Diritto all’inquadramento in caso di trasferimento da Poste Italiane ad altra Amministrazione

Nell’ipotesi di trasferimento dei lavoratori dipendenti dell’Ente Poste Italiane ad altri Enti o Amministrazioni pubbliche, è da escludere che, in assenza di un fondamento normativo attributivo del relativo potere, la Presidenza del Consiglio dei Ministri possa operare autoritativamente nell’ambito della concreta disciplina del rapporto stesso con d.P.C.M., atto amministrativo. Pertanto, laddove con d.P.C.M. sia stato disposto l’inquadramento nell’ente di destinazione, il successivo contratto non può configurarsi come un atto di rinuncia e transazione, né la sua sottoscrizione può comportare l’accettazione di un’erronea collocazione professionale, stante il diritto dei lavoratori ad essere assunti in un inquadramento equivalente a quello di provenienza.

L’inquadramento del dipendente deve dunque essere effettuato sulla base della posizione già posseduta e va individuato in quello maggiormente corrispondente all’inquadramento in essere presso l’ente di provenienza. Così ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza numero 19777, pubblicata il 4 ottobre 2016. La vicenda. Diritto all’inquadramento degli ex dipendenti Poste Italiane comandati presso altra Amministrazione pubblica e successivamente trasferiti ad ulteriore Amministrazione pubblica. Tre ex dipendenti dell’Ente Poste Italiane venivano comandati presso altra Amministrazione pubblica e successivamente trasferiti ad una ulteriore, con inquadramento nelle rispettive qualifiche di provenienza. Il Tribunale adito accoglieva le domande proposte. Contrariamente la Corte d’appello rigettava dette domande, escludendo che le Amministrazioni di destinazione dovessero fare riferimento a differenti fasce lavorative, essendo tenute soltanto ad operare la pedissequa corrispondenza tra gli inquadramenti di provenienza e di destinazione. Precisava altresì che, in ogni caso, gli interessati non avessero dimostrato di non aver accettato tale inquadramento, né avessero svolto mansioni non corrispondenti alla qualifica accettata. Veniva quindi proposto ricorso in Cassazione. L’impianto normativo. I ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 10, l. numero 449/1997 e dell’art. 4 d.l. numero 163/1995, nonché dei d.P.C.M. del 4 dicembre 2000 e 2 ottobre 2001. Denunciano inoltre omessa, contraddittoria, illogica e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Gli Ermellini hanno accolto entrambe le doglianze, dandone motivazione attraverso il loro esame congiunto. Erra infatti la Corte territoriale nel fondare la propria decisione sulla disciplina concernente il procedimento di mobilità collettiva del personale in esubero. La vicenda oggetto del giudizio verte circa un’ipotesi peculiare per cui, con una normativa specifica ed eccezionale, le norme sulla mobilità nel lavoro pubblico sono state estese al passaggio diretto di dipendenti privati – quali Poste Italiane S.p.a. - che si trovavano in una posizione di comando al 30 settembre 1998 presso Amministrazioni pubbliche, affinché fossero inquadrati nei ruoli degli Enti di destinazione maggiormente corrispondenti, nell’ambito della disciplina dell’ente ad quem , all’inquadramento in essere presso l’ente di provenienza. Il potere della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Alla luce di tale impianto normativo, è pertanto da escludersi che in punto possa operare la Presidenza del Consiglio dei Ministri con d.P.C.M. tali provvedimenti sono infatti atti di natura amministrativa, in quanto esterni al rapporto di lavoro, e non possono dunque assolvere la funzione di determinare la concreta disciplina del rapporto di lavoro. Pertanto, compete all’Ente di destinazione l’esatto inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti. Il consenso. La Corte d’appello adita è altresì incorsa in errore ritenendo che l’assenso dei dipendenti al passaggio nell’Amministrazione di destinazione comportasse consequenzialmente il preventivo consenso all’inquadramento attribuito. Infatti, a fronte di un inquadramento disposto con atto di natura amministrativa, qual è il d.P.C.M., il contratto individuale sottoscritto non poteva configurarsi come un atto di rinuncia e transazione, né, dunque, comportare l’accettazione di una collocazione professionale errata, dato il diritto dei lavoratori all’assunzione in un inquadramento equivalente a quello di provenienza e l’obbligo della Amministrazioni di destinazione di procedere all’assunzione nelle corrispondenti qualifiche da un punto di vista sostanziale e non di pedissequa corrispondenza di inquadramenti di provenienza e destinazione. Di conseguenza, la Corte ha accolto il ricorso proposto, cassando la sentenza con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 giugno – 4 ottobre 2016, n. 19777 Presidente Napoletano – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata depositata il 22 novembre 2010 , in accoglimento dell’appello del Ministero dell’Economia e delle Finanze d’ora in poi MEF avverso la sentenza del Tribunale di Bologna del 10 maggio 2006, rigetta le domande proposte, con un unico ricorso, da S.B. , M.M. e L.A.M. - tutti ex dipendenti dell’Ente Poste Italiane poi comandati presso altra Amministrazione pubblica e poi trasferiti ad una ulteriore Amministrazione pubblica - ad al fine di ottenere l’accertamento a i primi due del rispettivo diritto all’inquadramento, invece che nella posizione economica Bl, in quella B2 - sempre dell’area B - del CCNL Comparto Ministeri a decorrere dalla data del trasferimento dal Dipartimento provinciale del Tesoro di Bologna al MEF lo S. ’ e dalla Commissione Medica di verifica di [] del MEF al MEF il M. b la L. del proprio diritto all’inquadramento, invece che nella posizione economica B2, in quella B3 - sempre dell’area B nel medesimo CCNL - a decorrere dalla data del trasferimento dalla Avvocatura distrettuale di Bologna alla Avvocatura generale dello Stato. La Corte d’appello di Bologna, per quel che qui interessa, precisa che a l’atto di assegnazione dei dipendenti iscritti negli elenchi del personale in disponibilità, di cui all’art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, rientra tra gli atti di gestione del rapporto, previsti dall’art. 5 del medesimo d.lgs. n. 165 e non implica l’esercizio di alcun potere pubblico né di discrezionalità amministrativa, atteso che l’Amministrazione preposta all’individuazione del dipendente da ricollocare deve soltanto verificare la congruenza tra il profilo professionale richiesto dall’Amministrazione che intende coprire il posto vacante mediante concorso pubblico e quello dei dipendenti iscritti negli elenchi del personale in disponibilità, a partire da quello con maggiore anzianità di iscrizione vedi Cass. SU 13 marzo 2009, n. 6062 b nella specie, i lavoratori sono stati inquadrati nelle rispettive qualifiche di provenienza ed hanno ricevuto l’attribuzione del corrispondente profilo in base alla previsione contrattuale ratione temporis applicata dalle Poste c è da escludere che le Amministrazioni di destinazione dovessero fare riferimento a differenti fasce lavorative, essendo esse tenute soltanto ad operare la pedissequa corrispondenza tra gli inquadramenti di provenienza e quelli di destinazione d né gli interessati hanno dimostrato che non risponde al vero la loro pedissequa accettazione, prima del distacco e dopo, dell’assegnazione definitiva attribuita loro, né hanno sostenuto di avere svolto mansioni no corrispondenti alla qualifica di assegnazione e in mancanza di tali prove valgono gli accordi intervenuti tra le parti e, quindi, la corretta applicazione dei relativi effetti. 2.- Il ricorso di S.B. , M.M. e L.A.M. domanda la cassazione della sentenza per due motivi resistono, con un unico controricorso, l’Avvocatura generale dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato. Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso . 1.- Il ricorso è articolato in due motivi. 1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 10, della legge n. 449 del 1997, dell’art. 4 del decreto-legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1995, n. 273 nonché dei DPCM del 4 dicembre 2000 e del 2 ottobre 2001. Si rileva che la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sulla disposizione di cui all’art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che disciplina la mobilità del personale in esubero, ipotesi che non ricorre nel caso in esame, mentre non ha preso in considerazione l’art. 53, comma 10, della legge n. 449 del 1997, che è la norma che regola la presente fattispecie, unitamente alle altre norme ad esso collegate. Da tutto l’indicato complesso normativo si desume che in tutte le procedure di trasferimento, volontario o concordato, dei dipendenti pubblici da una Amministrazione ad un’altra non si può mai prescindere da una equiparazione sostanziale dei profili professionali dell’ente di provenienza con quelli dell’ente di destinazione. E, sulla base di tale raffrontò, non si può non pervenire al risultato che per il titolo di studio posseduto e per le mansioni svolte, su cui non vi è mai stata contestazione, allo S. e al M. andava riconosciuta la posizione economica 82, mentre alla L. era da riconoscere la posizione economica B3, come correttamente affermato dal Giudice di primo grado. 1.2.- Con il secondo motivo si denunciano a in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 163 del 1995 cit. b in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa, contraddittoria, illogica e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Si sottolinea che, sempre facendo riferimento all’ipotesi disciplinata dall’art. 34-bis cit., la Corte territoriale ha qualificato atto di gestione l’atto di assegnazione dei dipendenti iscritti negli elenchi del personale In disponibilità, mentre nella specie vengono in considerazione i suindicati DPCM, emanati sulla base dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 163 del 1995 cit., che sono da come veri e propri atto amministrativi, emesso da una autorità esterna al rapporto di lavoro. Ciò è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte dl cassazione nella sentenza n. 503 del 2011, ove - proprio con riferimento al trasferimento dei lavoratori dipendenti dell’Ente Poste Italiane ad altri Enti o Amministrazioni pubbliche - è stato escluso che sull’esatto inquadramento e sulla concreta disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti possa operare autoritativamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri, precisandosi che tali questioni sono di competenza dell’ente di destinazione e che il giudice del merito è tenuto a verificare la correttezza dell’inquadramento spettante al lavoratore, sulla base dell’individuazione - nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nell’Amministrazione di destinazione - della qualifica maggiormente corrispondente a quelle di inquadramento prima del trasferimento. II - Esame delle censure. 3.- L’esame congiunto dei due motivi di ricorso - reso opportuno dalla loro intima connessione - porta al loro accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. 4.- Come affermato dai ricorrenti, la sentenza attualmente impugnata risulta fondata sull’erroneo presupposto dell’applicabilità nella specie dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che - oltre ad essere in vigore soltanto dal 2 aprile 2005 - disciplina, unitamente con i precedenti artt. 33 e 34, il procedimento di mobilità collettiva del personale in esubero con una normativa che, diversamente da quella propria della fattispecie di cui si tratta nel presente giudizio, riecheggia quella della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24, in tema di collocamento in disponibilità e licenziamenti collettivi, come affermato da questa Corte, a partire da Cass. SU 13 marzo 2009, n. 6062 . Si tratta, con tutta evidenza, di una fattispecie differente da quella che viene in esame nel presente giudizio che - come afferma anche l’Avvocatura dello Stato controricorrente - è una ipotesi particolare in cui, con una normativa specifica ed eccezionale, sono state estese al passaggio diretto di dipendenti privati di Poste Italiane s.p.a. che si trovavano in posizione di comando al 30 settembre 1998 presso Amministrazioni pubbliche le norme sulla mobilità nel lavoro pubblico, onde consentirne l’inquadramento nei ruoli dell’Amministrazione pubblica di destinazione. Per effetto di questo errore di fondo la Corte bolognese ha incentrato la propria decisione principalmente sul riferimento alla menzionata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 6062 del 2009 - che ha esaminato una fattispècie in cui veniva propriamente in considerazione l’applicazione dell’art. 34-bis citato - e così si è trovata visto che non lo mai neppure richiamato a configurare in modo del tutto originale - e completamente diverso da come lo ha da sempre qualificato la consolidata giurisprudenza di questa Corte - il DPCM con il quale, nella specie, è stato disciplinato il trasferimento in oggetto e sono stati attribuiti gli inquadramenti contestati, come è pacifico e viene qui ribadito a p. 5 del controricorso. 5.- Questo significa che la Corte territoriale non ha tenuto conto della normativa dettata per disciplinare la peculiare situazione di cui si tratta nel presente giudizio - a partire dall’art. 53, comma 10, della legge n. 449 del 1997 e dall’art. 4 del d.l. n. 163 del 1995, convertito dalla legge n. 273 del 1995 - e che, quindi, ha ignorato l’ormai consolidato, orientamento di questa Corte manifestatosi a partire dalla sentenza 12 gennaio 2011, n. 503 delle Sezioni Unite, secondo cui a il suddetto art. 53, comma 10, della legge n. 449 del 1997, nel prevedere l’applicabilità delle disposizioni sulla mobilità volontaria o concordata tra Pubbliche Amministrazioni alla particolare ipotesi del personale dell’Ente Poste italiane ente pubblico economico, in quanto tale equiparato ai datori di lavoro privati, poi divenuto Poste Italiane s.p.a. in posizione di comando o fuori ruolo presso Pubbliche Amministrazioni, ha inteso valorizzare ai fini in esame la precedente posizione di dipendenti da una Pubblica Amministrazione dei lavoratori postali in questione, configurando una sorta di transitoria ultrattività di tale posizione vedi anche Cass. SU 10 novembre 2010, n. 22800 b è da escludere che su tali questioni possa operare autoritativamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri con DPCM, atto avente natura amministrativa in quanto proveniente da una autorità esterna al rapporto di lavoro che non può assolvere la funzione di determinare la concreta disciplina del rapporto di lavoro mancando un fondamento normativo all’esercizio di tale potere , avendo invece l’unico scopo di dare attuazione alla disciplina di cui al d.l. n. 163 del 1995, art. 4 che ha attributo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il solo compito di operare il trasferimento c pertanto, è anche da escludere ogni automatismo in materia, sia con riferimento al DPCM di inquadramento, non avendo l’equiparazione ivi contenuta efficacia vincolante - visto che il suddetto atto amministrativo non assolve alla funzione di determinare la disciplina del rapporto di lavoro, ma solamente a quella di dare attuazione alla mobilità volontaria tra Pubbliche Amministrazioni - sia con riferimento alla trasposizione orizzontale nelle posizioni economiche del CCNL comparto Ministeri ex qualifiche funzionali Xd in sintesi, con riferimento al trasferimento del lavoratore dipendente dell’Ente Poste Italiane, effettuato ai sensi del citato art. 4, comma 2, del d.l. n. 163 del 1995 cit., verificandosi solo un fenomeno di modificazione soggettiva del rapporto medesimo assimilabile alla cessione del contratto, compete all’Ente di destinazione l’esatto inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti e il giudice del merito è chiamato ad effettuare la verifica sulla correttezza dell’inquadramento spettante al lavoratore, in base all’individuazione, nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nell’Amministrazione di destinazione, della qualifica maggiormente corrispondente a quella di inquadramento prima del trasferimento. 6.- Il suddetto complessivo indirizzo è stato unanimemente seguito dalla successiva giurisprudenza ed è quindi assurto al rango di diritto vi/ente vedi, fra le tante Cass. 18 maggio 2011, n. 10933 Cass. 20 maggio 2011, n. 11189 Cass. 10 luglio 2013, n. 17117 Cass. 7 agosto 2014, n. 17764 Cass. 27 agosto 2014, n. 18416 Cass. 4 giugno 2015, n. 11556 . 7.- Sempre per effetto del medesimo errore, la Corte bolognese ha altresì ritenuto che l’assenso dei ricorrenti, al passaggio nella Amministrazione di destinazione, comportasse anche un incondizionato e preventivo consenso all’inquadramento poi attribuito, mentre questa conclusione è antitetica rispetto ai suddetti principi - che sono un’applicazione dei principi generali che regolano il diritto del lavoro - perché è evidente che, a fronte di un inquadramento disposto, senza base normativa, con un atto autoritativo del Presidente del Consiglio dei Ministri, il successivo contratto individuale non poteva certamente configurarsi, in assenza di specifiche allegazioni e prove da parte dell’Amministrazione, come un atto di rinuncia e transazione - che solo avrebbe potuto avere rilievo ex art. 2113 cod. civ. - e quindi la sua sottoscrizione non poteva, di per sé, comportare l’accettazione di un’erronea collocazione professionale, stante il diritto dei lavoratori ad essere assunti in un inquadramento equivalente a quello di provenienza e l’obbligo delle Amministrazioni di destinazione risultante anche dal contratto individuale - di procedere all’assunzione nelle corrispondenti qualifiche. Nessuno specifico accordo risulta essere intercorso tra le parti al suddetto riguardo, per cui non poteva affatto ritenersi che i lavoratori avessero prestato acquiescenza all’inquadramento disposto dalla Pubblica amministrazione, visto che non risulta essere emersa nessuna manifestazione esplicita o implicita in tali sensi vedi, per tutte Cass. SU n. 503 del 2011 cit. nonché Cass. SU 24 ottobre 2007, n. 22268 . III – Conclusioni. 8.- Il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche ai seguenti 1 il trasferimento a domanda del lavoratore già dipendente dell’Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni poi trasformata in ente pubblico economico e poi in S.p.A. ad una diversa Amministrazione, presso la quale il medesimo prestava attività in posizione di fuori ruolo o di comando al momento della trasformazione, determina la continuazione del rapporto di lavoro con l’Amministrazione di destinazione, verificandosi un fenomeno di mera modificazione soggettiva nel lato datoriale del rapporto medesimo. Pertanto, l’inquadramento del dipendente deve essere effettuato sulla base della posizione già posseduta nella precedente fase del rapporto e va individuato in quello maggiormente corrispondente, nell’ambito della disciplina legale e contrattuale applicabile nell’ente ad quem , all’inquadramento in essere presso l’ente di provenienza 2 nell’anzidetta situazione compete all’ente di destinazione l’esatto inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti, senza che su tali profili possa operare autoritativamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri con propri decreti. Ne consegue che le equiparazioni della qualifiche funzionali dell’Ente Poste Italiane alle posizioni economiche previste nel CCNL da applicare, contenute in DPCM, non hanno efficacia vincolante. Pertanto, si deve ritenere giuridicamente giustificata la verifica compiuta dal giudice del merito sulla correttezza dell’inquadramento spettante in concreto al lavoratore, all’esito della relativa individuazione, effettuata in base al suddetto metodo 3 nell’ipotesi di trasferimento dei lavoratori dipendenti dell’Ente Poste Italiane ente pubblico economico, in quanto tale equiparato ai datori di lavoro privati, poi divenuto Poste Italiane s.p.a. ad altri Enti o Amministrazioni pubbliche, è da escludere che, in assenza di un fondamento normativo attributivo del relativo potere, la Presidenza del Consiglio dei Ministri autorità esterna al rapporto di lavoro - possa operare autoritativamente nell’ambito della concreta disciplina del rapporto stesso con DPCM, atti aventi natura amministrativa il cui unico scopo nella specie è quello di dare attuazione alla disciplina di cui all’art. 4 del d.l. n. 163 del 1995, convertito dalla legge n. 273 del 1995, il quale ha attributo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il solo compito di operare il trasferimento in oggetto. Pertanto, laddove con DPCM sia stato, di autorità, disposto l’inquadramento nell’ente ad quem , il successivo contratto individuale non può certamente configurarsi, in assenza di specifiche allegazioni e prove da parte dell’Amministrazione, come un atto di rinuncia e transazione - che soltanto potrebbe avere rilievo ex art. 2113 cod. civ. - e quindi la sua sottoscrizione non può, di per sé, comportare l’accettazione di un’erronea collocazione professionale, stante il suddetto diritto dei lavoratori ad essere assunti in un inquadramento equivalente a quello di provenienza e l’obbligo delle Amministrazioni di destinazione - risultante anche dal contratto individuale - di procedere all’assunzione nelle corrispondenti qualifiche . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.