Requisiti per la pensione: la deroga prevista dal d.lgs. n. 503/1992 non è estensibile analogicamente ad altre fattispecie

La deroga all'applicabilità del regime previdenziale introdotto con il d.lgs. 503/1992, prevista, dalla lett. b del comma 3 dell'art. 2, per i lavoratori, con anzianità assicurativa di almeno 25 anni, occupati, per almeno un decennio, per periodi inferiori all'intero anno solare di durata inferiore a 52 settimane nell'anno solare , non è suscettibile di applicazione analogica, né di interpretazione estensiva e non trova, pertanto, applicazione per i lavoratori a domicilio che, a parità delle altre condizioni richieste dalla norma, possano fare valere una minore contribuzione per avere lavorato, per circa un decennio, per l'intero anno solare, con orario inferiore alle 24 ore settimanali.

Così affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 18462 depositata il 12 luglio, precisando anche che la disposizione normativa in oggetto non si appalesa in contrasto con il canone di ragionevolezza, atteso il consolidato insegnamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità secondo cui la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali, salvo il limite della ragionevolezza, è comunque rimessa alla discrezionalità del legislatore che può sempre intervenire, con leggi peggiorative, persino su trattamenti pensionistici in corso di erogazione. La vicenda. Una lavoratrice a domicilio agiva nei confronti dell’Inps per ottenere il diritto a percepire la pensione di vecchiaia, invocando la deroga prevista dall’art. 2 del d.lgs. n. 503/1992, per lavoratori che potevano usufruire di periodi contributivi inferiori alle 52 settimane all’anno. Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda, riconoscendo il diritto azionato. Analogamente la Corte d’Appello, respingendo il gravame proposto dall’Inps. Che dunque ricorreva in Cassazione. I requisiti necessari per la pensione. La vicenda decisa dal Supremo Collegio, trae origine dall’interpretazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 503/1992 norma che così prevede Nel regime dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall'inizio dell'assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell'assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti. omissis . In deroga ai commi 1 e 2 . b per i lavoratori subordinati che possono far valere un'anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati per almeno dieci anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell'anno solare, è fatto salvo il requisito contributivo per il pensionamento di vecchiaia previsto dalla previgente normativa . omissis . La norma non può trovare estensione analogica. Secondo la Corte d’Appello, il regime favorevole consentito dalla norma derogatoria sopra citata poteva trovare applicazione anche ai lavoratori che a parità di altri requisiti, fossero stati occupati per almeno un decennio, per l’intero anno solare, ma potessero vantare, come per i lavoratori non occupati per l’intero anno solare, un minor numero di contributi annui in ragione dell’orario lavorativo settimanale. Simile interpretazione analogica della norma invocata secondo la Corte di legittimità appare errata e difforme ad altre precedenti decisioni da questa rese. La deroga al nuovo regime previdenziale, che rileva nella vicenda che ci occupa, riguarda, expressis verbis , i lavoratori, con anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati, per almeno un decennio, per periodi inferiori all'intero anno solare di durata inferiore a 52 settimane nell'anno solare in relazione a peculiari attività lavorative che, per non coprire l'intero anno solare, non potevano far maturare la maggiore contribuzione richiesta dal d.lgs. n. 503. Il più favorevole regime contributivo è, pertanto, conservato e fatto salvo, dal legislatore della riforma previdenziale del 1992, a protezione di alcune categorie deboli di lavoratori subordinati che non possono far valere la contribuzione annua per l'intero anno solare per essere stati occupati per un periodo inferiore alle cinquantadue settimane, come del resto emerge dal citato criterio di delega al quale il legislatore delegato si è informato. La decisione della Corte. Il Supremo Collegio già in precedenza aveva vagliato se il più favorevole regime previgente, conservato dalla norma derogatoria potesse ricomprendere o potesse estendersi alle lavoratrici e ai lavoratori che, a parità di altri requisiti l'anzianità assicurativa di almeno venticinque anni , fossero stati occupati, per almeno un decennio, per l'intero anno solare, ma potessero vantare, al pari dei lavoratori non occupati per l'intero anno solare, un minor numero di contributi annui in ragione dell'orario lavorativo settimanale. L'argomento pregnante a sostegno della tesi propugnata dalla lavoratrice e dai Giudici del merito si sostanzia nell'identificazione di un'unica categoria di lavoratori meritevoli di protezione comprensiva dei lavoratori e delle lavoratrici che non possano far valere una contribuzione annua piena, indipendentemente dalla circostanza che siano stati occupati per l'intero anno solare o solo in parte, ma comunque con una contribuzione di minor peso per il sistema di accredito. Il favore del legislatore in deroga sarebbe comunque indirizzato, secondo i Giudici del merito, verso tali lavoratori deboli che possono far valere solo una contribuzione inferiore a quella piena. Argomentazione non condivisa dalla Corte di legittimità, la quale afferma che la richiamata norma del cit. d.lgs. n. 503/1992, art. 2, comma 3, ha introdotto disposizioni derogatorie alla riforma previdenziale del 1992, così regolando, specificamente e tassativamente, per alcune particolari categorie di lavoratori, la successione di leggi in materia previdenziale, con l'applicazione della disciplina previgente in deroga . Restando preclusa, per esplicita connotazione di norma derogatoria, l'interpretazione estensiva mentre quella analogica, dovendo considerarsi la disposizione de qua norma eccezionale come tutte le norme che introducono discipline transitorie , vietata dall'art. 14 preleggi. Il principio di diritto sopra affermato appare anche conforme al canone costituzionale di ragionevolezza della disposizione che non include altre categorie ritenute meritevoli di protezione giacché parimenti provviste di minor contribuzione benchè occupate per l'intero anno solare. Sul tema la Corte di Cassazione richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 2014, che aveva escluso dubbio di illegittimità costituzionali alle fattispecie esaminate. Il ricorso proposto dall’Inps è stato così ritenuto fondato e di contro la sentenza impugnata errata che è stata cassata dalla Corte che, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda originaria della lavoratrice.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 febbraio – 12 luglio 2018, n. 18462 Presidente Berrino – Relatore Ponterio Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 788 depositata il 3.7.2012, ha respinto l’impugnazione avverso la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto il diritto della sig.ra Z.C. , lavoratrice a domicilio assicurata per periodi contributivi inferiori alle 52 settimane all’anno, di percepire la pensione di vecchiaia usufruendo della deroga prevista dall’art. 2, comma 3, lett. b del D.Lgs. n. 503 del 1992. 2. La Corte territoriale ha ritenuto applicabile la suddetta deroga anche ai lavoratori occupati in modo continuativo dando rilievo alla discontinuità della prestazione, accompagnata da carenza retributiva e contributiva, caratteristiche tali da assimilare la fattispecie esaminata a quella contemplata dalla citata disposizione derogatoria. 3. Per la cassazione della sentenza l’Inps ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, la sig.ra Z Ragioni della decisione 1. Col primo motivo di ricorso l’INPS ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2, comma 3, lett. b del D.Lgs. n. 503 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c 2. Ha censurato la pronuncia della Corte di merito per aver disatteso il significato letterale del citato art. 2, comma 3, lett. b , estendendo la deroga al di là della fattispecie prevista relativa ai lavoratori subordinati che, fermi gli altri requisiti indicati, siano stati occupati nell’anno per un periodo inferiore a cinquantadue settimane. 3. Con il secondo motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione degli artt. 12 e 14 disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 2, comma 3, lett. b D.L.gs. n. 503 del 1992 e al D.P.R. n. 1403 del 1971, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c 4. Ha sostenuto come la Corte di merito avesse operato una non consentita applicazione analogica del citato art. 2, comma 3, lett. b , violando il canone del divieto di interpretazione analogica di disposizioni eccezionali che riconoscono ai lavoratori diritti di natura pensionistica. 5. I motivi, che si esaminano congiuntamente per la loro connessione logica, sono fondati. 6. L’art. 2 del D.Lgs. n. 503 del 1992 stabilisce 1. Nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall’inizio dell’assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell’assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti. 2. In fase di prima applicazione i requisiti di cui al comma 1 sono stabiliti in base alla tabella B allegata. 3. In deroga ai commi 1 e 2 a continuano a trovare applicazione i requisiti di assicurazione e contribuzione previsti dalla previgente normativa nei confronti dei soggetti che li abbiano maturati alla data del 31 dicembre 1992, ovvero che anteriormente a tale data siano stati ammessi alla prosecuzione volontaria di cui al D.P.R. 31 dicembre 1971 n. 1432, e successive modificazioni ed integrazioni b per i lavoratori subordinati che possono far valere un’anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati per almeno dieci anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare, è fatto salvo il requisito contributivo per il pensionamento di vecchiaia previsto dalla previgente normativa c nei casi di lavoratori dipendenti che hanno maturato al 31 dicembre 1992 una anzianità assicurativa e contributiva tale che, anche se incrementata dai periodi intercorrenti tra la predetta data e quella riferita all’età per il pensionamento di vecchiaia, non consentirebbe loro di conseguire i requisiti di cui ai commi 1 e 2, questi ultimi sono corrispondentemente ridotti fino al limite minimo previsto dalla previgente normativa . 7. La deroga al nuovo regime previdenziale è stata introdotta, dal citato art. 3, comma 3, lett. b , a protezione di alcune categorie deboli di lavoratori subordinati che non possono far valere la contribuzione annua per l’intero anno solare per essere stati occupati per un periodo inferiore alle cinquantadue settimane. 8. La Corte territoriale ha ritenuto che il più favorevole regime previgente, conservato dalla norma derogatoria in esame, potesse estendersi alle lavoratrici e ai lavoratori che, a parità di altri requisiti l’anzianità assicurativa di almeno venticinque anni , fossero stati occupati, per almeno un decennio, per l’intero anno solare, ma potessero vantare, al pari dei lavoratori non occupati per l’intero anno solare, un minor numero di contributi annui in ragione dell’orario lavorativo settimanale. 9. Tale opzione interpretativa è già stata respinta da questa Corte con le sentenze nn. 3044 e 10510 del 2012, che hanno affermato il seguente principio di diritto La deroga all’applicabilità del regime previdenziale introdotto con il D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 503, prevista, dal cit. D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 2, comma 3, lett. b , per i lavoratori, con anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati, per almeno un decennio, per periodi inferiori all’intero anno solare di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare , non è suscettibile di applicazione analogica, né di interpretazione estensiva e non trova, pertanto, applicazione per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari che, a parità delle altre condizioni richieste dalla norma, possano far valere una minore contribuzione per aver lavorato, per circa un decennio, per l’intero anno solare, con orario inferiore alle ventiquattro ore settimanali. Né la disposizione si appalesa in contrasto con il canone di ragionevolezza, atteso il consolidato insegnamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità secondo cui la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali, salvo il limite della ragionevolezza, è comunque rimessa alla discrezionalità del legislatore che può sempre intervenire, con leggi peggiorative, persino su trattamenti pensionistici in corso di erogazione . 10. Con sentenza n. 203 del 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera g , della legge n. 421 del 1992, e 2, comma 3, lettera b , del d.lgs. n. 503 del 1992, sollevata per contrasto con l’art. 3 Cost 11. La sentenza n. 203 del 2014 ha ritenuto l’interpretazione della suddetta disposizione derogatoria adottata dalla Corte di legittimità l’unica . costituzionalmente compatibile con il precetto dell’art. 76 della Costituzione per il quale l’esercizio della potestà legislativa da parte del Governo deve svolgersi entro - e non oltre - l’ambito delimitato dalla delega legislativa , posto che il tenore della norma delegante è inequivoco nel riferire, testualmente, il più favorevole regime contributivo, che qui viene in rilievo, ai soggetti titolari di rapporti di lavoro a tempo determinato inferiore a 52 settimane per anno solare . 12. La Corte Cost. ha sottolineato l’individuazione dei presupposti per il conseguimento dei trattamenti di quiescenza, al pari della determinazione della misura delle prestazioni o delle correlative variazioni, rientra, infatti, nel novero delle scelte riservate al legislatore, attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti, che tenga conto accanto alle esigenze di vita dei beneficiari anche delle concrete disponibilità finanziarie e delle esigenze di bilancio ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010, n. 30 del 2004, e ordinanza n. 256 del 2001 . Tale libertà di scelta incontra pur sempre il limite della ragionevolezza .ma questo limite nella specie non è violato. La posizione dei lavoratori a tempo determinato, con rapporti che non coprono l’intero anno solare, ha innegabili connotati di peculiare debolezza, che non ricorrono identicamente nella situazione di lavoratori che - ancorché in concreto impiegati per periodi inferiori alle cinquantadue settimane dell’anno solare - siano, però, comunque assistiti da un rapporto a tempo indeterminato. L’avere il legislatore, con le disposizioni impugnate, inteso limitare la più favorevole disciplina, derogatoria al nuovo regime di riordino del sistema previdenziale, alla sola prima delle due comparate, ma non del tutto omogenee, categorie di lavoratori non presenta, quindi, alcun profilo di irragionevolezza . 13. Questa Corte intende dare continuità ai precedenti finora richiamati e supportati dalla pronuncia della Corte Cost., risultando non pertinente il richiamo fatto dalla ricorrente, nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., alla sentenza Cass. n. 16677 del 2017. 14. Questa sentenza, in conformità ai precedenti dalla stessa richiamati, ha riconosciuto il diritto dei lavoratori con orario part-time verticale ciclico al computo, nell’anzianità contributiva utile per il diritto a pensione, anche dei periodi non lavorati, con riproporzionamento dell’ammontare dei contributi percepiti sull’intero anno a cui essi si riferiscono. Nulla è possibile inferire da tale pronuncia a favore della deroga invocata da parte resistente. 15. In base alle considerazioni svolte, il ricorso dell’Inps deve trovare accoglimento. La sentenza impugnata va quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c., con rigetto della domanda proposta dalla ricorrente in primo grado. 16. Il diverso esito dei giudizi di merito e il carattere controverso della questione all’epoca di proposizione del ricorso in esame, antecedente rispetto alla pronuncia della Corte Costituzionale, giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dalla ricorrente in primo grado. Compensa le spese dell’intero processo.