Giudizi previdenziali e determinazione del valore della causa: un chiarimento della Corte di Cassazione

Il criterio stabilito dall’art. 13, comma 2, secondo periodo, c.p.c., in base al quale per la determinazione del valore di una controversia occorre far riferimento alle annualità domandate fino a un massimo di dieci, deve essere inteso nel senso che nell’ipotesi di domanda relativa al riconoscimento del diritto a una prestazione pensionistica – non disputandosi soltanto dell’attribuzione di somme per un numero determinato di annualità – il valore della causa si determina con riferimento alle annualità che l’attore ha titolo di percepire per tutta la durata del diritto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 21444/18 depositata il 30 agosto. La fattispecie. La Corte di Appello di Cagliari, in sede di giudice del rinvio a seguito di ordinanza della Corte di Cassazione, ha accolto un appello proposto nei confronti dell’INPS, liquidando le relative spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, nonché quelle relative al giudizio di legittimità. La medesima Corte territoriale, per quanto qui di interesse, ha specificato di aver statuito detta liquidazione delle spese ai sensi dell’art. 13, comma 2, secondo periodo c.p.c. per come fissato dall’ordinanza della Corte di Cassazione che aveva cassato la precedente sentenza di appello. Giudizi previdenziali come si interpreta l’art. 13 c.p.c.? La ricorrente, con un unico motivo di impugnazione, ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13, comma 2, secondo periodo, c.p.c., chiedendo alla Corte di chiarire se il valore della causa – concernente il diritto dell’attore alle somme dovute a titolo di pensione e di indennità speciale prevista per i ciechi ventisimisti per due annualità e nove mensilità – ai fini dell’individuazione dello scaglione dei diritti e degli onorari avrebbe dovuto essere determinato moltiplicando l’importo di dette prestazioni necessariamente per dieci annualità ovvero se, invece, quello delle dieci annualità costituisca il limite massimo consentito dall'articolo 13 c.p.c Secondo la ricorrente, infatti, il valore della causa ai fini dei diritti e degli onorari avrebbe dovuto essere determinato con riferimento esclusivo alle somme attribuite. Rigettando il ricorso, gli Ermellini hanno stabilito che il criterio stabilito dalla citata norma, in base al quale occorre far riferimento alle annualità domandate fino a un massimo di dieci, deve essere inteso nel senso che nell’ipotesi di domanda relativa al riconoscimento del diritto a una prestazione pensionistica – non disputandosi soltanto dell’attribuzione di somme per un numero determinato di annualità – il valore della causa si determina con riferimento alle annualità che l’attore ha titolo di percepire per tutta la durata del diritto. Al contrario, è errata la tesi dedotta dalla ricorrente secondo la quale occorrerebbe invece fare riferimento a una somma determinata ovvero alle sole annualità liquidate in sentenza perché comprese nel periodo tra la data di riconoscimento del diritto alla prestazione ed il momento in cui è intervenuta la sentenza, posto che il petitum della causa non è l’attribuzione di una somma determinata, investendo invece il riconoscimento del diritto alla prestazione pensionistica negata in sede in amministrativa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 28 marzo – 30 agosto 2018, numero 21444 Presidente D’Antonio – Relatore Riverso Fatto e diritto ritenuto che la Corte d’Appello di Cagliari, in sede di giudice del rinvio a seguito della ordinanza numero 16573/2010 di questa Corte di Cassazione, accoglieva l’appello proposto da C.G. avverso la sentenza del tribunale di Cagliari e in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, liquidava le spese del giudizio di primo grado in complessivi Euro 2275,88 di cui Euro 1183,00 per diritti di procuratore ed Euro 840,00 per onorari di avvocato e quelli del giudizio di appello in Euro 753,72 di cui Euro 270,00 per diritti ed Euro 400,00 per onorari, oltre quello del giudizio di cassazione che liquidava in complessive Euro 880,00 per onorari a fondamento della sentenza, per quanto ora di interesse, la Corte sosteneva di dover pronunciare la liquidazione delle spese ai sensi dell’articolo 13, secondo comma seconda parte c.p.c. per come fissato dalla ordinanza della Corte di Cassazione che aveva cassato la precedente sentenza di appello contro la stessa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’INPS cui ha resistito C.G. con controricorso considerato che con l’unico motivo del ricorso l’Inps denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 13 c.p.c. comma 2, degli articoli 64 e 60 del Regio decreto legge numero 1578/1933 convertito in legge numero 36/1934, nonché dell’articolo sei comma 1 delle tariffe forensi approvate con Dm numero 127/2004, tutti in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. la questione che l’Inps pone con il ricorso è se il valore della causa - concernente il diritto della ricorrente alle somme dovute a titolo di pensione e di indennità speciale prevista per i ciechi ventisimisti per due annualità e nove mensilità - ai fini della individuazione dello scaglione dei diritti e degli onorari debba essere determinato moltiplicando l’importo di dette prestazioni necessariamente per 10 annualità o se, invece, per determinare lo scaglione suddetto quello delle 10 annualità costituisca il limite massimo consentito dall’articolo 13 c.p.c. secondo comma, ultima parte secondo l’INPS la Corte d’appello avrebbe effettuato una errata applicazione del criterio stabilito dal secondo comma secondo periodo dell’articolo 13 c.p.c. al quale la Corte di Cassazione ha disposto che dovesse attenersi il giudice del rinvio, avendo affermato in sentenza che hai fini dell’individuazione dello scaglione degli onorari e dei diritti di procuratore spettanti al difensore, il valore della causa sarebbe pari ad Euro 50.744,30 con conseguente comprensione nello scaglione tariffario da Euro 25.900,01 ad Euro 51700,00 ritenendo che il valore mensile delle due prestazioni riconosciute indennità speciale e pensione per i ciechi ventesimisti dovesse essere moltiplicato l’una per 12 mensilità, l’altro per 13 mensilità e, quindi, per 10 annualità secondo l’Istituto invece il valore della causa ai fini dei diritti e degli onorari doveva essere determinato con riferimento esclusivo alle somme attribuite, per un importo pari ad Euro 13.726,13 avendo il tribunale riconosciuto il diritto con decorrenza dall’1 luglio 2005 ossia dal primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa e fino alla sentenza depositata il 17 gennaio 2008 e considerato altresì che la sentenza di primo grado ed è stata appellata soltanto in punto di liquidazione di diritti e di onorari per cui nel caso di specie il diritto alle somme a titolo di pensione era stato riconosciuto giudizialmente per due anni e nove mesi ed il valore della causa veniva quindi a risultare pari ad Euro 13.726,13 il collegio in sede di rinvio aveva invece accolto le censure dell’appellante pervenendo ad una decisione non condivisibile giacché aveva moltiplicato senz’altro le annualità per 10 come se il citato articolo 13, seconda parte del secondo comma c.p.c. avesse individuato un criterio fisso nella moltiplicazione per 10 delle annualità la norma, invece, sarebbe inequivocabile nel disporre una diversa regola quella per la quale il cumulo fino a 10 costituisce il limite massimo da applicare, e non un criterio da applicare sempre e comunque occorreva pertanto avere riguardo al criterio del decisum il motivo è privo di fondamento posto che, da una parte, la Corte di Cassazione con la ordinanza numero 16573/2010 aveva annullato la pronuncia di secondo grado numero 164/2009, affermando, nel principio di diritto - al quale era vincolato il giudice del rinvio - che la determinazione del valore della causa in materia di pensione dovuta al ricorrente, ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari, dovesse essere effettuata secondo il criterio stabilito dal secondo comma secondo periodo dell’articolo 13 c.p.c. cumulando le annualità domandate fino ad un massimo di 10 , in quanto la pensione di invalidità si concreta in una somma di danaro da corrispondere ed è perciò del tutto assimilabile ad una rendita vitalizia dall’altra parte, il criterio stabilito dalla citata norma, in base al quale occorre far riferimento alle annualità domandate fino a un massimo di 10, deve essere inteso nel senso che nell’ipotesi di domanda relativa al riconoscimento del diritto ad una prestazione pensionistica - non disputandosi soltanto dell’attribuzione di somme per un numero determinato di annualità - il valore della causa si determina con riferimento alle annualità che l’attore ha titolo di percepire per tutta la durata del diritto e cioè nel caso in esame fino a che dura la condizione che da titolo alla prestazione mentre è errata la tesi dedotta dall’INPS nel motivo di ricorso secondo cui occorrerebbe invece fare riferimento ad una somma determinata ovvero alle sole annualità liquidate in sentenza perché comprese nel periodo tra la data di riconoscimento del diritto alla prestazione ed il momento in cui è intervenuta la sentenza posto che il petitum della causa non è l’attribuzione di una somma determinata investendo invece il riconoscimento del diritto alla prestazione pensionistica negata in sede in amministrativa in conclusione, per le considerazioni fin qui svolte il ricorso va rigettato e la parte ricorrente, rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrenti principale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 1300 di cui Euro 1100 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed oneri accessori. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del Dpr 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis delle stesso art. 13.