No alla contestazione all’esercizio continuativo della professione senza esercizio della facoltà di revisione

In relazione alla domanda di pensione di vecchiaia presentata da avvocato iscritto all’albo, la sussistenza del requisito della continuità nell’esercizio della professione non può essere contestata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense per i periodi anteriori al quinquennio precedente la suddetta domanda, quando non sia stata esercitata la facoltà di revisione prevista dall’art. 3 l. n. 319/1975, come modificato dall’art. 22 l. n. 576/1980, e l’interessato abbia adempiuto gli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23 della medesima legge.

È quanto ribadito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23847/15, depositata il 23 novembre. Il caso. Il Tribunale aveva condannato la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense a pagare ad un avvocato i ratei di pensione di vecchiaia, sul presupposto della continuità di esercizio dell’attività professionale per oltre trent’anni. Interposto gravame, la Corte d’appello territoriale confermava la pronuncia di primo grado. Si rivolge quindi al Supremo Collegio la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Nessuna contestazione alla continuità dell’esercizio della professione se Cassa forense non esercita la facoltà di revisione. Gli Ermellini hanno precisato che in relazione alla domanda di pensione di vecchiaia presentata da avvocato iscritto all’albo, la sussistenza del requisito della continuità nell’esercizio della professione non può essere contestata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense per i periodi anteriori al quinquennio precedente la suddetta domanda, quando non sia stata esercitata la facoltà di revisione prevista dall’art. 3 l. n. 319/1975, come modificato dall’art. 22 l. n. 576/1980, e l’interessato abbia adempiuto gli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23 della detta legge n. 576 del 1980. Poiché la facoltà di revisione in parola, pacificamente, non è stata esercitata dalla ricorrente, nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata, correttamente attenutasi a tale principio Il ricorso in esame, pertanto, è stato rigettato dalla Suprema Corte.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 ottobre – 23 novembre 2015, n. 23847 Presidente Nobile – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 26.11.13 la Corte d'appello di Lecce rigettava, per quel che rileva nella presente sede, il gravame proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense contro la sentenza con cui il 22.11.11 il Tribunale della stessa sede l'aveva condannata a pagare all'avv. P.D. i ratei di pensione di vecchiaia, sul presupposto della continuità di esercizio dell'attività professionale per oltre un trentennio, essendo ormai incontestabili i 31 anni di contribuzione decorsi dal 1965 al 1995 compreso. Per la cassazione della sentenza ricorre la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense affidandosi a due motivi. L'avv. P.D. resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1- II primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la Cassa non avesse censurato la ratio decidendi della pronuncia di primo grado, che aveva statuito che la Cassa medesima non poteva più chiedere all'avv. P.D. la dimostrazione della continuità di esercizio dell'attività professionale negli anni 1991 e 1992, giacché la nota del 22.9.2000 trasmessagli dall'ente medesimo poteva condurre ad un'eventuale invalidazione soltanto del quinquennio precedente in realtà - obietta il ricorso - l'appello conteneva l'espressa e diffusa censura di tale ratio decidendi. Con il secondo motivo parte ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 17 e 22 legge n. 576/80, essendo a carico dell'interessato, ai fini del conseguimento della pensione di vecchiaia, l'obbligo di comunicare annualmente alla Cassa l'ammontare del reddito dichiarato ai fini dell'IRPEF l'anno precedente, mentre nel caso di specie per gli anni 1991 e 1992 i Modelli 5 inviati dall'avv. P.D. erano pervenuti privi di tale indicazione, con indicazione dei soli contributi dovuti. 2- Sebbene il primo motivo di doglianza sia fondato - risultando ritualmente formulata nell'appello della Cassa la censura contro la motivazione addotta dal primo giudice - nondimeno il ricorso non può trovare accoglimento per la dirimente infondatezza del secondo motivo. Invero, in relazione alla domanda di pensione di vecchiaia presentata da avvocato iscritto all'albo, la sussistenza del requisito della continuità nell'esercizio della professione non può essere contestata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense per i periodi anteriori al quinquennio precedente la suddetta domanda, quando non sia stata esercitata la facoltà di revisione prevista dall'ari. 3 della legge n. 319 del 1975, come modificato dall'art. 22 della legge n. 576 del 1980, e l'interessato abbia adempiuto gli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23 della detta legge n. 576 del 1980 Cass. S.U. n. 13289/05 . La sentenza impugnata si è correttamente attenuta a tale principio. Obietta parte ricorrente che l'adempimento degli obblighi di comunicazione non era avvenuto o, comunque, non era rituale per gli anni 1991 e 1992 in quanto i Modelli 5 inviati dall'avv. P.D. erano pervenuti con l'indicazione dei soli contributi, ma senza la menzione del reddito dichiarato l'anno precedente ai fini dell'IRPEF. Replica il controricorrente di non aver indicato - in tali Modelli 5, relativi al 1991 e al 1992 - i redditi sol perché in tali anni non ne aveva percepiti. In altre parole, essendo pacifico l'avvenuto inoltro dei Modelli 5 per gli anni 1991-92, si discute solo dell'idoneità delle modalità di loro compilazione, questione rispetto alla quale - però - il ricorso si palesa non autosufficiente perché non trascrive i Modelli in discorso né ne indica l'esatta collocazione nell'incarto processuale. In conclusione, pacifico essendo che l'odierna ricorrente non ha esercitato la facoltà di revisione prevista dall'art. 3 della legge n. 319/1975 e che il ricorso non consente di accertare l'inidoneità della compilazione dei Modelli 5 relativi agli anni 1991 e 1992, deve constatarsi che il controllo della continuità nell'esercizio della professione e stato attivato dalla Cassa soltanto con nota del 22.9.2000, controllo che però, proprio alla stregua della citata giurisprudenza, poteva riguardare solo il quinquennio anteriore e non anche gli anni 1991 e 1992 cioè quelli in contestazione . 3- Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, spese da distrarsi in favore degli avvocati O. D. e R.G., antistatari. Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.