La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di natura contrattuale…

La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art. 1374 c.c., dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

Così deciso dalla Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza n. 21882, pubblicata il 28 ottobre 2016. Il caso domanda di risarcimento danni da infortunio subito da un lavoratore in occasione di lavoro. Un dipendente di Trenitalia ricorreva al Tribunale del lavoro al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico e morale subito in conseguenza di infortunio sul lavoro. Il Tribunale accoglieva la domanda. Proposto appello da parte della società datrice di lavoro, la corte territoriale pronunciava sentenza non definitiva, con cui confermava la decisione del primo giudice. Avverso tale decisione Trenitalia proponeva un primo ricorso in Cassazione. La Corte d’Appello definiva il giudizio, pronunciando sentenza definitiva, con cui rideterminava la somma dovuta a titolo di risarcimento, detraendo dall’importo già riconosciuto quanto percepito dall’INAIL a titolo di indennità da inabilità assoluta. Anche avverso quest’ultima decisione Trenitalia proponeva ricorso per cassazione. La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c Un primo motivo di censura riguarda la ritenuta erronea applicazione dei principi in ambito di ripartizione dell’onere probatorio. Lamenta la società ricorrente che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente la responsabilità in capo al datore di lavoro, senza specificare se l’azione proposta dal lavoratore fosse fondata su responsabilità contrattuale o extracontrattuale. E a tal proposito, la ricorrente afferma che si verta in ambito di responsabilità aquiliana, con tutte le conseguenze derivanti in ambito probatorio. Non avendo il danneggiato fornito prova del danno subito, la domanda doveva essere respinta. La Suprema Corte riafferma i principi più volte dettati con riguardo alla responsabilità ex art. 2087 c.c. a carico del datore di lavoro. Innanzitutto questa non costituisce ipotesi di responsabilità oggettiva. Il lavoratore che affermi di aver subito un danno alla salute per cause riconducibili al rapporto di lavoro ha l’onere di fornire la prova della sussistenza del danno, della nocività dell’ambiente lavorativo ed il nesso causale tra questi due elementi. A sua volta il datore di lavoro dovrà fornire la prova di avere adottato tutte le cautele necessarie a far sì che il danno potesse essere evitato, restando gravato da responsabilità anche in caso di concorso colposo del lavoratore. Con la sola eccezione che la condotta del lavoratore sia stata talmente imprevedibile ed abnorme da costituire l’unica causa dell’evento dannoso. La norma generale codicistica integra il contratto individuale di lavoro. Il contenuto del contratto individuale di lavoro viene integrato dalla norma generale di cui all’art. 2087, che inserisce l’obbligo di salvaguardia del lavoratore nel sinallagma contrattuale. Così interpretando, deriva che il regime probatorio della domanda di risarcimento danno da infortunio viene ad essere regolamentato negli stessi termini previsti dall’art. 1218 c.c. in materia di inadempimento delle obbligazioni. Dunque, proseguono gli ermellini, il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro dovrà provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro dovrà provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno. La Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra richiamati, avendo accertato la sussistenza del danno subito e la riferibilità all’occasione di lavoro. Riesame dei fatti inammissibile in sede di legittimità. Con altro motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’omesso riferimento da parte della corte d’appello a circostanze e contraddizioni emerse nel corso dei precedenti giudizi che avrebbero portato al rigetto della domanda risarcitoria con violazione dei principi di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c Il Supremo Collegio afferma che la violazione delle norme procedurali richiamate deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza impugnata, non dal riesame degli atti di causa, attività inammissibile in sede di legittimità. La censura proposta si risolve in una inammissibile rilettura del quadro probatorio emerso nelle fasi di merito in un riesame dei fatti di causa non consentita in sede di legittimità. Il ricorso proposto è stato dunque ritenuto nel suo complesso infondato e inammissibile e conseguentemente rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 giugno – 28 ottobre 2016, numero 21882 Presidente Venuti – Relatore Lorito Svolgimento del processo Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da P.A. nei confronti di Trenitalia s.p.a. intesa a conseguire il risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale risentito per effetto dell’infortunio sul lavoro occorsogli presso la stazione di , in data , allorquando, nell’attraversare i binari sulla passerella, era caduto riportando una distorsione al ginocchio, e condannava la società al pagamento della somma di Euro 19.912,54. Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte d’Appello capitolina con sentenza non definitiva numero 5331 del 2008. A fondamento del decisum la Corte distrettuale osservava che non vi era contraddizione fra la dichiarazione di infortunio e la lettera di messa in mora inviata al datore di lavoro, giacché il ricorrente aveva sempre fatto riferimento all’attraversamento dei binari sulla passerella, nel corso della quale era caduto. Riteneva quindi, che il ricorrente avesse dedotto in giudizio sia la responsabilità contrattuale che quella extracontrattuale, e che in ogni caso gravasse sulla società l’onere di dimostrare che i beni aziendali fossero in buono stato di manutenzione. La cassazione di tale sentenza era domandata da Trenitalia s.p.a. con tre motivi, resistiti con controricorso dall’intimato. La Corte territoriale emetteva successiva sentenza non definitiva di cui al numero 1934 del 2009 con cui dichiarava il diritto del P. al riconoscimento della differenza fra l’importo liquidato a titolo risarcitorio secondo i criteri civilistici e quello liquidato dall’Inail. Con sentenza definitiva numero 6620 del 2009, depositata in data 29/4/2011, la Corte distrettuale, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava Trenitalia s.p.a. al pagamento in favore del P. , della minor somma di Euro 12.339,21 detraendo dall’importo già riconosciuto in favore del lavoratore, la somma corrisposta dall’Inail a titolo di indennità di inabilità assoluta pari ad Euro 7.573,21. Trenitalia s.p.a. con atto notificato il 28/10/2011 ha interposto ricorso per cassazione avverso tale decisione, nonché avverso la seconda sentenza non definitiva, condizionati all’accoglimento del ricorso avverso la prima sentenza non definitiva, e, quindi, all’accertamento dell’assenza di responsabilità della società in ordine al verificarsi dell’evento dannoso. La società ha altresì depositato memoria illustrativa ai sensi dell’articolo 378 c.p.c Ha resistito con controricorso l’intimato. Motivi della decisione Deve premettersi che i ricorsi per cassazione proposti contro sentenze che, integrandosi reciprocamente, definiscono un unico giudizio come, nella specie, la sentenza non definitiva e quella definitiva vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a quello - previsto dall’articolo 335 cod. proc. civ. - della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza vedi Cass. 1/4/2004 numero 6391, Cass.10/7/2001 numero 9377 . In conformità ai suddetti principi, va pertanto disposta la riunione fra le cause di cui ai nnumero r.g. 2438/2011 e 26110/2011. Ciò premesso, con il primo motivo del ricorso di cui alla causa numero 2438/2011, proposto avverso la sentenza non definitiva della Corte d’Appello di Roma numero 5331/2008, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli articolo 2043 e 2087 c.c., dell’articolo 10 d.p.r. 1124 del 1065 e dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360 numero 5 c.p.c Critica la sentenza impugnata giacché, con motivazione apodittica e oscura, dapprima afferma che il lavoratore aveva azionato in giudizio sia la responsabilità contrattuale che quella extracontrattuale, e successivamente deduce che la responsabilità in ordine all’infortunio occorso sussiste, senza specificare a quale di esse faccia riferimento. Deduce altresì che la Corte distrettuale ha errato nel non ritenere di natura extracontrattuale la responsabilità invocata dal dipendente, con tutti gli effetti che ne derivano in tema di ripartizione degli oneri probatori, richiamando al riguardo le linee tracciate dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la domanda volta al conseguimento del risarcimento del danno differenziale va inquadrata nell’ambito della responsabilità aquiliana. Con la seconda censura si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 c.c. e 116 c.p.c Si ribadisce la carenza che contraddistingue la motivazione della sentenza impugnata, laddove omette ogni riferimento alle risultanze emerse in corso di causa ed alle eccezioni formulate dalla società nel propri atto di gravame. Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 c.c. e 116 c.p.c Si stigmatizza l’impugnata sentenza per la sostanziale mancata valutazione delle risultanze processuali, rimarcandosi che già il ricorso introduttivo del giudizio recava una serie di affermazioni contraddittorie e comunque infondate, che non avrebbero potuto consentire l’accoglimento della pretesa azionata, giacché non si era fatto alcun riferimento ad una buca nella ricostruzione dell’infortunio resa in sede di procedimento espletato dinanzi all’Inail, né nella denuncia di infortunio, bensì esclusivamente ad un inciampo nel corso dell’attraversamento del binario. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi, vanno disattesi. La sentenza non definitiva oggetto di impugnazione, si palesa, invero, conforme a diritto, in quanto coerente nei suoi approdi con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ex articolo 2087 cod. civ. - la quale non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva - al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente non potendo il datore medesimo essere totalmente esonerato da responsabilità in forza dell’eventuale concorso di colpa del lavoratore, se non quando la condotta di quest’ultimo, in quanto del tutto imprevedibile, rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell’evento vedi ex plurimis, Cass.13/8/2008 numero 21590, Cass.17/2/2009 numero 3786, Cass. 4/2/2016 numero 2209 . Tanto sul presupposto che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell’articolo 1374 cod. civ., dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’articolo 1218 cod. civ. circa l’inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno. vedi Cass. cit. numero 21590/2008, Cass. 26/6/2009 numero 15078 . In coerenza con i suesposti principi la Corte territoriale ha infatti, affermato, con sia pur sintetico incedere argomentativo, che l’infortunio si era verificato nel corso dell’attraversamento dei binari e, specificamente, durante il passaggio su di una passerella come desumibile dalla denuncia del lavoratore e dalla certificazione medica in atti , il cui obbligo di corretta manutenzione gravava a carico della parte datoriale. In tal senso ha reso una pronuncia corretta sul versante giuridico, avendo disposto buon governo della ripartizione degli oneri probatori relativi alla materia trattata, uniformandosi altresì al principio enunciato da questa Corte secondo cui ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio, ai sensi dell’articolo 2 del d.P.R. numero 1124 del 1965, è sufficiente che esso sia avvenuto in una occasione di lavoro, non occorrendo la derivazione da una causa di lavoro, sicché rilevano tutte le condizioni, anche ambientali e socio-economiche, in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che il rischio provenga dall’apparato produttivo, da terzi o da fatti propri del lavoratore, col solo limite, in quest’ultimo caso, del rischio elettivo, derivante da una scelta volontaria del lavoratore stesso, diretta a soddisfare esigenze personali. cfr. ex aliis, Cass. 23/07/2012 numero 12779 . La decisione si palesa poi, immune dalle censure sollevate con il secondo e terzo motivo di ricorso. Va infatti rimarcato che in tema di valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli articolo 115 e 116, cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità cfr. Cass. 15/1/14 numero 687 . L’articolo 116 c.p.c., comma 1, consacra il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento - salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale - è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali e tale apprezzamento è insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici. Nello specifico, non può sottacersi che il ricorso in esame sollecita, nella contestuale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, un riesame dei fatti, inammissibile nella presente sede, giacché tende a proporre una rinnovata definizione del quadro probatorio delineato in prime cure, del quale si rilevano elementi di dissonanza e che si deducono non evidenziati dal giudice dell’impugnazione. Il motivo di ricorso ex articolo 360, co. 1, numero 5, c.p.c. non conferisce, infatti, alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. In ogni caso, per considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame al fine di confutarle o condividerle tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse fra le tante, vedi Cass. 4/4/2014 numero 8008 . Orbene, nello specifico, la ricorrente si è limitata ad esporre un’interpretazione del quadro istruttorio a sé favorevole al solo fine di indurre il convincimento del giudice di legittimità che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato la reiezione della avversa domanda, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’articolo 360, co. 1, numero 5, c.p.c Discende da tanto che detti motivi, presentando evidenti profili di inammissibilità, vanno disattesi. Da quanto sinora detto, discende altresì la reiezione del ricorso di cui al numero r.g. 26110/2011, con cui la società ha impugnato la sentenza definitiva della Corte d’Appello di Roma numero 6620/09, essendo tale ricorso condizionato all’accoglimento del precedente ricorso. Il governo delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità segue, infine, il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata. P.Q.M. La Corte riunisce al presente giudizio numero 2438/2011 quello recante il numero 26110/2011. Rigetta entrambi i ricorsi proposti da Trenitalia s.p.a. e condanna tale società al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed di legge.