Legittima la contestazione avvenuta un mese dopo. Irrilevante il fatto che gli addebiti mossi alla dipendente siano datati. Legittimo il drastico provvedimento adottato dall’azienda, alla luce del danno economico subito.
Lettera anonima fatale per la lavoratrice. A riceverla è l’amministratore delegato dell’azienda, e nello scritto sono segnalati alcuni comportamenti irregolari. 30 giorni dopo arriva la contestazione ufficiale da parte della società. Tempistica corretta, secondo i Giudici, anche se i fatti risalgono a diverso tempo prima, e non censurabile il provvedimento adottato, cioè il licenziamento della dipendente Cassazione, sentenza numero 28974, sezione lavoro, depositata oggi . Lettera. Vicenda complessa, quella che ha visto come protagonista – in negativo – una «addetta al recupero crediti» di una grossa azienda. Tutto ha origine con una lettera anonima ricevuta dall’amministratore delegato e in cui vengono denunciati presunti «comportamenti illeciti della lavoratrice, consistiti nella indebita concessione di numerosi esoneri dall’obbligo di pagamento fatture, anche in favore di sé stessa». Gli episodi individuati nello scritto sono parecchio datati, ma ciò non può spingere a considerare tardiva la reazione dell’azienda, reazione concretizzatasi in una «lettera di contestazione» nei confronti della dipendente, un mese dopo lo scritto anonimo. Per i Giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, la linea seguita dalla società è assolutamente corretta e non ha minimamente leso il diritto di difesa della lavoratrice. Anche perché, viene osservato, non vi era «alcun obbligo di mantenere sotto controllo l’operato dei propri dipendenti, i ragione delle ampie dimensioni della struttura organizzativa» aziendale. Legittima, secondo i Giudici di merito, anche la sanzione drastica adottata dalla società, alla luce della «entità» e della «gravità» degli «illeciti» addebitati alla lavoratrice. Tempo. Centrale nel ricorso in Cassazione proposto dal legale della dipendente è il «principio della immediatezza della contestazione disciplinare», connesso alla anomalia rappresentata dalla «lettera anonima» ricevuta dalla società. Su questo fronte i giudici del ‘Palazzaccio’ ricordano che «il lasso temporale tra i fatti e la loro contestazione deve decorrere dall’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata». E in questo quadro si inserisce un’ulteriore fondamentale considerazione «nessuna norma di legge vieta che l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro possa essere sollecitato a seguito di scritti anonimi, restando escluso solo che questi possano essere lo strumento di prova dell’illecito». In questa vicenda si è appurato che «i fatti addebitati alla dipendente e consistiti nel compimento di una serie di indebite operazioni di abbuono disposte su fatture alla clientela e anche a sé stessa, con pregiudizio economico per l’azienda erano stati descritti in una lettera anonima pervenuta all’amministratore delegato della società circa un mese prima dell’invio della contestazione disciplinare». Nessun dubbio, quindi, sul fatto che «rilevante» è stato «il momento di acquisizione delle notizie concernenti la condotta illegittima assunta dalla dipendente». E perciò è da considerare tempestiva «la lettera di contestazione disciplinare», arrivata trenta giorni dopo lo scritto anonimo, e comunque «a distanza di tempo dal compimento degli atti contestati». Corrette, quindi, le condotte dell’azienda. E confermato, in via definitiva, il licenziamento della – oramai ex – dipendente.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 luglio – 4 dicembre 2017, numero 28974 Presidente Napoletano – Relatore Lorito Fatti di causa La Corte d'Appello di Napoli con sentenza depositata il 17/11/2014 confermava la pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede con cui era stata rigettata la domanda proposta da Lo. Bo. nei confronti di Telecom Italia s.p.a. volta a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole in data 11/2/2010. Nel pervenire a tali conclusioni il giudice del gravame rimarcava che la lettera di contestazione era da ritenersi tempestiva, in quanto formulata entro un mese dalla denuncia dei comportamenti illeciti ascritti alla dipendente - consistiti nella indebita concessione di numerosi esoneri dall'obbligo di pagamento fatture, anche in favore di se stessa - la cui specifica descrizione era contenuta in una lettera anonima pervenuta alla azienda ciò in considerazione della assenza di alcun obbligo a carico di quest'ultima, di mantenere sotto controllo l'operato dei propri dipendenti in ragione delle ampie dimensioni della propria struttura organizzativa. All'esito dello scrutinio del quadro probatorio delineato in prime cure, rilevava che l'atto di incolpazione aveva rinvenuto positivo riscontro e, considerata la entità e gravità degli illeciti commessi, proporzionata era da ritenersi la sanzione espulsiva irrogata. Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la Bo. affidato a cinque motivi. Resiste la società intimata con controricorso illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c Il Collegio ha autorizzato la stesura di motivazione semplificata ai sensi del decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016. Ragioni della decisione 1.Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 1.300/70 e 24 Cost. in relazione al comma primo articolo 360 numero 3 c.p.c. Si deduce l'erroneità della esegesi delle disposizioni da parte del giudice del gravame, che in presenza di un ampio lasso temporale, avrebbe posto sostanzialmente a carico del lavoratore, l'onere di dimostrare la correttezza dell'operato, in violazione del principio secondo cui l'incolpazione ritardata, siccome pregiudizievole al diritto dell'incolpato di difendersi, si traduce nella illegittimità del conseguente licenziamento . 2. Con il secondo e terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'articolo 2607 c.c. nonché dell'articolo 240 c.p.p. in relazione al comma primo articolo 360 numero 3 c.p.c. Ci si duole del peso probatorio attribuito dalla Corte di merito alla lettera anonima, che non rientrerebbe nell'ambito delle prove documentali dotate di rilievo processuale e che in sede penale, non può essere acquisita né utilizzata, salvo che costituisca corpo del reato o provenga dall'imputato. 3. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 1175 e 1375 c.c., ribadendo che la Corte distrettuale avrebbe posto a carico della parte lavoratrice, l'onere di dimostrare la motivazione dei tabulati a distanza di ben quattro anni dalla verificarsi dei fatti oggetto di contestazione. 4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, risultano modulati sulla precipua nozione di tempestività della contestazione nonché sulla salvaguardia del diritto di difesa del lavoratore incolpato, e connotati dall'ulteriore critica in ordine al non corretto governo delle prove in appello con riferimento all'utilizzo delle lettere anonime. Essi vanno disattesi per quanto di seguito esposto. 5. Deve rimarcarsi, per un corretto inquadramento della questione delibata, che il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l'immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza del licenziamento e della contestazione è dunque coincidente con quella che connette l'onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare vedi Cass. 17/12/2008 numero 29480 . Peraltro, questa Corte ha avuto modo di sottolineare con orientamento privo di contrasti, come il criterio di immediatezza vada inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale, con l'ulteriore specificazione che la relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici ex aliis, vedi, di recente, Cass. 25/1/2016 numero 1248, Cass. 12/1/2016 numero 281 . 6. La definizione del concetto di immediatezza non può prescindere, poi, dal rilievo che il giudizio su di essa postula l'accertamento del tempo in cui il datore di lavoro sia venuto a conoscenza della riprovevole condotta del dipendente, di guisa che, come affermato da questa Corte in numerosi approdi cfr. Cass. 26/11/2007 numero 24584, Cass. 15/10/2007 numero 21546, Cass. 10/1/2008 numero 282 , il lasso temporale tra i fatti e la loro contestazione deve decorrere dall'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi, non potendosi ragionevolmente imputare al datore medesimo, legittimato all'esercizio del potere disciplinare a seguito dell'accertamento dei fatti addebitati al dipendente, la possibilità di conoscere questi fatti in precedenza e di contestarli immediatamente al lavoratore. 7. né sul punto, appare pertinente - come asserito da questa Corte in recenti arresti concernenti fattispecie sovrapponibile a quella qui scrutinata vedi in motivazione, Cass. 13/6/2017 numero 14654 - la denuncia di asserita violazione dell'articolo 240 c.p.p. trattandosi di norma specificamente dettata per il solo procedimento penale cfr. Cass. 14/3/2013 numero 6501 secondo cui in materia disciplinare, poiché gli articolo 240 e 333 c.p.p. riguardano esclusivamente la materia penale, nessuna norma di legge vieta che l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro possa essere sollecitato a seguito di scritti anonimi, restando escluso solo che questi possano essere lo strumento di prova dell'illecito, né un simile divieto può desumersi dal generale principio di correttezza e buona fede che costituisce un metro di valutazione dell'adempimento degli obblighi contrattuali e non anche una autonoma fonte . 8. Dei suddetti principi la Corte distrettuale ha disposto corretta applicazione, avendo argomentato che i fatti addebitati alla dipendente e consistiti nel compimento di una serie di indebite operazioni di abbuono disposte su fatture telefoniche alla clientela ed anche a se stessa, che avevano comportato un pregiudizio economico alla azienda erano stati descritti in una lettera anonima pervenuta all'Amministratore delegato della società circa un mese prima dell'invio della contestazione disciplinare. La Corte ha, quindi, esattamente considerato rilevante ai dedotti fini, il momento di acquisizione delle notizie concernenti la condotta illegittima assunta dalla dipendente, deducendo - con incedere argomentativo del tutto congruo sotto il profilo logico, e corretto, per quanto sinora detto, sul versante giuridico - che l'invio della lettera di contestazione disciplinare dopo in mese dalla ricezione della lettera anonima, pur a distanza di tempo dal compimento degli atti contestati, non poteva ritenersi disposto in violazione del summenzionato principio di immediatezza con la precisazione che neanche era ipotizzabile in capo alla società, alcuna responsabilità per omesso controllo dei propri dipendenti, considerata la imponenza della struttura organizzativa aziendale e l'elevatissimo numero di dipendenti, quali la ricorrente, addetti al sevizio di recupero crediti. Il disposto apprezzamento si palesa logicamente coerente e puntualmente riferito a tutti gli elementi del giudizio oltre che conforme a diritto, onde resiste alle censure all'esame. 9. Con il quinto motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia ex articolo 360 comma primo numero 5 c.p.comma Ci si duole della omessa ponderata valutazione da parte dei giudici del gravame, ai fini della proporzionalità della sanzione inflitta, della mancata irrogazione di qualsivoglia provvedimento disciplinare a proprio carico, elemento decisivo ai fini considerati, tenuto conto altresì della circostanza che i fatti addebitati erano stati commessi in concorso con altri dipendenti ai quali erano state comminate sanzioni conservative. Si richiama il principio per cui quando più dipendenti sono responsabili di un fatto illecito, il datore di lavoro non può irrogare provvedimenti disciplinari di diversa misura per ciascuno di essi, in assenza di adeguata motivazione. Si deduce che nello specifico, detto principio sarebbe rimasto inosservato. 10. La censura presenta profili di inammissibilità giacché nella sostanza contesta l'accertamento in fatto operato dai giudici del merito. Invero la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per le sentenze pubblicate - come nella specie - dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 numero 134 pubblicata sulla G.U. numero 187 dell'11.8.2012 , di conversione del d.l. 22 giugno 2012 numero 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti . Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata ai sensi dell'articolo 54, comma 2, del richiamato d.l. numero 83/2012 cfr. Cass. Cass. 18/12/2014 numero 26860 - come nel caso di specie - con ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado articolo 348 ter ultimo comma c.p.c. . Ossia il vizio di cui all'articolo 360, co. 1, numero 5, c.p.c, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia cd. doppia conforme vedi Cass. 22/12/2016 numero 26774, in motivazione, Cass. 16/11/2016 numero 23358, Cass. 18/8/2016 numero 171669 e Cass.11/12/2014 numero 26097, che ha altresì escluso dubbi di incostituzionalità della norma . Pertanto la decisione della Corte territoriale, che ha fatto proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice della sentenza de qua, ritenute condivisibili, non può essere oggetto del sindacato di questa Corte a mente dell'articolo 360, co. 1, numero 5, c.p.comma 11. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura in dispositivo liquidata. Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'articolo 13 comma 1 quater D.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.