavo, legge numero 297 del 1982, come interpretato dalle sentenze della Corte costituzionale nnumero 264 del 1994 e 388 del 1995, la parte ricorrente censura l’interpretazione data dalla Corte di merito della disposizione normativa in difformità dall’interpretazione datane dalla Corte costituzionale in plurime declaratorie di incostituzionalità della predetta disposizione, nella parte in cui omette di prevedere che, qualora risulti già acquisito il requisito contributivo minimo per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, deve neutralizzarsi la minor contribuzione di qualsiasi natura accreditata al lavoratore nell’ultimo quinquennio qualora la stessa pregiudichi l’ammontare del trattamento pensionistico di vecchiaia già potenzialmente maturato dal lavatore e non sia utile al raggiungimento del requisito contributivo minimo. 5. Assume che la Corte di merito, ancorché in assenza di una specifica pronuncia del Giudice delle leggi sulla fattispecie in esame, di contribuzione riferita alla contribuzione figurativa da mobilità accreditata nell’ultimo quinquennio e compromissiva del livello di pensione sino ad allora maturata, avrebbe dovuto applicare, in via interpretativa, il sopracitato principio generale enunciato dalla richiamata sentenza del Giudice delle leggi numero 264 del 1994. 6. In subordine, denuncia la non conformità agli artt. 3, 36 e 38 Cost. della citata norma con riferimento all’inclusione, nella retribuzione pensionabile, anche della contribuzione figurativa da mobilità accreditata nell’ultimo quinquennio di contribuzione che risulti compromissiva del livello di pensione già potenzialmente maturato dal lavoratore in forza di pregressa contribuzione, erroneamente ritenuta manifestamente infondata dalla Corte di merito. 7. Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 8. L’accesso alla mobilità, con il conseguente accredito della relativa contribuzione figurativa, si è rivelato, nella specie, determinante ai fini dell’anticipata maturazione del diritto alla pensione. 9. Invero, l’art 1, comma 1, della legge 19 luglio 1993, numero 236, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 maggio 1993, numero 148, recante interventi urgenti a sostegno dell’occupazione ha aggiunto all’articolo 6 del d.l.148 del 1993, ha introdotto dopo il comma 10, il comma 10-bis, che recita La determinazione dei requisiti di età di cui all’articolo 7, commi 6 e 7, della legge 23 luglio 1991, numero 223, è effettuata con riferimento alle disposizioni legislative in materia di pensione di vecchiaia in vigore al 31 dicembre 1992 . 10. Per i lavoratori collocati in mobilità è stata, dunque, fatta salva l’età per la pensione di anzianità antecedente alla riforma introdotta con il decreto legislativo numero 503 del 1992, vale a dire 60 anni per gli uomini e 55 per le donne, contro i 65 per gli uomini e 60 per le donne, introdotti con la riforma. 11. L’ammissione alla pensione con la detta età anagrafica antecedente alla riforma del 1992 ha consentito all’attuale ricorrente di accedere alla pensione nel dicembre 1996, a 60 anni di età, con cinque anni di anticipo rispetto alla generalità dei lavoratori coetanei che il diritto alla pensione di vecchiaia hanno maturato nel 2001, a 65 anni di età tabella A allegata al d.lgs. numero 503 del 1992, come sostituita dall’articolo 11 e dalla tabella A allegata alla legge numero 724 del 1994 . 12. La decorrenza del trattamento di vecchiaia a far data dal 60 anno di età trova, nella specie, imprescindibile fondamento nell’intervenuta ammissione alla mobilità e, per converso, la mancata inclusione del detto periodo nella posizione assicurativa e contributiva la neutralizzazione o sterilizzazione o espunzione che pretenderebbe il ricorrente comporterebbe, al contempo, l’insussistenza del diritto alla pensione di vecchiaia in concreto goduta dal ricorrente. 13. Invero, senza il periodo di mobilità l’anticipo di cinque anni per maturare il diritto a pensione non sarebbe stato possibile e, dunque, non può risultare ambivalente la predetta circostanza, nel senso di conservare gli effetti dell’ammissione alla mobilità per il più precoce accesso alla pensione ma, al contempo, eliminare il predetto periodo ai fini del calcolo della retribuzione pensionabile dello stesso trattamento. 14. Come già rilevato da Cass. 28 febbraio 2014, numero 4868, la Corte costituzionale, con la decisione numero 388 del 1995, ha espressamente sancito il principio che la contribuzione acquisita nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può tradursi nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già virtualmente maturata cfr., ex plurimis, Cass. numero 29903 del 2011 , tuttavia dalla portata del suddetto principio è però agevole desumere, a contradis, l’inapplicabilità della neutralizzazione dei periodi contributivi che concorrano ad integrare il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico. 15. Attese le ragioni del decidere, risulta manifestamente irrilevante l’eccezione di incostituzionalità prospettata dal ricorrente. 16. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 17. Deve darsi atto dell’applicabilità del d.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex articolo 13, comma 1-bis.