Nessuna improcedibilità per mancata notifica se l’opponente non ha avuto comunicazione del decreto di fissazione udienza

Nel rito del lavoro, nel caso di omessa o inesistente notifica del ricorso introduttivo del giudizio, dovuta a mancata comunicazione al ricorrente del decreto di fissazione udienza, è ammessa la concessione di un nuovo termine, perentorio, per la rinnovazione della notifica.

Tale principio deve trovare applicazione anche al rito speciale di cui all’art. 1, commi 48 e segg., l. n. 92/2012, poiché il principio di celerità che informa il predetto rito, non può indurre a ritenere che il mancato rispetto del termine per la notificazione dell'originario ricorso possa condurre alla nullità dell'intero processo. Essendo sempre tenuto il giudice a verificare che il ricorrente abbia avuto conoscenza del decreto di fissazione udienza. Così affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro con la sentenza n. 9142/18, pubblicata il 12 aprile. La vicenda giudizio di opposizione alla decisione in fase sommaria dichiarato improcedibile per omessa notifica di ricorso e decreto. Una lavoratrice impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli con ricorso ex l. n. 92/2012 rito Fornero . All’esito della fase sommaria l’impugnazione veniva respinta. La lavoratrice proponeva così opposizione ma il Tribunale, rilevando la mancata comparizione delle parti all’udienza fissata, dichiarava improcedibile il giudizio. La lavoratrice proponeva così reclamo alla Corte d’Appello, deducendo, tra l’altro, la mancata comunicazione del decreto di fissazione udienza nel precedente giudizio di opposizione. E riproponendo le difese nel merito. La Corte d’Appello accoglieva il reclamo affermando l’erroneità della dichiarazione di improcedibilità del giudizio di opposizione e, decidendo nel merito, riteneva illegittimo il licenziamento per insussistenza dei fatti contestati, applicando la tutela di cui al quarto comma dell’art. 18 della legge n. 300/1970. Propone ricorso in Cassazione l’azienda. Le garanzie costituzionali al diritto di difesa. Nel decidere la questione portata alla sua decisione, la Suprema Corte ripercorre la giurisprudenza della Corte Costituzionale sulle garanzie costituzionali del diritto alla difesa. Si richiama in particolare la sentenza n. 15 del 14 gennaio 1977, con cui venne dichiarata l’incostituzionalità del secondo comma dell’art. 435 c.p.c., nella parte in cui non prevede che il termine di 10 giorni entro cui l’appellante deve notificare il ricorso e decreto di fissazione dell’udienza di discussione decorra dalla comunicazione del decreto stesso all’appellante, anziché come inizialmente previsto dalla norma dal deposito del decreto. Sono seguite, osserva il Supremo Collegio, altre sentenze della Corte Costituzionale in cui il principio enunciato in tema di diritto di difesa è stato riaffermato in relazione ad altri procedimenti. Secondo il dettato del Giudice delle leggi, la conoscibilità del dies a quo della decorrenza di un determinato termine è elemento coessenziale al diritto di difesa, non potendo l’interessato venire a trovarsi in condizione di non poter utilizzare nella sua interezza il termine assegnato per esercitare un’azione, con l’estrema conseguenza di vedere vanificata la situazione giuridica protetta. La decisione delle SS.UU. n. 20604/08. L’azienda ricorrente richiama i principi enunciati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 20604/08. In forza di tale massima, si sostiene che la mancata notificazione del ricorso di opposizione e conseguente decreto di fissazione udienza non consentisse al giudice concedere nuovo termine perentorio per la notifica. Con conseguente improcedibilità dell’opposizione proposta. Correttamente il Tribunale aveva così ritenuto, mentre viceversa appare errata la decisione resa dalla corte territoriale con la sentenza impugnata. La Suprema Corte afferma che la sentenza n. 20604/08 richiamata dalla ricorrente prende in considerazione le conseguenze della inesistenza della notificazione all’appellato di ricorso e decreto, ma non si spinge a considerare il diverso aspetto dalla mancata conoscenza del deposito del decreto di fissazione udienza, per mancata comunicazione all’appellante. Sul punto altra decisione della Corte di legittimità aveva affermato che In tema di impugnazione, nei procedimenti attivati su istanza di parte, ove un termine sia prescritto per il compimento di attività, la cui omissione si risolva in un pregiudizio per la situazione tutelata, deve essere assicurata all'interessato la conoscibilità del momento di iniziale decorrenza del termine stesso, onde poter utilizzare nella sua interezza il tempo assegnatogli pertanto, va esclusa l'improcedibilità del reclamo, proposto avverso il provvedimento di affidamento esclusivo del figlio naturale ad un genitore, non notificato per non avere il reclamante avuto comunicazione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di merito, contenente anche il termine per notificarlo, dovendo essere disposta la rinnovazione della notifica e fissato un nuovo termine Cass. n. 5493/12 . Dunque, proseguono gli Ermellini, alla luce dei principi costituzionali sopra richiamati, correttamente la Corte d’Appello ha riformato la decisione del giudice dell’opposizione. L’error in procedendo in cui era incorsa l’opponente non era tale da determinare la nullità dell’intero procedimento e il Tribunale non poteva dichiarare l’improcedibilità dell’opposizione, sul mero rilievo della mancata comparizione delle parti all’udienza fissata, essendo necessaria la verifica d’ufficio che la parte interessata opponente fosse stata messa in grado di conoscere l’emissione e il deposito del decreto di fissazione udienza. Per ciò che concerne infine le doglianze riguardanti il merito della controversia, la Suprema Corte ha ritenuto le stesse quali sostanziali richieste di rivalutazione delle risultanze istruttorie attività preclusa in sede di legittimità. In conclusione, il ricorso proposto è stato ritenuto infondato e così rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 febbraio – 12 aprile 2018, numero 9142 Presidente Di Cerbo – Relatore Amendola Fatti di causa 1. Con ricorso ex lege numero 92 del 2012 al Tribunale di Roma l’avv. C.B. impugnò il licenziamento disciplinare intimatole il 28 marzo 2014 dalla Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa Spa INVITALIA Spa ed il giudice adito, nella fase sommaria, respinse la domanda. Proposta opposizione il 12 marzo 2015 dalla C. , alla prefissata udienza del successivo 14 maggio, il giudice dichiarò improcedibile la medesima, argomentando che all’udienza fissata per la discussione nessuno è comparso, né risulta che il ricorso sia stato notificato alla Socomma Invitalia Spa . 2. La lavoratrice soccombente reclamava tale sentenza, deducendo che la mancata comparizione era stata determinata dall’omessa comunicazione del decreto di fissazione d’udienza. Nel merito riproponeva le argomentazioni già esposte nel ricorso in opposizione e non esaminate dal giudice di quella fase. Resisteva all’impugnazione la società, chiedendone il rigetto. 3. La Corte di Appello di Roma, con sentenza dell’11 febbraio 2016, ha accolto il reclamo. Premesso che al giudizio di opposizione ex art. 1, co. 51, l. numero 92/2012, per quanto non diversamente previsto, è applicabile il rito del lavoro, ivi compreso l’art. 181 c.p.c. , la Corte ha rilevato che il giudice non avrebbe dovuto dichiarare improcedibile l’opposizione. Indi la Corte territoriale, esaminati il merito della controversia ed i fatti oggetto di contestazione disciplinare alla C. , ha ritenuto che alcuni non fossero mai stati posti in essere, mentre altri fossero fatti leciti, annullando così il licenziamento e riconoscendo la tutela prevista dal quarto comma dell’art. 18 l. numero 300 del 1970 come novellato dalla l. numero 92 del 2012. 4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso INVITALIA Spa con 3 motivi. Ha resistito la C. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, nnumero 3 e 4 c.p.c., degli artt. 1 comma 51 e 52 l. numero 92/2012, 435 e 291 c.p.c., nonché 2697 c.c. omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, numero 5, c.p.c., ovvero omessa pronuncia e perciò violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, numero 4 c.p.c. . Si eccepisce che la Corte territoriale, soffermandosi esclusivamente sulla questione dell’assenza del ricorrente alla prima udienza, non avrebbe tenuto conto dell’altra assorbente e pregiudiziale ragione di improcedibilità del ricorso in opposizione rappresentata dalla radicale assenza di notifica del medesimo in ossequio all’insegnamento di Cass. SS.UU. n 20604 del 2008. Si deduce che l’eccezione era stata sollevata dalla società in grado d’appello e su di essa la Corte avrebbe omesso la pronuncia, trascurando fatti e circostanze processuali decisivi. In ordine, poi, al passaggio motivazionale della sentenza impugnata che, al cospetto del mezzo di gravame con cui la reclamante aveva sostenuto che l’assenza all’udienza era stata determinata dalla mancata comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, contiene il testuale rilievo comunicazione di cui, infatti, non c’è alcuna traccia in atti , il motivo in esame osserva la motivazione richiamata è intesa a giustificare la fissazione di una nuova udienza, alla quale non poteva farsi luogo stante la radicale mancanza della notifica del ricorso in opposizione l’omessa comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza comunque non poteva giustificare la mancata notifica del ricorso in opposizione si nega che per l’opposizione prevista dalla l. numero 92/2012 possa invocarsi l’insegnamento della Corte cost. numero 15 del 1977 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 435 c.p.comma nella parte in cui non dispone che l’avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza sia comunicato all’appellante, perché l’art. 1, co. 52, l. numero 92/2012 non fa affatto decorrere il termine per la notifica del ricorso in opposizione dalla data del deposito del decreto di fissazione dell’udienza . In ogni caso si contesta che la difesa della C. abbia dimostrato con ogni possibile mezzo di non aver ricevuto comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di opposizione. 1.1. Il motivo, nelle sue plurime articolazioni, non può essere accolto. La controversia pone questione del se, nel giudizio di opposizione previsto dall’art. 1, commi 51 - 57, l. numero 92 del 2012, il giudice possa sanzionare, con una pronuncia in rito di improcedibilità , l’opposizione, constatando la mancata comparizione delle parti all’udienza prefissata e rilevando l’omessa notificazione del ricorso in particolare se ciò possa fare senza preventivamente accertarsi che il decreto di fissazione dell’udienza, il quale, ai sensi del comma 52 dell’art. 1 cit., unitamente al ricorso in opposizione, deve essere notificato, anche a mezzo di posta elettronica certificata, dall’opponente all’opposto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione , sia stato o meno posto a conoscenza dell’opponente. 1.2. La soluzione della questione non può prescindere dal quadro delle garanzie costituzionali al diritto di difesa così come delineate sin da risalente giurisprudenza della Corte costituzionale cfr. Corte cost. numero 159 del 1971 numero 255 del 1974 numero 14 del 1977 in base alla quale, laddove un termine sia prescritto per il compimento di una attività processuale, la cui omissione si risolva in pregiudizio della situazione tutelata, deve essere assicurata all’interessato la conoscibilità del momento di iniziale decorrenza del termine stesso, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il tempo assegnatogli. In particolare, con la sent. numero 15 del 1977, sulla scorta di tale principio, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 435, co. 2, c.p.c., nella parte in cui prescrive relativamente al giudizio di secondo grado che il decreto di fissazione dell’udienza di discussione davanti al Collegio deve essere notificato unitamente al ricorso entro il termine di giorni dieci, decorrenti dal deposito del decreto stesso, anziché dalla sua comunicazione all’appellante. La Corte costituzionale, nella richiamata pronuncia, rileva che le conseguenze pregiudizievoli per il diritto di difesa, nella specie, non possano essere superate né accedendo alla tesi che il termine in questione sia di tipo ordinatorio, perché in tal caso all’appellante può non essere preclusa la notificazione del decreto ma ciò comunque non lo porrebbe al riparo dalle conseguenze che possono riconnettersi alla violazione del termine a comparire che - proprio in dipendenza della non tempestiva conoscenza del decreto - l’appellante non fosse stato in grado di rispettare, né tale pregiudizio della difesa potrebbe sempre essere evitato con l’uso della normale diligenza da parte del procuratore dell’appellante, spingendosi fino al punto di un controllo giornaliero, con ciò superando il limite della normalità. In prosieguo il Giudice delle leggi, con la sent. numero 197 del 1998, sulla scorta del medesimo principio ritenuto generale criterio interpretativo , ha diradato i dubbi d’incostituzionalità prospettati dalla Corte di cassazione in quell’occasione rimettente, affermando fosse possibile - attraverso un’interpretazione adeguatrice della denunciata normativa ai precetti costituzionali - escludere che l’inutile decorso del termine di notifica indicato nel decreto di fissazione dell’udienza emesso ai sensi dell’art. 29 della legge numero 794 del 1942 comporti, pur in difetto della comunicazione del decreto stesso, la decadenza dell’impugnazione già tempestivamente proposta ai sensi dell’art. 11, quinto comma, della legge numero 319 del 1980. Infatti, il semplice deposito di un provvedimento nella cancelleria non offre al soggetto che lo ha richiesto quella ragionevole possibilità di tempestiva conoscenza, senza oneri eccedenti la normale diligenza, che - come questa Corte ha più volte affermato e intende ribadire é necessaria quando viene in considerazione l’osservanza d’un termine per l’esercizio del diritto di agire e di difendersi in giudizio v. sentenze numero 156 del 1986 e numero 303 del 1985, nonché numero 120 del 1986 e numero 15 del 1977 . Si argomenta il ricorso proposto a sensi dell’art. 11, quinto e sesto comma, della legge numero 319 del 1980 è atto impugnatorio della liquidazione già operata dal giudice o dal pubblico ministero che ha nominato il perito avente diritto al compenso. Atto che costituisce espressione d’un diritto attribuito dalla norma col solo onere di osservare il termine di venti giorni dall’avvenuta comunicazione”. Osservato tale termine, una decadenza dalla già proposta impugnazione potrebbe ricollegarsi alla mera inattività relativamente ad adempimenti successivi, solo in quanto il ricorrente sia stato posto in condizione di conoscere il momento iniziale del termine entro cui provvedere agli adempimenti stessi il che non può ragionevolmente ritenersi verificato a seguito del semplice deposito del decreto previsto nell’art. 29, primo comma, della legge numero 794 del 1942 . Il risultato ermeneutico così conseguito dalla Consulta, muovendo da diversa premessa interpretativa che esclude ogni decadenza - da preferire proprio perché rispettosa dei valori costituzionali - ha reso la denunciata normativa, che pure non prevedeva espressamente la comunicazione al ricorrente del decreto del Presidente del Tribunale in calce al ricorso con cui è fissata la comparizione delle parti, immune dai vizi prospettati. Ancora la medesima Corte costituzionale sent. numero 144 del 1996 , in altra ipotesi di termine stabilito a prescindere dall’effettiva conoscibilità del dies a quo di decorrenza, ha ribadito che tale conoscibilità è elemento coessenziale al diritto di difesa , non potendo l’interessato venire a trovarsi in condizione di non poter utilizzare nella sua interezza il tempo assegnatogli per esercitare un’azione, la quale potrebbe addirittura finire per essere inutiliter data, con conseguente reale rischio che la situazione giuridica protetta rimanga vanificata . 1.3. All’esigenza di contemperare il canone della ragionevole durata del processo con il rispetto del diritto di difesa si è mostrata sensibile la più recente giurisprudenza di legittimità. Proprio dal principio del giusto processo , le Sezioni unite di questa Corte sono partite per riesaminare taluni enunciati espressi dal precedente costituito dalla sentenza numero 20604 del 2008, cogliendo l’occasione rappresentata dalla questione dell’omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla controparte in materia di equa riparazione ex lege numero 89 del 2001 Cass. SS. UU. numero 5700 del 2014 . Hanno così affermato che il principio del giusto processo . non si esplicita nella sola durata ragionevole dello stesso . Hanno richiamato la dottrina per sottolineare che occorre prestare altresì la massima attenzione ad evitare di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore costituzionale della ragionevole durata del processo, a scapito degli altri valori in cui pure si sostanzia il processo equo, quali il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto ad un giudizio . Premesso che la stessa Corte Europea di Strasburgo ammette le limitazioni all’accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, le Sezioni unite hanno considerato che la L. numero 89 del 2001 . non contiene una previsione legale tipica che sanzioni con il divieto di accesso alla giurisdizione la omessa notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione della udienza , evidenziando altresì che il principio enunciato dalla sentenza numero 20604 del 2008 è già stato ritenuto non applicabile in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento SS.UU. numero 25494 del 2009 , di impugnazione di lodo arbitrale Cass. numero 9394 del 2011 , di opposizione al decreto di liquidazione degli onorari al difensore Cass. numero 2442 del 2011 , di procedimenti camerali di cui all’art. 38 disp. att. c.comma Cass. numero 12983 del 2009 . Il complesso delle descritte circostanze ha, dunque, indotto le Sezioni unite a discostarsi . dalla soluzione adottata nella richiamata sentenza del 2008 . e ad ammettere, invece, la possibilità per il giudice, nel procedimento ex lege numero 89 del 2001, di concedere un nuovo termine, questo sì perentorio, al ricorrente nella ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza . Detto principio, ribadito da Cass. SS. UU. numero 9558 del 2014, è stato prontamente recepito dalle sezioni semplici v. tra le altre Cass. numero 8421 del 2014 nonché Cass. numero 21669 del 2014, espandendosi al punto che anche in taluni procedimenti impugnatori l’omessa notifica dell’impugnazione non comporta alcun effetto preclusivo, ma implica soltanto la necessità di procedere all’assegnazione di un nuovo termine Cass. numero 14731 del 2016 Cass. numero 16355 del 2016 Cass. numero 24722 del 2015 . 1.4. A tali postulati si è adeguata altresì la Sezione lavoro della Cassazione a partire dalla sentenza numero 1453 del 2015 che ha affermato il seguente principio di diritto Nel rito del lavoro, nel caso di omessa o inesistente notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell’udienza, è ammessa la concessione di un nuovo termine, perentorio, per la rinnovazione della notificazione di tali atti successivamente conf., tra le altre, Cass. numero 11918 del 2015 . Tra le plurime argomentazioni che sostengono la decisione, la sentenza citata - per quanto qui più interessa - rileva come il decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 415 c.p.c., co. 2, non debba essere comunicato alle parti e che questa Corte ha escluso dubbi di legittimità costituzionale di una tale disciplina affermando che la fattispecie relativa all’incardinamento del giudizio di primo grado è diversa da quella relativa all’impugnazione di atti pregiudizievoli per la parte, concernendo solo la promozione del contraddittorio pertanto è onere non vessatorio di diligenza e collaborazione della difesa tecnica con l’ufficio giudiziario informarsi dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza v. Cass. numero 3251 del 2003 . Tuttavia - prosegue Cass. numero 1453 del 2015 - se parte ricorrente comunque non ha avuto conoscenza del deposito del decreto e, in ragione di ciò, non ha provveduto alla notificazione e chiede l’autorizzazione a rinnovarla, ove venisse seguita l’esegesi qui non condivisa ndr. quella che non ammette la rinnovazione si porrebbe il problema se l’inosservanza dell’onere informativo incombente sulla difesa tecnica possa essere sanzionato con una pronuncia di inammissibilità o improcedibilità del ricorso. Va tenuto conto che il legislatore ben può condizionare l’esercizio di atti di difesa giudiziale al rispetto di termini ed al compimento di atti, anche a pena di improcedibilità o di inammissibilità, ma, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, non è lecito presumere che una tale conseguenza sia prevista implicitamente in situazioni nelle quali non risulti, al contempo, garantito alla parte onerata dal rispetto del termine la tempestiva conoscenza del momento dal quale essa prende a decorrere così Cass. SS.UU. numero 5700 del 2014, ma v. già Cass. numero 5493 del 2012 . Si ricorda dunque la Corte costituzionale anche qui menzionata sent. numero 15 del 1977 , che, dichiarata in parte qua l’illegittimità costituzionale dell’art. 435 c.p.c., co. 2, ha introdotto così un obbligo di comunicazione dell’avviso di deposito di detto decreto che funge da contrappeso alla sanzione di improcedibilità. 1.5. Il principio per il quale l’omessa notificazione del ricorso introduttivo non ne impedisce la rinnovazione ha trovato applicazione anche nel rito di impugnativa dei licenziamenti previsto dalla l. numero 92 del 2012. Così Cass. numero 16349 del 2016 ha affermato il principio di celerità che informa il cd. rito Fornero non può indurre a ritenere che il mancato rispetto del termine per la notificazione dell’originario ricorso ex art., comma 48, L. numero 92/12, possa indurre a ritenere nullo l’intero processo, imponendo il suo rinnovo ab origine si è escluso, alla luce dei principi costituzionali e dell’Unione Europea, che un vizio di notifica dell’atto introduttivo del giudizio comporti l’azzeramento dell’azione in senso sostanziale, in contrasto con l’esigenza di effettività della tutela giurisdizionale. Nella medesima prospettiva si colloca Cass. numero 2621 del 2017 la quale ha escluso, in stretta continuità con quanto statuito da Cass. numero 1453/2015 cit., che le esigenze di celerità che ispirano il rito previsto dalla l. numero 92 del 2012 possano spingersi sino al punto di negare la possibilità di concedere ex art. 291 c.p.comma nuovo termine per la notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell’udienza, pur se la notifica stessa risulti omessa del tutto, atteso che il principio costituzionale di ragionevole durata di cui all’art. 111, co. 2, Cost., va esaminato nell’ottica non del singolo processo, ma dei tempi complessivi necessari affinché su un dato diritto azionato si ottenga una pronuncia di merito, nel sostanziale rispetto dell’art. 24 Cost. ed è compito dell’interprete far sì che le pronunce di mero rito siano limitate ai casi strettamente necessari, sicché, se il vizio d’un atto processuale è sanabile, il processo potrà chiudersi con una pronuncia di mero rito solo dopo che il giudice abbia invitato la parte a porvi rimedio e questa non vi abbia provveduto . Pertanto la Corte in quel caso sottoposto al suo esame ha ritenuto errata la conclusione cui erano pervenuti i giudici di merito, in base alla quale la mancata comparizione di tutte le parti alla prima udienza renderebbe irrimediabilmente improcedibile il ricorso in assenza di costituzione del convenuto , sottolineando altresì che non ha alcun senso disporre in prima udienza il rinvio ex art. 181 c.p.comma al solo fine di dichiarare, alla successiva udienza, l’improcedibilità del ricorso malgrado l’avvenuta regolare costituzione del contraddittorio in vista della seconda udienza . 1.6. In particolare poi, sempre con riferimento al procedimento regolato dalla l. numero 92/2012, in un caso in cui il giudice dell’opposizione, con conferma in grado d’appello, aveva autorizzato la rinnovazione della notifica dell’opposizione non avendo il notificante avuto formale conoscenza del termine iniziale per effettuare la notifica, termine costituito dalla conoscenza del decreto di fissazione di udienza che non risultava mai comunicato dalla cancelleria , questa Corte sent. numero 22355 del 2015 ha ritenuto corretto l’operato dei giudici del merito. Ha richiamato esplicitamente la sentenza della Corte costituzionale numero 15 del 1977 secondo cui ove un termine sia prescritto per il compimento di un’attività, la cui omissione si risolva in pregiudizio della situazione tutelata, deve essere assicurata all’interessato la conoscibilità del momento di iniziale decorrenza del termine stesso, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il termine assegnatogli - e non ha dubitato dell’applicabilità di tale principio al procedimento di cui all’art. 1 comma 52 della legge numero 92 del 2012, anche con riferimento al principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost , ritenendo che il principio della regolarizzazione degli atti, a garanzia di diritti difesa pure costituzionalmente tutelati, non trova ostacolo nel principio della giusta durata del processo, dovendosi piuttosto affermare che tale ultimo principio deve essere coordinato con quello del giusto processo . 1.7. Nel delineato contesto delle pronunce del Giudice delle leggi e dei precedenti di legittimità questa Corte reputa che all’operatività del richiamato principio nell’ambito dell’opposizione disciplinata dal rito della l. numero 92 del 2012 debba essere data continuità e sviluppo, secondo le precisazioni che seguono. Vero è che il comma 52 dell’art. 1, l. numero 92/2012, non prevede esplicitamente che il decreto di fissazione dell’udienza emesso dal giudice dell’opposizione debba essere comunicato all’opponente, così come non è previsto dall’art. 415 c.p.comma che il decreto di fissazione dell’udienza di discussione debba essere comunicato al ricorrente. Ma con una radicale differenza tra le due ipotesi. Nel secondo caso l’omessa notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, concernendo solo la promozione del contraddittorio, non ne preclude la rinnovazione né costituisce ostacolo ad una eventuale riproposizione della domanda. L’opposizione invece, depositata a pena di decadenza nel termine di trenta giorni, a mente del richiamato comma 52, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificata dall’opponente all’opposto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Quindi l’opponente, come in ogni giudizio di tipo oppositorio in cui, ove non coltivato, si determina il consolidamento del provvedimento emesso nella fase precedente, ha un tempo per compiere l’attività di ulteriore impulso del procedimento dopo l’emissione del decreto di fissazione dell’udienza. La mancata conoscenza dell’avvenuto deposito del decreto espone l’opponente a conseguenze pregiudizievoli rappresentate non solo dal mancato rispetto del termine da concedere all’opposto ma, soprattutto, dalla possibilità che non riesca a provvedere alla notificazione e anche che la prefissata udienza si svolga in sua assenza. Pertanto anche in tale caso deve operare il principio, ritenuto - secondo la richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale - generale criterio interpretativo , in base al quale ove sia prescritto un tempo per il compimento di una certa attività processuale, la cui omissione si risolva in un pregiudizio della situazione tutelata, deve essere assicurata la conoscibilità dell’atto che funge da presupposto condizionante l’onere notificatorio gravante sull’opponente, sia per consentire il rispetto dei termini imposti dall’ulteriore sviluppo del procedimento, ma anche per evitare che l’omessa notificazione si traduca in una preclusione alla prosecuzione del giudizio, con pregiudizio irreversibile per l’opponente. Dunque, in mancanza di conoscenza legale da parte dell’opponente dell’avvenuto deposito del decreto di fissazione dell’udienza e quindi dell’insorgere dell’onere di provvedere alla notificazione, ove sia omessa la medesima, è preclusa l’applicazione di una sanzione processuale idonea a cagionare il passaggio in giudicato del provvedimento giudiziale emesso all’esito della fase sommaria cfr. Cass. SS.UU. numero 17443 del 2014 numero 19674 del 2014 numero 4308 del 2017 . Ne consegue che il giudice non può giungere ad una pronuncia in rito di improcedibilità dell’opposizione, rilevando l’omessa notificazione del ricorso, senza preventivamente accertarsi che l’opponente abbia avuto conoscenza del decreto di fissazione dell’udienza. Una interpretazione diversa da quella adeguatrice ai valori costituzionali ingenererebbe fondati dubbi di conformità a Costituzione mentre quella qui patrocinata è perseguibile proprio sulla scorta dei precedenti della Consulta richiamati in premessa. Inoltre il descritto risultato ermeneutico appare conforme all’esigenza di far prevalere le interpretazioni dirette a consentire al processo di giungere al suo sbocco naturale di una pronuncia di merito, ancorando le sanzioni processuali a canoni di proporzionalità, chiarezza e prevedibilità secondo le pronunce della Corte EDU da ultimo, v. Cass. SS.UU. numero 13453 del 2017 e numero 27199 del 2017 . 1.8. Non osta all’affermata esegesi la regula iuris dettata da Cass. numero 17325 del 2016, secondo cui, in caso di mancata notifica dell’opposizione ex art. 1, co. 51, l. numero 92/2012 unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, il giudice non può concedere la rimessione in termini, stante la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un confine temporale rigorosamente predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso, con conseguente improcedibilità dell’opposizione. Infatti in tale pronuncia si ha ben cura di evidenziare che, nel caso in quell’occasione all’attenzione della Corte, nessuna questione è posta con riferimento alla comunicazione al ricorrente del decreto di fissazione di udienza, né all’ eventuale ristrettezza del termine assegnato per la notifica, che neppure viene indicato, pacifico essendo invece che la notifica del ricorso e del pedissequo decreto non sia avvenuta, e che all’udienza fissata per la discussione della causa la difesa di parte opponente abbia chiesto di essere rimesso in termini per procedervi, senza fornire alcuna motivazione in merito alla mancata notifica . Pertanto la regula iuris enunciata da Cass. numero 17325/2016, che qui non si nega, opera sempre che non sorga questione della conoscenza da parte dell’opponente dell’avvenuto deposito del decreto di fissazione dell’udienza. D’altra parte già questa Corte Cass. numero 5493 del 2012 ha evidenziato che la sentenza SS.UU. numero 20604 del 2008 attiene al diverso aspetto delle conseguenze della inesistenza della notificazione all’appellato del ricorso e del decreto nel termine di cui all’art. 435 c.p.c., ma non involge anche lo specifico presupposto della comunicazione del decreto in discussione . 1.9. Alla stregua delle considerazioni esposte l’error in procedendo ravvisato nella decisione impugnata dalla ricorrente non è idoneo a determinare nullità del procedimento o della sentenza tale da imporre la cassazione della pronuncia a mente dell’art. 360, co. 1, numero 4, c.p.c., in quanto il giudice dell’opposizione, correttamente riformato nella sua decisione dalla Corte di Appello, non poteva dichiarare l’improcedibilità della medesima sul mero rilievo della mancata comparizione delle parti e dell’omessa notificazione del ricorso, non essendo ciò sufficiente senza la verifica ex officio che la parte opponente era stata posta a conoscenza del decreto di fissazione dell’udienza. Né possono essere accolte le altre censure articolate nel motivo, in particolare quella secondo cui si sarebbe consumata una omessa pronuncia a mente dell’art. 112 c.p.comma per non aver argomentato la Corte territoriale sull’eccezione sollevata in appello della società circa l’autonoma ragione di improcedibilità dell’opposizione per omessa notifica della stessa. Per un canto il vizio di omessa pronuncia non è configurabile in ordine alle eccezioni di rito e, più in generale, in ordine alle questione impedienti di ordine processuale, ma solo nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito Cass. numero 28308 del 2017 Cass. numero 321 del 2016 Cass. numero 22592 del 2015 Cass. numero 1701 del 2009 Cass. SS.UU. numero 15982 del 2001, ha in particolare affermato - anche se in riferimento alle richieste istruttorie - che il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza è configurabile esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano necessariamente una statuizione di accoglimento o di rigetto in ordine alle questioni processuali può invece profilarsi un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se ed in quanto la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata cfr. Cass., numero 13649 del 2005, numero 3927 e 18147 del 2002, numero 5482 del 1997 . D’altro canto, come ricorda da ultimo Cass. numero 16102 del 2016, l’art. 360-bis numero 2 c.p.c., là dove implica che la violazione di norme del procedimento determini quella dei principi regolatori del giusto processo, nell’unica lettura possibile per dare alla previsione un senso comporta proprio che detta violazione abbia svolto un ruolo decisivo, dovendosi dimostrare che l’omessa pronuncia riguarda una quaestio iuris astrattamente rilevante , mentre nella specie l’omessa notifica dell’opposizione di per sé non poteva costituire ragione sufficiente della declaratoria di improcedibilità, in mancanza di accertata conoscenza del deposito del decreto di fissazione dell’udienza da parte opponente. Infine, in ordine alle pretese lacune motivazionali del passaggio in cui la Corte territoriale ha ritenuto che della comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione sull’opposizione non c’è alcuna traccia in atti , posto che tanto non potrebbe mai tradursi in un omesso esame rilevante a mente dell’art. 360, co. 1, numero 5, c.p.c., il quale riguarda piuttosto i fatti decisivi nella ricostruzione della vicenda storica che ha dato origine al processo, evidentemente si tratta di accertamento compiuto dai giudici di appello, al cospetto di un reclamo della C. che, come si legge nella sentenza impugnata, eccepiva proprio che l’assenza dell’opponente era stata determinata dall’omessa comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza . Accertamento che non può essere rivalutato in questa sede di legittimità, peraltro sull’errato assunto della società secondo cui avrebbe dovuto essere onere della reclamante C. dimostrare con ogni possibile mezzo di non aver ricevuto comunicazione del decreto di fissazione , quando invece, per il principio innanzi espresso, era il giudice dell’opposizione che, per poter dichiarare l’improcedibilità, avrebbe dovuto d’ufficio verificare e dare atto di tale comunicazione, non essendo sufficiente rilevare che le parti non erano comparse e che il ricorso in opposizione non era stato notificato. 2. In subordine, con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., sostenendo che la Corte di Appello avrebbe erroneamente pronunciato nel merito, mentre, anche a non voler considerare improcedibile il ricorso in opposizione, avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice, per non sottrarre un grado di giudizio alla parte incolpevole dell’omissione altrui. La censura non può essere condivisa. In applicazione dei principi della tassatività delle ipotesi di rimessione di cui agli artt. 353 e 354 c.p.comma e della conversione nei motivi di nullità in motivi di impugnazione art. 161, comma 1, c.p.c. , con la conseguente possibilità per le parti di svolgere ugualmente nel grado superiore le loro difese, il giudice di appello, al di fuori delle ipotesi specificamente indicate dalle disposizioni citate, non deve rimettere la causa al giudice di primo grado ma deve decidere la causa nel merito tra le recenti, ex multis, Cass. numero 27516 del 2016 . Né ricorre nella specie l’ipotesi della nullità della notificazione della citazione introduttiva di cui all’art. 354 c.p.c., in quanto la stessa, insuscettibile di applicazione analogica, non è estensibile al caso in cui il procedimento bifasico di cui alla l. numero 92 del 2012 è già stato introdotto con il ricorso che ha dato origine alla fase sommaria ed alla quale la società ha pienamente partecipato in contraddittorio, mentre l’opposizione, incardinatasi in un procedimento già in corso, si è svolto nell’assenza di entrambe le parti, culminando in una pronuncia di mero rito, ed è in appello che la società ha potuto compiutamente svolgere le sue difese, non avendo, peraltro, il doppio grado di giudizio copertura costituzionale né, a fortiori, avendola la duplice fase del rito cd. Fornero . 3. In ulteriore subordine, con il terzo motivo, nel merito della lite , INVITALIA Spa denuncia Violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 numero 3 e 4 c.p.c., dell’art. 2119 c.comma e della clausola generale rappresentata dalla giusta causa di licenziamento e dell’art. 2105 c.c Omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, numero 5 c.p.c. . Con plurime censure si lamenta che sia stata dichiarata nella specie insussistente una giusta causa di licenziamento. Il motivo, nei limiti residui in cui esso è ammissibile oltre la formulazione promiscua di vizi prospettati come riconducibili ai numeri 3, 4 e 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da . irredimibile eterogeneità Cass. SS.UU. numero 26242 del 2014 cfr. anche Cass. SS.UU. numero 17931 del 2013 conf. Cass. numero 14317 del 2016 , non può trovare accoglimento. Nonostante in esso si sollevi anche la formale denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, in particolare dell’art. 2119 c.c., nella sostanza parte ricorrente lamenta omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, numero 5, c.p.c. in ordine alla ritenuta insussistenza da parte della Corte territoriale di fatti disciplinarmente rilevanti oggetto di contestazione nei confronti della C. . Orbene l’accertamento in ordine alla ricostruzione di detti fatti e del come si siano realizzati nella vicenda storica che origina la controversia compete ai giudici di merito. Ad essi spetta anche la valutazione di tali fatti al fine di esprimere un giudizio complessivo dei medesimi che spieghi le ragioni per cui da essi si sia tratto il convincimento circa la sussistenza o meno della giusta causa di licenziamento. Trattandosi di giudizi di fatto questa Corte può sottoporli a sindacato nei limiti consentiti da una prospettazione del vizio di cui all’art. 360, co. 1, numero 5, c.p.c., nella formulazione novellata, così come rigorosamente interpretata dalle SS.UU. di questa Corte a partire da SS.UU. nnumero 8053 e 8054 del 2014 principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. numero 19881 del 2014, numero 25008 del 2014, numero 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici . Nella specie parte ricorrente non enuclea alcun fatto, fenomenicamente inteso, che non sarebbe stato esaminato dalla Corte territoriale, con valenza decisiva tale che, se fosse stato valutato, l’esito della controversia sarebbe stato, con prognosi di certezza e non di mera possibilità, favorevole al deducente piuttosto critica diffusamente la ricostruzione e l’apprezzamento dei fatti come operati dal giudice di merito al cui dominio appartengono. Poiché poi gli elementi da valutare ai fini dell’integrazione della giusta causa di recesso sono molteplici occorre guardare, nel sindacato di questa Corte, alla rilevanza dei singoli parametri ed al peso specifico attribuito a ciascuno di essi dal giudice del merito, onde verificarne il giudizio complessivo che ne è scaturito dalla loro combinazione e saggiarne la coerenza della sussunzione nell’ambito della clausola generale. Trattandosi di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può limitarsi - come nella specie - ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma avrebbe piuttosto dovuto dimostrare che la combinazione e il peso dei dati fattuali, esattamente così come definito dal giudice del merito, non consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento cfr. Cass. numero 18715 del 2016, cui integralmente si rinvia per i limiti del sindacato di legittimità in caso di giusta causa di licenziamento tra vizio di sussunzione ed omesso esame di fatti decisivi . Il che però non è avvenuto, avendo piuttosto parte ricorrente criticato in più parti la stessa ricostruzione della vicenda storica quale effettuata dalla Corte territoriale, anche attraverso un continuo rinvio alle risultanze istruttorie, invocando nella sostanza una nuova valutazione di merito ad opera di questa Corte, del tutto estranea al giudizio di legittimità. 4. Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. numero 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. numero 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.