Anche il sindacato può rientrare nel perimetro dell’art. 18

L’art. 4 l. n. 108/1990 esclude dall’applicabilità della tutela reale le c.d. organizzazioni di tendenza , a condizione tuttavia che queste ultime non siano imprenditori ai sensi dell’art. 2082 c.c. e, in ogni caso, che non svolgano la propria attività secondo criteri imprenditoriali.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27228 depositata il 22 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità dei due licenziamenti – il primo per asserito giustificato motivo oggettivo, consistente nel rifiuto del lavoratore di trasformare in full time il proprio rapporto, ed il secondo per giusta causa - comunicati ad un proprio dipendente da una associazione affiliata ad una primaria organizzazione sindacale per la quale gestiva l’organizzazione di percorsi formativi, l’attività di studio ed i progetti di orientamento per lavoratori disoccupati , condannando il datore di lavoro alle conseguenze di cui all’art. 18 Stat. lav Secondo la Corte d’Appello, pur essendo pacifico che il datore di lavoro fosse una organizzazione di tendenza, era risultato provato che quest’ultima gestisse la propria attività secondo criteri di economicità, in quanto vi era una completa autonomia gestionale e finanziaria ed anche contabile rispetto all’organizzazione sindacale con entrate remunerative dei fattori produttivi e con la produzione di utili . Sussistevano dunque tutti i requisiti fattuali per l’applicabilità dell’art. 18 Stat. lav. non operando, alla luce di quanto sopra, la deroga prevista dall’art. 4 l. n. 108/1990 a mente del quale [] la disciplina di cui all'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 [] non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto . Contro tale pronuncia il datore di lavoro ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Se il datore di lavoro è un imprenditore, non rileva che persegua fini di tendenza . Per quel che qui interessa esaminare, l’associazione contestava l’applicazione nei suoi confronti della tutela reintegratoria di cui all’art. 18 Stat. lav. in quanto, attesa la sua natura di organizzazione di tendenza , doveva rientrare nella deroga prevista dal summenzionato art. 4. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, richiamando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. Ed infatti, come affermato in numerosi altri precedenti Cass. nn. 24437/2010 21685/2008 20442/2007 1367/2004 , l’esclusione dall’ambito della tutela reale presuppone l’accertamento in concreto, da parte del giudice di merito, della presenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, definita come datore di lavoro non imprenditore che svolge, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione e di culto e, più in generale, qualunque attività prevalentemente ideologica purché in assenza di una struttura imprenditoriale . In altre parole, secondo il condivisibile avviso della Corte, ai fini in discorso era ed è irrilevante il fine perseguito dal datore di lavoro, tutte le volte in cui egli sia titolare di una struttura imprenditoriale gestita secondo criteri di economicità. I licenziamenti erano poi manifestamente ingiustificati. Parimenti infondata era poi la per vero eterea difesa dei licenziamenti in quanto irrogati senza alcuna procedura disciplinare, quanto al recesso per giusta causa, ed in violazione di un espresso divieto di legge i.e. l’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 61/2000, a mente del quale il rifiuto di un lavoratore di trasformare [ ] il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento quanto al recesso per rifiuto di conversione in full time del rapporto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 22 dicembre 2014, numero 27228 Presidente Macioce – Relatore Bronzini Svolgimento del processo II Tribunale di Roma con sentenza del 6.7.2009 nella controversia tra M.F. e lo IAL Cisl nazionale dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato il 7.6.2005 per giustificato motivo oggettivo, nonché l'illegittimità dei licenziamento intimato al Folli il 28.7.2005 per giusta causa ed ordinava la reintegrazione del F. nel luogo di lavoro con condanna al pagamento delle retribuzioni dal recesso alla reintegrazione. Il Tribunale dichiarava il diritto dello stesso F. all'inquadramento nel il livello del Regolamento IAL CISL con condanna del detto IAL al pagamento delle differenze retributive di cui alla sentenza, riteneva il demansionamento del F. per il periodo dal 1999 con conseguente danno statico liquidato nella somma indicata in sentenza, riteneva, ancora, il danno esistenziale per violazione dell'articolo 2087 c.c. liquidato equitativamente in euro 2.500,00 ed, infine, dichiarava il diritto del ricorrente al pagamento dei premi di produzione riconosciuti annualmente, ma non corrisposti. La Corte di appello di Roma con sentenza del 9.10.2010 rigettava l'appello della IAL nazionale. La Corte territoriale osservava che, pur essendo lo IAL certamente una organizzazione di tendenza, come da stA.to tuttavia l'organizzazione dell'Ente che curava la formazione culturale, professionale e sociale dei lavatori attraverso la produzione di servizi consistenti nell'organizzazione di percorsi formativi, attività di studio e progetti di orientamento per disoccupati avveniva con il rispetto di criteri di economicità in quanto vi era una completa autonomia gestionale e finanziaria ed anche contabile rispetto la CISL con entrate remunerative dei fattori produttivi e con la produzione di utili come da bilanci dell'Ente. Alla stregua della giurisprudenza di legittimità sussistevano tutti i requisiti fattuali per l'applicabilità dell'articolo 18 nella sua interezza, non operando per le ragioni già dette, la deroga prevista per le associazioni di tendenza. Circa i licenziamenti intimati quello per giusta causa era chiaramente illegittimo in quanto non erano state contestate le mancanze che avevano portato al recesso in chiara violazione dell'articolo 7 L. numero 300/70. II secondo, per giustificato motivo oggettivo, intimato per avere rifiutato il lavoratore di passare dal regime di part time a quello full time, era parimenti ingiustificato perché intimato in violazione dell'articolo 5 L. numero 51/2000 e perché il posto di lavoro non era stato soppresso, posto che lo stesso Ente aveva affermato di avere dovuto scegliere un lavoratore esterno a tempo pieno, non essendo possibile reperire altro lavoratore dipendente disponibile a completare l'attività dei F Risultavano svolte le mansioni superiori dedotte perché il F. assunto nel 1986 come operatore tecnico livello 68 aveva nel tempo svolto progressivamente mansioni sempre più complesse e da ultimo compiti di realizzazione grafica delle dispense e materiale pubblicitario e ideazione di stands vi era stata dequalificazione in primis per il mancato inquadramento superiore e perché dal 1999 era stato addetto a sole mansioni di segreteria, attività di portierato e facchinaggio, chiaramente mortificanti la professionalità acquisita. Sussisteva il diritto al risarcimento del danno alla professionalità che correttamente era state equitativamente valutato nella somma di cui alla sentenza di primo grado ed il danno esistenziale posto che il F. negli ultimi anni era stato confinato in una angusta stanzetta con compiti dequalificanti ed i testi avevano confermato il suo stato depressivo derivante dalla condizioni di lavoro. Infine il diritto al premio di produzione era previsto contrattualmente e quindi non esistevano ragioni di sorta per la mancata corresponsione. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso lo IAL con quattro motivi resiste il F. con controricorso, corredato da memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione Con il primo motivo si allega la violazione dell'articolo 2119 c.c. dell'articolo 3 legge numero 604/1966 e dell'articolo 5 I. numero 61/2000, nonché la violazione e falsa applicazione di legge in relazione al licenziamento del 7.6.2005. Secondo motivo licenziamento disciplinare Fatti `vano fatto perdere la fiducia. Il motivo va dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata pag. 8 ha ritenuto illegittimo il recesso del 7,6.2005 in base a due diverse rationes decidendi da un lato ha richiamato l'articolo 5 L. numero 61/2000 per cui il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto parziale in rapporto a tempo pieno o il contrario non costituisce giustificato motivo di licenziamento dall'altro ha valutato che le ragioni addotte dal datore di lavoro non dimostravano la necessità di sopprimere il posto di lavoro, ma semmai di potenziarlo come poi era avvenuto. Ora mentre la seconda ratio decidendi appare idoneamente impugnata, sulla prima nulla si osserva e si deduce. Pertanto per costante giurisprudenza di questa Corte il motivo appare inammissibile perché anche il suo eventuale accoglimento sarebbe inutile al fine dell'accoglimento del ricorso perché il capo della domanda di cui si discute è passato in cosa giudicata, non essendo stata impugnata una delle ratio decidenti poste a fondamento dello stesso. Con il secondo motivo si allega la violazione dell'articolo 2118 c.c. e dell'articolo 7 L. numero 300/70 in relazione ai licenziamento del 28.7.2005. li motivo appare infondato in quanto non sussiste la dedotta violazione di legge posto che come risultato stesso motivo l`insieme dei fatti e lo stesso IAL a fondamento del recesso e riportati a pag. 15-16 del ricorso hanno un chiaro carattere disciplinare e, quindi, andavano previamente contestati alla stregua dell'articolo 7 L. numero 300/70. Con il terzo motivo si allega la violazione dell'articolo 18 l. numero 300/70 e dell'articolo 4 legge numero 104/90 in relazione ai due licenziamenti intimati ti motivo non appare fondato. La sentenza impugnata è infatti coerente con la giurisprudenza consolidata di questa Corte si è affermato sul punto che in materia di licenziamento del lavoratore subordinato, l'applicabilità della disciplina prevista per le cc.dd. organizzazioni di tendenza dall'articolo 4 della legge 11 maggio 1990, numero 108, che esclude l'operatività della tutela reale stabilita dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, richiede l'accertamento, in linea preliminare, da parte del giudice, che il datore di lavoro non sia un imprenditore ex articolo 2082, cod. civ., e , quindi, che non sussista una struttura imprenditoriale e, soltanto qualora detto accertamento abbia esito negativo, occorre verificare la ricorrenza degli ulteriori requisiti tipici di siffatte organizzazioni Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso la qualificazione come organizzazione di tendenza dell'istituto di addestramento lavoratori coordinamento regionale dei Piemonte per l'assorbente rilievo che esso operava avvalendosi di una organizzazione e di una struttura di carattere imprenditoriale cass. numero 24437/2010 ed ancora che in tema di licenziamento, l'applicazione della disciplina prevista per le cosiddette organizzazioni di tendenza dall'articolo 4 della legge numero 108 del 1990, con conseguente esclusione, nei loro confronti, della tutela reale di cui all'articolo 18 della legge numero 300 del 1970, modif. dall'articolo i della stessa legge numero 108 del 1990 presuppone l'accertamento in concreto, da parte del giudice di merito, della presenza dei requisiti tipici dell'organizzazione di tendenza, definita come datore di lavoro non imprenditore che svolge, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione e di culto e, più in generale, qualunque attività prevalentemente ideologica, purché in assenza di una struttura imprenditoriale. Nella specie, relativa alla domanda di un lavoratore dipendente avente ad oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro a seguito di illegittimo licenziamento, la S.C. ha confermato, sulla scorta dell'enunciato principio, l'impugnata sentenza, la cui motivazione aveva correttamente escluso che una scuola di dizione esercente l'attività di preparazione alla professione attorea rientrasse tra le organizzazioni di tendenza, essendo, invece, emerso, dalla ricerca da parte della scuola stessa del mantenimento del pareggio di bilancio, il perseguimento di uno scopo di lucro e, dunque, la sua natura imprenditoriale cass. numero 21685/2008 cfr. anche cass. numero 204442/2007 cass. numero 1367/2004 . La Corte di appello con motivazione congrua e logicamente coerente ha accertato che l'organizzazione dell'Ente che curava la formazione culturale, professionale e sociale dei lavatori attraverso la produzione di servizi consistenti nell'organizzazione dì percorsi formativi, attività di studio e progetti di orientamento per disoccupati avveniva con il rispetto di criteri di economicità in quanto vi era. una completa autonomia gestionale ed finanziaria ed anche contabile rispetto la CISL con entrate remunerative dei fattori produttivi e con la produzione di utili come da bilanci dell'Ente cfr. pag.8 della sentenza impugnata . Con il quarto motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2103 c.c. e dell'articolo 2087 c.c. in relazione alle mansioni superiori, al demansionamento ed alle correlate poste di danno professionale ed esistenziale statico il motivo appare improcedibile per la prima parte in quanto non è stato prodotto in copia integrale il Regolamento IAL, sulla cui base si contesta l'accertata dequalificazione e comunque un inquadramento coerente con l'attività svolta e non dequalificante. Il Regolamento non è stato peraltro neppure riprodotto neppure in ordine alle qualifiche , né è stato indicato l'incarto processuale ove lo stesso sarebbe reperibile. Le mansioni svolte dal ricorrente prima e dopo l'accertamento demansionamento sono state peraltro specificamente indicate in sentenza e sul punto non vi è nessuna specifica censura. Circa la seconda parte del motivo le voci di danno risultano specificamente indicate ed il danno è stato distinto in relazione a tali voci. Sul punto della liquidazione delle voci di danno la motivazione della sentenza appare congrua e logicamente motivata in quanto la Corte territoriale ha elencato i singoli elementi che qualificano il dedotto danno da dequalificazione professionale e quello a carattere esistenziale dall'umiliazione subita sino allo stato depressivo causato dalla situazione lavorativa ed alla compromissione della stessa vita di relazione e familiare. Non si è, quindi, operato per astratte presunzioni, ma in base a specifici elementi richiamati dettagliatamente in sentenza. Va anche aggiunto che la Corte territoriale ha anche 6ggiunto che in appello non erano state sviluppate specifiche doglianze in ordine ai criteri di liquidazione utilizzati nella sentenza di primo grado, così come generiche appaiono le censure mosse sul punto con il ricorso in cassazione. La seconda parte del motivo è quindi infondato. Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso. condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro 7.000,00 per compensi, oltre 15% di spese generali. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9.10.2014