Niente istanza sollecitatoria, ergo niente patema d’animo, ergo niente risarcimento?

In materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del Giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse della parte a coltivare il processo, in quanto, altrimenti, verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta la dichiarazione di estinzione del giudizio successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo.

La Sez. II Civile della Cassazione sentenza n. 63, depositata il 4 gennaio , torna ad occuparsi, con l’inizio del nuovo anno, di un tema invero sempre molto gettonato quello della ragionevole durata del processo meglio quello del risarcimento del danno derivante dalla violazione della ragionevole durata del processo . Il caso. Veniva proposta una domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo. Nello specifico, la domanda aveva come presupposto un processo amministrativo di primo grado dichiarato perento dopo 14 anni dal suo inizio per la precisione ricorso avanti al TAR del 1996, dichiarato perento nel 2010 . Il rigetto della richiesta per mancanza di patema d’animo. La Corte d’appello rigettava la richiesta risarcitoria affermando l’assenza di qualsivoglia patema d'animo, atteso che dopo la pressoché contestuale presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di discussione e di quella di prelievo, i ricorrenti non avevano più svolto alcuna attività processuale, manifestando così il loro disinteresse per la definizione del giudizio, tanto da provocarne la perenzione. Il motivo di ricorso non era necessaria alcuna ulteriore specifica attività sollecitatoria. Secondo i ricorrenti per cassazione, la decisione di rigetto della Corte territoriale era errata perché la previsione di strumenti sollecitatori non sospende, né differisce, il dovere dello Stato di pronunciarsi sulla domanda, né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità del superamento del termine di durata. Gli Ermellini condividono la censura la dichiarazione di perenzione non è decisiva. Infatti, sulla scorta di un principio di diritto invero già in altre occasioni affermato dalla stessa Suprema Corte, in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse della parte a coltivare il processo, in quanto, altrimenti, verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta la dichiarazione di estinzione del giudizio successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo. E se l’istanza di prelievo è stata depositata una sola volta e in epoca risalente? Non cambia nulla. Infatti, precisano gli Ermellini, tale principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui l'istanza di prelievo sia stata presentata una sola volta e in epoca risalente rispetto alla conclusione del giudizio, atteso che nessuna norma e nessun principio processuale impongono la reiterazione dell'istanza di prelievo ad intervalli più o meno regolari.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 ottobre 2017 – 4 gennaio 2018, n. 63 Presidente Petitti – Relatore Manna In fatto Con ricorso in riassunzione del 21.6.2011 gli odierni ricorrenti adivano la Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento d’un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la durata irragionevole di un processo amministrativo introdotto innanzi al TAR Lazio il 23.12.1996 e dichiarato perento con decreto del 19.2.2010. Resistendo il Ministero, la Corte adita con decreto del 19.2.2015 rigettava la domanda per difetto di qualsivoglia patema d’animo, atteso che dopo la pressoché contestuale presentazione delle istanze di fissazione dell’udienza e di prelievo, i ricorrenti non avevano più svolto alcuna attività processuale, manifestando così il loro disinteresse per la definizione del giudizio, tanto da provocarne la perenzione. La cassazione di tale decreto è chiesta dai medesimi ricorrenti sulla base di un motivo. Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Motivi della decisione 1. - L’unico motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 2 e ss. legge n. 89/01 e 6, par. 1, CEDU, nonché il vizio di omessa, insufficiente ed illogica motivazione, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c Sostengono i ricorrenti, richiamando Cass. S.U. n. 28507/05, che la previsione di strumenti sollecitatori non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciarsi sulla domanda, né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità del superamento del termine di durata ragionevole del processo che solo a seguito del D.L. n. 112/08 la presentazione dell’istanza di prelievo è divenuta condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione e che l’istituto della perenzione del giudizio amministrativo non si traduce in un’automatica presunzione di disinteresse per la decisione di merito. 2. - Il motivo è fondato. In materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse delle parte a coltivare il processo, in quanto, altrimenti, verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta - la dichiarazione di estinzione del giudizio - successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo. Tale principio trova applicazione anche nell’ipotesi in cui l’istanza di prelievo sia stata presentata una sola volta e in epoca risalente rispetto alla conclusione del giudizio, atteso che nessuna norma e nessun principio processuale impongono la reiterazione dell’istanza di prelievo ad intervalli più o meno regolari Cass. n. 14386/15 . La Corte di merito si è discostata da tale indirizzo, peraltro già ricavabile dai precedenti di Cass. nn. 28507/05, 6619/10 e 3932/13 , per cui il decreto impugnato va cassato con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d’appello di Perugia, che provvederà ad un rinnovato esame di merito applicando il principio di diritto sopra richiamato, regolando altresì le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che provvederà anche sulle spese di cassazione.