Ancora in bilico la domanda di un operaio, che ha lavorato per anni come tornitore, riportando serie ripercussioni fisiche. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’ non è sufficiente il riferimento alla riduzione della capacità lavorativa rispetto all’attività già svolta.
Lavoro usurante con inevitabili ripercussioni fisiche. Così un uomo, tornitore di professione, si vede riconosciuto il diritto a percepire l’assegno di invalidità. Centrale è valutata la riduzione a meno di un terzo della sua capacità di lavoro come tornitore. Ma questo dato, osservano i Giudici del ‘Palazzaccio’, non è sufficiente, poiché va presa in esame la potenzialità lavorativa ad ampio raggio, cioè quella riferita ad occupazioni confacenti alle attitudini della persona Cassazione, ordinanza numero 16141/18, sezione Lavoro, depositata oggi . Riduzione. Esito altalenante per la battaglia tra il lavoratore e l’Istituto nazionale di previdenza sociale. In Tribunale la richiesta del lavoratore di ottenere «l’assegno di invalidità» viene respinta. In Appello, invece, viene accolta decisiva, secondo i Giudici, è la constatazione che il richiedente ha «svolto attività di tornitore, che implica una protratta stazione eretta e posture incongrue per diverse ore» e ha riportato serie ripercussioni fisiche, ossia «la riduzione a meno di un terzo della propria capacità lavorativa». A rimettere tutto in discussione provvede ora la Cassazione, ricordando che per il riconoscimento dell’assegno di invalidità bisogna fare riferimento sì alla «riduzione della capacità di lavoro dell’assicurato» ma tenendo presente non solo «l’attività svolta in precedenza» ma anche «ogni altra attività che sia a lui confacente, ossia che possa essere da lui svolta, in relazione alla sua età, alla sua capacità e alla sua esperienza» ma «senza esporre a ulteriore danno la sua salute». In questa vicenda, invece, «la valutazione dell’invalidità pensionale» operata in secondo grado prescinde del tutto dalla «capacità lavorativa specifica dell’assicurato», intesa includendo «l’attività di tornitore» e altre «occupazioni confacenti alle sue abitudini». Per questo motivo, è necessario un approfondimento in Appello, prima di decidere sull’obbligo dell’INPS a versare all’uomo «l’assegno di invalidità».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 15 marzo – 19 giugno 2018, numero 16141 Presidente D’Antonio – Relatore Ponterio Rilevato in fatto 1. che con sentenza numero 1659 depositata il 4.5.2012, la Corte d'appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il diritto del sig. Me. all'assegno di invalidità, di cui all'articolo 1, L. numero 222 del 1984, a decorrere dall'1.1.2008, ed ha condannato l'Inps al pagamento dei relativi ratei, oltre accessori di legge 2. che la Corte territoriale, premessa l'esistenza di prova documentale sul requisito assicurativo necessario ai fini della prestazione richiesta e in conformità all'esito della consulenza medico legale svolta, ha ritenuto sussistente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell'appellante in occupazioni confacenti alle attitudini del medesimo, svolgente attività di tornitore che implica una protratta stazione eretta e posture incongrue per diverse ore 3. che avverso tale sentenza l'Inps ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito, con controricorso, il sig. Me., eccependo l'inammissibilità delle censure formulate e comunque la loro infondatezza 4. che è stata depositata comparsa di costituzione di nuovo difensore della parte contro ricorrente, a seguito del decesso dell'originario difensore, con allegata procura notarile 5. che la parte contro ricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell'articolo 380 bis. 1 c.p.c Considerato in diritto 6. che con l'unico motivo di ricorso, l'Inps ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, L. numero 222 del 1984, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c 7. che, in particolare, l'Istituto ha censurato la sentenza impugnata per aver erroneamente valutato la riduzione della capacità di lavoro dell'assicurato avendo riguardo all'attività concretamente svolta dal medesimo anziché rispetto a tutte le possibili occupazioni confacenti alle sue attitudini, in base alle esperienze lavorative, al titolo di studio ed all'età, come richiesto dall'articolo 1 della legge numero 222 del 1984 8. che il ricorso è ammissibile, in quanto richiede un intervento di questa Corte sulla corretta interpretazione ed applicazione della normativa di riferimento 9. che la L. 12 giugno 1984, numero 222, sull'invalidità pensionabile, prevede, per il riconoscimento delle prestazioni da essa regolamentate, oltre all'esistenza di un qualificato rapporto assicurativo anche la riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini dell'assicurato 10. che si tratta di nozione diversa dalla riduzione della generica capacità lavorativa utile, ai sensi degli articolo 12 e 13 della legge numero 118 del 1971, per il riconoscimento delle prestazioni assistenziali dalla stessa regolamentate atteso che quest'ultima ha riguardo ad una capacità lavorativa generica e può essere accertata attraverso indici di valutazione delle singole patologie riscontrate 11. che invece la L. 222 del 1984 richiede, ai fini della invalidità pensionabile, una valutazione complessiva dell'incidenza delle patologie e delle conseguenti percentuali d'invalidità relative a ciascuna delle infermità riscontrate, con riguardo alla loro incidenza sull'attività svolta in precedenza e su ogni altra che sia confacente 12. che questa Corte ha ripetutamente affermato che ai fini del riconoscimento dell'assegno ordinario di invalidità, la sussistenza del requisito posto dall'articolo 1 della legge 12 giugno 1984, numero 222, concernente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell'assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, deve essere verificata operando la valutazione complessiva del quadro morboso dell'assicurato con specifico riferimento alla sua incidenza sull'attività svolta in precedenza e su ogni altra che sia confacente, ossia che possa essere svolta dall'assicurato, in relazione alla sua età, capacità ed esperienza, senza esporre ad ulteriore danno la propria salute sicché, pur essendo la invalidità ancorata non più alla capacità di guadagno, ma a quella di lavoro, il riferimento alla capacità attitudinale comporta una valutazione di qualità e condizioni personali e soggettive dell'assicurato, cui rimane conferita una tutela rispettosa del precetti costituzionali di cui agli articolo 38, 32, 2, 3 e 10 cfr. Cass. numero 17159 del 2011 Cass. numero 5964 del 2011 Cass. numero 15265 del 2007 13. che nel caso in esame, la valutazione dell'invalidità pensionabile operata dalla Corte d'appello, sulla base delle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, prescinde del tutto dalla necessaria parametrazione delle patologie alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato e pertanto la sentenza incorre nella denunciata violazione di legge avendo omesso di precisare le ragioni per le quali tale complesso morboso limitava, nelle percentuali previste dalla legge, non solo l'attività svolta di tornitore, bensì la specifica capacità lavorativa dell'assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini 14. che per tali ragioni il ricorso deve essere accolto, e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame alla luce dei principi sopra richiamati 15. che al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.