Chi paga la tassa di iscrizione all’Elenco speciale per gli avvocati degli enti pubblici?

Il pagamento della tassa annuale di iscrizione nell’Elenco speciale annesso all’albo degli avvocati, per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo dell’Ente datore di lavoro, rientra tra i costi per lo svolgimento di detta attività, che, in via normale, devono gravare sull’Ente stesso. Quindi, se tale pagamento viene anticipato dall’avvocato-dipendente, deve essere rimborsato dall’Ente medesimo, in base al principio generale applicabile nell’esecuzione del contratto di mandato.

Così si è espressa la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con l’ordinanza n. 25770/16, depositata il 14 dicembre. Il caso. Un avvocato ha chiesto il rimborso di quanto versato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli come tassa per l’iscrizione nell’elenco speciale, annesso all’Albo di appartenenza e riguardante gli avvocati degli enti pubblici, per il periodo in cui era stato dipendente dell’INPS, con inserimento nel ruolo professionale legale. La domanda è stata accolta in primo grado e confermata in sede d’appello, sul presupposto che, in un caso analogo, la Corte di Cassazione aveva escluso che il rimborso delle predette spese fosse compreso nell’indennità di toga, precisando che la spesa sostenuta dal dipendente per l’iscrizione all’Albo professionale rispondeva all’esclusivo interesse del datore di lavoro e non anche all’interesse del lavoratore. La tassa di iscrizione all’elenco speciale rientra nell’indennità di toga? La Suprema Corte ha osservato che la questione dibattuta ha trovato una soluzione definitiva, peraltro recepita anche dalla contrattazione collettiva, dopo che il Consiglio di Stato, con parere reso il 15 marzo 2011, ha affermato che, quando sussista il vincolo di esclusività, l’iscrizione all’Albo è funzionale allo svolgimento di un’attività professionale nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente, e che pertanto la relativa tassa rientra tra i costi per lo svolgimento di detta attività, che dovrebbero, in via normale, al di fuori dei casi in cui è permesso svolgere dette attività lavorative, gravare sull’Ente che beneficia in via esclusiva dei risultati di detta attività. Dunque, il pagamento della quota annuale di iscrizione all’Elenco speciale annesso all’Albo di appartenenza nell’esclusivo interesse del datore di lavoro è rimborsabile al lavoratore, non rientrando né nella disciplina positiva dell’indennità di toga a carattere retributivo, con funzione restitutoria e regime tributario incompatibile con il rimborso spese, né attenendo a spese nell’interesse della persona, quali quelle sostenute per gli studi universitari e per l’acquisizione dell’abilitazione alla professione forense. Il richiamo al contratto di mandato. Altra questione sollevata dall’INPS riguarda la mancanza di una previsione legale circa il rimborso della citata quota di iscrizione. La Suprema Corte in primo luogo ha precisato che in mancanza di una specifica previsione vale il principio generale secondo il quale le spese sostenute dal lavoratore nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere rimborsate al dipendente. Peraltro, ha osservato la Corte, la normativa c’è ed è quella che, nell’esecuzione del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 1719 c.c., stabilisce che il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario da ogni diminuzione patrimoniale che questi abbia subito in conseguenza dell’incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari. Poiché l’attività dei professionisti dipendenti dell’INPS è assimilabile a quella del mandatario, presupponendo il conferimento della procura e considerati il carattere obbligatorio dell’iscrizione nell’elenco speciale e la natura esclusiva dell’esercizio dell’attività professionale in regime di subordinazione, sussiste l’obbligo del datore di lavoro di rimborsare le predette spese.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 8 novembre – 14 dicembre 2016, n. 25770 Presidente Curzio – Relatore Arienzo Fatto e diritto La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 8 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c. La sentenza impugnata respinge l’appello dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Roma di accoglimento della domanda proposta da U.F. al fine di ottenere il rimborso di quanto versato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli come tassa per l’iscrizione nell’elenco speciale, annesso all’Albo di appartenenza e riguardante gli avvocati degli enti pubblici, per il periodo in cui era stato dipendente dell’INPS, con inserimento nel ruolo professionale legale, per un importo pari ad Euro 1839,56. La Corte d’appello di Roma osservava che i richiami al D.P.R. 13 gennaio 1990, n. 43, art. 14, comma 17, erano infondati, come affermato da Cass. 20 febbraio 2007, n. 3928, nella quale, in una fattispecie identica alla presente, era stato escluso che il rimborso in esame fosse compreso nella indennità di toga ed era stato precisato che la spesa sostenuta dal dipendente per iscrizione all’Albo professionale era una spesa che rispondeva all’esclusivo interesse del datore di lavoro e non anche all’interesse del lavoratore. Per la cassazione di tale decisione ricorre l’INPS affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso l’U. . Con il primo motivo viene denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 17, del D.P.R. n. 43 del 13 gennaio 1990 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché manifesta contraddittorietà ed insufficienza della motivazione circa più punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., L’Istituto contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’importo versato dal dipendente per la tassa di iscrizione all’Albo degli Avvocati di appartenenza non sarebbe compreso nella indennità di toga e richiama, sul punto, il parere n. 1/2007 della Sezione di controllo della Corte dei Conti della Regione Sardegna. Si deduce, inoltre, l’omessa considerazione dell’assunto difensivo dell’Istituto in ordine all’assenza di una base legislativa o contrattuale idonea a giustificare il rimborso, secondo quanto stabilito dal citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., con riferimento alla natura negoziale del rapporto e alla rispondenza del versamento delle somme in contestazione all’interesse del lavoratore e non all’esclusivo favore del datore di lavoro, come afferma la Corte d’appello. Si sottolinea che, al momento della stipulazione del contratto di lavoro, il dipendente ha accettato senza riserve la retribuzione propostagli e, d’altra parte, la tassa di iscrizione all’Albo è lo strumento che consente al professionista di esercitare la propria attività in linea generale, potendo senza costi aggiuntivi ottenere l’iscrizione all’Albo ordinario. I motivi vanno trattati congiuntamente per la evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto. Come da ultimo affermato da questa Corte cfr. Cass. 3.4.2015 n. 6877, Cass. 3.4.2015 n. 6878, Cass. 16.4.2015 n. 7776 , la questione dibattuta ha trovato una soluzione definitiva - recepita anche dalla contrattazione collettiva - dopo che il Consiglio di Stato, con parere reso il 15 marzo 2011, ha affermato che, quando sussista il vincolo di esclusività, l’iscrizione all’Albo è funzionale allo svolgimento di un’attività professionale nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente, e che pertanto la relativa tassa rientra tra i costi per lo svolgimento di detta attività, che dovrebbero, in via normale, al di fuori dei casi in cui è permesso svolgere altre attività lavorative, gravare sull’Ente che beneficia in via esclusiva dei risultati di detta attività. Il Consiglio di Stato, per giungere a tale soluzione, ha fatto espresso riferimento all’indirizzo espresso da questa Corte nella sentenza 20 febbraio 2007, n. 3928 - che viene contestata dall’attuale ricorrente ricordando che, in tale sentenza è stato affermato che il pagamento della quota annuale di iscrizione all’Elenco speciale annesso all’Albo degli avvocati per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo del datore di lavoro è rimborsabile dal datore di lavoro, non rientrando né nella disciplina positiva dell’indennità di toga D.P.R. n. 43 del 1990, art. 14, comma 17 a carattere retributivo, con funzione non restitutoria e un regime tributario incompatibile con il rimborso spese, né attenendo a spese nell’interesse della persona, quali quelle sostenute per gli studi universitari e per l’acquisizione dell’abilitazione alla professione forense. D’altra parte, il Consiglio di Stato ha espressamente affermato di non condividere le decisioni prese dalla Corte dei conti in sede di controllo, nelle quali è stato qualificato l’obbligo di corresponsione della tassa per l’iscrizione come strettamente personale, essendo legato all’integrazione del requisito professionale necessario per svolgere il rapporto con l’ente pubblico, mentre a tale giurisprudenza fa espressamente riferimento l’attuale ricorrente. stato anche precisato che nel lavoro del dipendente si riscontra l’assunzione di un’obbligazione, analoga a quella che sussiste nel mandato, a compiere un’attività per conto e nell’interesse altrui, pertanto la soluzione adottata risponde ad un principio generale ravvisabile anche nell’esecuzione del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 1719 c.c., secondo cui il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario da ogni diminuzione patrimoniale che questi abbia subito in conseguenza dell’incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari. Ne consegue - come affermato nei precedenti giurisprudenziali di legittimità richiamati - che, anche tenendo conto di tale evoluzione del quadro giurisprudenziale, la sentenza impugnata va esente da qualsiasi censura, trattandosi di una pronuncia che, con congrua e logica motivazione, muovendo dalla condivisione di quanto affermato da Cass. 20 febbraio 2007, n. 3928, è pervenuta ad affermare la sussistenza del diritto al rimborso in oggetto facendo riferimento alla natura delle spese, finalizzate a realizzare le condizioni necessarie per l’espletamento dell’attività lavorativa. Anche l’argomento relativo alla mancanza di una previsione legale del rimborso è stato ritenuto obiettivamente debole, in quanto, in mancanza di una specifica previsione, vale il principio generale, già enunciato dal primo giudice e ribadito da quello del gravame, secondo cui le spese sostenute dal lavoratore nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere rimborsate al dipendente. Peraltro, nella specie, come già affermato nei precedenti, la normativa c’è ed è quella che, nell’esecuzione del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 1719 c.c., stabilisce che il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario da ogni diminuzione patrimoniale che questi abbia subito in conseguenza dell’incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari l’attività dei professionisti dipendenti dall’Istituto è assimilabile a quella del mandatario, presupponendo il conferimento della procura, e comunque il carattere obbligatorio dell’iscrizione nell’elenco speciale e il carattere esclusivo dell’esercizio dell’attività professionale in regime di subordinazione non possono che comportare l’obbligo del datore di lavoro di rimborsare le spese di cui si tratta, sostenute dal dipendente per esercitare la professione nell’esclusivo interesse datoriale. Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, con richiamo all’enunciato principio di diritto secondo il quale Il pagamento della tassa annuale di iscrizione all’Elenco speciale annesso all’Albo degli avvocati, per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo dell’i ante datore di lavoro, rientra tra i costi per lo svolgimento di detta attività, che, in via normale, devono gravare sull’Ente stesso. Quindi, se tale pagamento viene anticipato dall’avvocato-dipendente deve essere rimborsato dall’Ente medesimo, in base al principio generale applicabile anche nell’esecuzione del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 1719 c.c., secondo cui il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario da ogni diminuzione patrimoniale che questi abbia subito in conseguenza dell’incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari . Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Osserva il Collegio che il contenuto della sopra riportata relazione sia pienamente condivisibile siccome coerente alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ciò comporta la reiezione del ricorso dell’INPS. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo. Attesa la proposizione del ricorso in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, vigente l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, deve rilevarsi, in ragione del rigetto dell’impugnazione, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’indicata normativa, posto a carico delle ricorrenti in solido cfr. Cass. Sez. Un. n. 22035/2014 . P.Q.M. l,a Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R