La scelta della sede preferenziale ai sensi della legge 104 deve essere svolta contestualmente alla nomina dirigenziale

Il dipendente pubblico che fruisce della legge 104 assistendo un congiunto invalido, nel momento in cui riceve un incarico dirigenziale, deve immediatamente segnalare la sede preferita più vicina al proprio domicilio, fermo restando che tale sede potrà essergli attribuita ove possibile”. Infatti, l'esercizio del diritto di opzione, non deve comportare una lesione delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, o determinare un danno per la collettività, compromettendo buon andamento ed efficienza della pubblica amministrazione.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7693/18, depositata il 28 marzo. La tutela del diversamente abile va contemperata con l'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione. La vicenda nasceva dal licenziamento intimato da un Ministero al dipendente pubblico che, avendo ricevuto una nomina dirigenziale, ometteva di prendere servizio presso l'ente di destinazione, ove era stato trasferito proprio in forza del nuovo incarico. Seguiva l'impugnazione del dipendente, basata pure sul fatto che il rifiuto della nuova sede sarebbe stato dettato dall'esigenza di cura della madre ultranovantenne, per la quale il pubblico dipendente fruiva dei benefici della legge 104/1992. La Cassazione, partendo dalle sentenze nn. 372/2002 e 246/1997 della Corte Costituzionale, ricordando che ai sensi dell'art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 la facoltà del lavoratore di individuare la sede più vicina al domicilio deve essere soddisfatta ove possibile”, ha stabilito come l'esigenza di solidarietà espressa dalla legge 104 debba arretrare di fronte al limite esterno della specificità del ruolo della dirigenza pubblica, al fine di salvaguardare l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione. Se il conferimento d'incarico dirigenziale presuppone lo spostamento di sede, la volontà del dipendente pubblico che fruisce della legge 104 di ottenere una sede preferenziale va immediatamente segnalata. Con buona pace per il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, il dipendente deve segnalare quali sedi gradisce. Se viene omessa la scelta dal dipendente, l'amministrazione non è obbligata a giustificare le ragioni che causano il cambio di sede, non trattandosi di trasferimento in senso tecnico per espressa esclusione della disciplina dell'art. 2103 c.c. da parte dell'art. 19 d.lgs. n. 165/2001. L'interesse pubblico prevale su quello assistenziale della legge 104 soprattutto se l'interesse assistenziale viene strumentalizzato. Questa constatazione emerge chiaramente dalla lettura dei fatti di causa e dalla sentenza della Suprema Corte se il lavoratore intende avvalersi del beneficio di sceglier la sede più agevole per la cura del prossimo congiunto, è tenuto ad esercitare l'opzione ogni qual volta, anche solo in potenza, riceve un incarico che possa assegnarlo ad altra sede, ovunque essa sia. Nei fatti di causa invece il dipendente pubblico, pur avendo diritto alla legge 104 per l'anziana madre, s'è ricordato del diritto d'opzionare la sede solo dopo aver ottenuto l'assegnazione dirigenziale fuori dalla regione di provenienza un ritardo fatale, che è costato l'incarico dirigenziale ed il posto di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 dicembre 2017 – 28 marzo 2018, numero 7693 Presidente Di Cerbo – Relatore De Felice Fatti di causa R.A. , coordinatore del Servizio Ispettivo del Segretariato Generale del Ministero delle Politiche Sociali, veniva sottoposto a licenziamento disciplinare nel giugno 2015 in seguito all’ingiustificato ritardo nella presa di servizio con termine perentorio presso la Direzione territoriale del lavoro di omissis presso la quale era stato trasferito a seguito di conferimento di incarico dirigenziale. Il R. impugnava il provvedimento perché comportante lo spostamento in una sede diversa da , deducendo la nullità del trasferimento e del susseguente licenziamento disciplinare perché determinati da motivo illecito - ritorsivo e discriminatorio - per la presunta soggettivizzazione della serie procedimentale e comunque per violazione dell’articolo 54 bis, comma 1 del d.lgs. numero 165/2001, e chiedeva la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno come per legge. Il Tribunale adito annullava il licenziamento per insussistenza del fatto contestato e reintegrava il dipendente nella sede di nuova assegnazione, ritenendo che lo spostamento da a omissis , a norma dell’articolo 19 del d.lgs. numero 165/2001 non potesse essere qualificato come trasferimento in senso tecnico e, pertanto, Io stesso non fosse soggetto ai limiti delle ragioni tecniche, organizzative e produttive imposti dall’articolo 2103 cod. civ In secondo grado, l’appellante insisteva nel prospettare la sua mancanza non quale illecito rifiuto, ma come necessità di assistere la madre ultranovantenne disabile, per la quale, unico familiare convivente, già usufruiva dei benefici di cui alla l. numero 104/1992. Il R. rivendicava, in definitiva, il diritto di poter svolgere l’incarico dirigenziale attribuitogli in uno degli oltre cinquanta uffici esistenti sul territorio capitolino. La Corte d’Appello di cui in epigrafe, a conferma della pronuncia di prime cure, ha respinto la domanda, considerando lo spostamento di sede estraneo alla disciplina del trasferimento, se non limitatamente al trattamento economico, per espressa esclusione, da parte dell’articolo 19, co. 1, d.lgs. numero 165/2001, dell’applicabilità dell’articolo 2103 cod. civ. alla fattispecie dell’assegnazione dell’incarico. Quanto alla presunta violazione dell’articolo 33 della l. numero 104/1992, secondo cui, il dipendente che benefici delle agevolazioni poste per esigenze di tutela dei congiunto disabile non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, la Corte territoriale ha statuito come con tale disposizione il legislatore abbia voluto riservare al beneficiario la possibilità di esprimere, attraverso un atto di volizione, la scelta preferenziale di una sede di lavoro - ove possibile - più vicina al domicilio della persona da assistere. Il giudizio di merito ha accertato che nel caso controverso l’esercizio di tale facoltà di scelta fosse mancato per l’inerzia imputabile esclusivamente al R Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione R.A. con una censura, cui resiste con tempestivo controricorso il Ministero dei lavoro e delle Politiche Sociali. Ragioni della decisione Con l’unica censura il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 19, co.1, del d.l.gs. numero 165/2001 e dell’articolo 33, co.5 della l. numero 104/1992, in relazione all’articolo 360, co.1, numero 3 cod. proc. civ., per avere, la pronuncia gravata, erroneamente affermato che in sede di conferimento di incarico dirigenziale non si applica il divieto di trasferimento previsto dall’articolo 33, co.5, l. numero 104/1992. La ratio decidendi sarebbe inficiata dal grave errore di diritto di aver considerato soggetta a condizione di compatibilità la tutela di cui all’articolo 33 della l. numero 104, sulla base del rilievo attribuito all’inciso ove Possibile . Questo, secondo parte ricorrente, si riferirebbe di contro soltanto alla scelta della sede e non già al trasferimento in sé, il quale non potrebbe disporsi senza il consenso dell’interessato. Il Giudice del merito, nel fare applicazione dell’articolo 19 del d.lgs. numero 165/2001, così come modificato dall’articolo 40, co. 1, lett. a del d.lgs. numero 150/2009, al co.1, il quale stabilisce che al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’articolo 2103 cod. civ. ha ritenuto che il potere datoriale di trasferimento non possa ritenersi soggetto al limite interno delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. L’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza gravata riguarderebbe, tuttavia, il diverso aspetto di aver negato l’assoggettamento del potere di trasferimento al limite esterno sancito dall’articolo 33, co. 5 della l. numero 104/199. L’attribuzione di un incarico dirigenziale in una sede diversa, in assenza del consenso del beneficiario a spostarsi dal luogo di servizio ricoperto al momento dell’avanzamento, avrebbe violato l’obbligo, posto in capo all’amministrazione, di assegnare il ricorrente, della cui esigenza assistenziale era esattamente a conoscenza, a uno degli oltre cinquanta uffici del territorio capitolino. La censura è infondata. Va preliminarmente ricordato che la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate numero 104/1992, all’articolo 33, co.5 come novellato dalla l. numero 53/2000 stabilisce che il genitore o il familiare, dipendente pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, da cui non può essere trasferito senza il suo consenso. La Corte Costituzionale ha voluto imprimere alla norma un criterio di assoluto rigore, al fine di evitare possibili abusi derivanti da una sua impropria applicazione. Pur riconoscendo il valore primario della solidarietà e della tutela dei soggetti portatori di handicap, la Corte ha inteso valorizzare la scelta legislativa di integrare detta tutela con gli altri valori costituzionali con cui questa si presenti in correlazione tra le altre, Corte Cost. numero 372/2002 Corte Cost. numero 246/1997 . Conformemente a tale lettura va interpretato l’articolo 33, il quale riconosce al lavoratore che assista un congiunto invalido, la possibilità di scelta della sede, all’atto dell’assunzione, o anche in caso di successivo trasferimento a domanda. La norma aggiunge l’inciso ove possibile . La giurisprudenza di questa Corte ha attribuito all’espressione il significato per cui, .l’esercizio di quel diritto non deve comportare una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, o determinare un danno per la collettività, compromettendo il buon andamento e l’efficienza della pubblica amministrazione. E ha altresì rilevato che, .La stessa finalità di contemperamento di opposti interessi privati e pubblici, tutti parimenti rapportabili a valori di rango costituzionale, permane pur dopo la novella del testo originario della l. numero 104, articolo 33, operata con la l. numero 53 del 2000, che ha tolto il requisito della convivenza, lasciando, però, intatti tutti gli altri effettiva continuità nell’assistenza, carattere di particolare gravità dell’handicap di cui soffre il congiunto, necessità di prestazioni assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, mancanza di altri supporti parentali Sez. Unumero numero 6917/2015 . Richiamata in premessa la giurisprudenza di legittimità circa il significato attribuito all’espressione ove possibile , si osserva che la tesi di parte ricorrente, che vorrebbe fosse rilevata l’illegittimità del cambiamento di sede sul presupposto che sarebbe stato possibile assegnare l’incarico dirigenziale in uno degli Uffici della Capitale scoperti, invece di allontanarlo dal luogo dell’esigenza assistenziale, non merita accoglimento. Essa non si rivela in grado di contrastare la ratio decidendi della pronuncia gravata. La Corte d’Appello ha ritenuto raggiunta la prova dell’inerzia, imputabile al R. , circa la volontà di avvalersi della scelta preferenziale della sede, per i benefici di cui alla l. numero 104. Tale circostanza non è stata confutata dalla parte ricorrente, la quale, anzi, ne ha negato la rilevanza, adducendo la legittimità della sua reazione al momento del trasferimento di sede, posto che il Ministero era a conoscenza delle necessità assistenziali cui quella scelta attendeva già da tempo .Il ricorrente ha reagito all’illegittimo trasferimento a tempo debito . p. 2 del ricorso . La Corte territoriale ha evidenziato come, costituendo il diritto di scelta della sede preferenziale il fulcro stesso della tutela costituzionale del disabile la tutela del diversamente abile si attua nella forma della scelta preferenziale di sede p. 10 sent. , siccome contemperata con le esigenze della p.a. munite di copertura costituzionale, essa avrebbe dovuto essere esercitata dal ricorrente all’accettazione dell’incarico e non mediante reazione post factum della conoscenza della volontà dell’amministrazione mancata presa di servizio nel termine perentorio presso la sede di omissis . Applicando i principi espressi da questa Corte, il Giudice dell’Appello, con motivazione esente da vizi logici, ha statuito che la copertura costituzionale della tutela del diversamente abile si realizza nella forma della scelta preferenziale di sede, e che il conseguimento del beneficio è condizionato dall’espressione di volontà da parte dell’interessato. La stessa ha accertato altresì come fosse stato provato, nel giudizio di merito, che il R. non si era avvalso del beneficio, essendo rimasto inerte riguardo alla predetta possibilità di esprimere la scelta preferenziale di sede. La circostanza prospettata da parte ricorrente, secondo cui non vi sarebbe stata necessità di scegliere in quanto l’amministrazione era già a conoscenza che il dipendente godeva dei benefici della l. numero 104, per il fatto di concedergli tre permessi al mese per assistere la madre, deve ritenersi ininfluente, e inidonea a surrogare la manifestazione di volontà di avvalersi del beneficio attribuito dalla legge al dipendente per far valere l’esigenza assistenziale di tutela del congiunto disabile. Nessuna censura si ravvisa rispetto all’affermazione per la quale è risultato accertato che le procedure di attribuzione dell’incarico si erano svolte secondo i canoni di trasparenza, e in modo tale da escludere qualunque soggettivizzazione della serie procedimentale a discapito del ricorrente in violazione di legge. A tal proposito non appare raggiunta la prova della ritorsività del provvedimento di trasferimento, il cui onere grava sulla parte che intende far valere in giudizio tale specifica causa d’illegittimità. A voler assecondare la prospettazione di parte ricorrente, la quale utilizza la cifra interpretativa della distinzione tra limiti interni ed esterni all’esercizio dei diritti a copertura costituzionale, il limite esterno alla tutela del disabile si ricava da una lettura combinata tra l’articolo 19 del d.lgs. numero 165/2001 e l’articolo 33 della l. numero 104/1992. Il primo esclude espressamente l’applicazione dell’articolo 2103 cod. civ. al conferimento di un incarico dirigenziale, e quindi dichiara ininfluenti le ragioni tecniche, organizzative e produttive rispetto al potere datoriale di adottare il provvedimento quando questo comporti uno spostamento di sede, stabilendo in via di principio che il conferimento di un incarico dirigenziale non possa identificarsi tout court con l’esercizio unilaterale del potere datoriale. Allo stesso modo, però, quando lo spostamento di sede si ponga in conflitto col diritto del congiunto disabile, la l. numero 104/1992 offre al dipendente la possibilità di annullare la tensione tra i due interessi contrastanti quello dell’Ente ad attuare lo spostamento e quello del dipendente a beneficiare della tutela assistenziale per il congiunto disabile , mediante l’espressione della scelta di una sede preferenziale, atto che va ad inserirsi di pieno diritto nello schema contrattuale tipico del conferimento dell’incarico dirigenziale. Qualora il conferimento d’incarico dirigenziale presupponga lo spostamento di sede, e il dipendente non abbia manifestato la volontà di avvalersi della scelta preferenziale di una sede maggiormente compatibile con le esigenze assistenziali, l’amministrazione non è tenuta a giustificare le ragioni che comportano il cambiamento di sede, non trattandosi di trasferimento in senso tecnico per l’espressa esclusione dell’articolo 2013 cod. civ. da parte dell’articolo 19 del d.lgs La p.a. non è, però, neanche obbligata ad accogliere la richiesta del dirigente, là dove la stessa non si riveli assecondabile, in quanto, l’esigenza di solidarietà arretra di fronte al limite esterno rappresentato dalla specificità del ruolo della dirigenza pubblica, intimamente correlato ai principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, la quale non consente il radicarsi, in capo al dirigente pubblico, di un diritto assoluto all’inamovibilità della posizione. In definitiva, essendo l’unica censura infondata, il ricorso va rigettato. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3500 per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13.