Illegittima la sanzione disciplinare applicata dall’azienda. Decisivo, secondo la Corte di Cassazione, il richiamo alla categoria di appartenenza del lavoratore, inquadrato come manutentore, figura alla quale sono estranei obblighi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo.
Nessuna censura possibile per il lavoratore – inquadrato come manutentore – che rifiuta la “reperibilità”. Illegittima la scelta dell’azienda di irrogargli una sanzione disciplinare Cassazione, ordinanza numero 7410/18, sez. VI Civile - L, depositata oggi . Obbligo. A scatenare il conflitto con la società – proprietaria di una catena di supermercati – è il rifiuto del dipendente alla «prestazione di servizi di reperibilità». Dura la reazione aziendale, che si concretizza in una sanzione disciplinare. Quest’ultima azione viene però censurata dai Giudici, che prima in Tribunale e poi in Appello la ritengono assolutamente «illegittima». Vittoria, quindi, per il lavoratore. Decisiva per i Giudici «la non configurabilità, ai sensi di legge e di contratto collettivo e individuale, a carico del dipendente» di «un obbligo di esecuzione di servizi di reperibilità». Figura. A sancire la sconfitta dell’azienda è la Cassazione. I Giudici del Palazzaccio mettono nero su bianco che è impossibile parlare di «obbligo a carico del lavoratore di esecuzione di compiti, quale quello di reperibilità, palesemente aggiuntivi ed estranei alla prestazione ordinaria dedotta in contratto». Irrilevante poi anche il richiamo a una presunta «prassi aziendale», ritenuta non operativa anche perché «in contrasto con la disciplina collettiva». Per chiudere il cerchio, infine, i magistrati evidenziano «la mancata deduzione, da parte della società, dell’appartenenza del lavoratore, genericamente qualificato come manutentore, alle figure di ‘Capi reparto’ o ‘Assistenti del reparto’, indicate quali destinatarie esclusive del servizio di reperibilità».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 6 febbraio – 26 marzo 2018, numero 7410 Presidente Doronzo – Relatore De Marinis Rilevato che con sentenza del 10 giugno 2016, la Corte d'Appello di Firenze confermava la decisione resa dal Tribunale di Firenze e accoglieva la domanda proposta da Ma. Pi. Ba. nei confronti di Esselunga S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare irrogatagli per aver rifiutato, in quanto asseritamente a questa non tenuto, la prestazione di servizi di reperibilità che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto non configurabile, ai sensi di legge e di contratto collettivo e individuale, a carico del lavoratore un obbligo di esecuzione di tali prestazioni e, dunque, la condotta contestata insuscettibile di assumere rilevanza sul piano disciplinare che per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l'impugnazione a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, l'intimato che la proposta del relatore, ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c, è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata Considerato che, con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli articolo 2086, 2094 e 2104 c.comma 3, 4 e 5 D.Lgs. numero 66/2003 e 41 Cost, lamenta la non conformità a diritto dell'orientamento espresso dalla Corte territoriale secondo cui il datore di lavoro non potrebbe disporre unilateralmente l'impiego del lavoratore in servizi, come quello di reperibilità, non rientranti nella prestazione ordinaria e nel tempo di questa convenuto in contratto che, con il secondo motivo, denunciando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli articolo 224, comma 2, CCNL 18.7.2008 ed all'allegato 1 al CIA 15.6.2005, la Società ricorrente imputa alla Corte territoriale, in considerazione all'assenza di qualsiasi riferimento nella motivazione dell'impugnata sentenza, di aver tralasciato l'analisi della disciplina contrattuale vigente in materia che la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1340 c.comma è dedotta nel terzo motivo in relazione al convincimento maturato dalla Corte territoriale in ordine all'inconfigurabilità di una prassi aziendale di adibizione continuativa dei manutentori ai servizi di reperibilità che tutti i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risultano infondati, dovendosi ribadire, in linea di puro diritto, come, contrariamente all'assunto di cui al primo motivo, non possa farsi discendere dal combinato disposto degli articolo 2086, 2094 e 2104 c.c., un obbligo a carico del lavoratore di esecuzione di compiti, quale quello di reperibilità, palesemente aggiuntivi ed estranei alla prestazione ordinaria dedotta in contratto nonché l'inoperatività di prassi aziendali, dal ricorrente invocate nel terzo motivo, formatesi in contrasto con la disciplina collettiva e rilevare, con riguardo al secondo motivo, che la medesima conclusione cui perviene la Corte territoriale in ordine all'inconfigurabilità di un obbligo di reperibilità in capo al lavoratore anche alla stregua della disciplina collettiva, recata dall'articolo 224 del CCNL di categoria e dal contratto integrativo aziendale del 15.6.2005, all. 1 tra l'altro prodotti per la prima volta in appello, come si legge nell'impugnata sentenza , lungi dal derivare dal denunciato omesso esame di tale disciplina da parte della Corte territoriale, risulta indotta dalla non riferibilità della stessa al lavoratore cui la Corte medesima deve addivenire stante la mancata deduzione da parte della Società dell'appartenenza del lavoratore, qui ancora genericamente qualificato come manutentore del resto in sintonia con la lettura che la Società sembra operare della predetta disciplina, secondo cui l'obbligo in parola investirebbe tutti i manutentori alle figure di Capi reparto DRO o di Assistenti del reparto DRO , indicate nel richiamato All. 1 al CIA 15.6.2005 quali destinatarie esclusive del servizio di reperibilità, non riferibilità di fronte alla quale la Corte stessa non si è arrestata, procedendo nella valutazione delle situazioni di fatto dedotte dalla Società come indicative della sussistenza dell'obbligo e correttamente escludendo tale rilevanza sulla base di argomentazioni, quale quella relativa alla non significatività ai fini in questione della strumentazione in dotazione, che non risultano qui neppure fatte oggetto di censura - che, pertanto condividendosi la proposta del relatore, il ricorso va rigettato che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.