Eventi che sospendono il periodo di prova: la soluzione si trova nella contrattazione collettiva

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del parto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, nella sentenza n. 25482, depositata il 2 dicembre 2014. Il fatto. Con sentenza la Corte d’appello di Roma rigettava l’impugnazione proposta dalla lavoratrice contro la sentenza del Tribunale che aveva rigettato le domande da lei proposte, dirette ad accertare l’illegittima risoluzione del contratto di apprendistato, con condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni. Contro tale decisione la lavoratrice propone ricorso in Cassazione censurando violazioni e falsa applicazione di norme di diritto e della contrattazione collettiva. Secondo il Collegio, il mezzo di impugnazione concernente l’errata interpretazione della norma del contratto collettivo, è infondato. In linea di principio Innanzitutto, premette la Corte, la giurisprudenza di legittimità è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del parto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Quest'ultimo, data la sua funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova ma se la contrattazione collettiva prevede diversamente. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo. Il Giudice di merito ha, dunque, fatto corretta applicazione di tale principio, procedendo ad una interpretazione della disciplina contrattuale, congiuntamente ad un accertamento di fatto, correttamente ed esaurientemente motivato, come tale non suscettibile di censura in sede di legittimità. Inequivoco significato letterale. La Corte d’appello ha, infatti, ritenuto che le norme contrattuali succedutesi nel tempo, che fissano in 25 giorni di effettiva presenza al lavoro la durata del periodo di prova abbiano un inequivoco significato letterale, nel senso che il periodo deve essere calcolato utilizzando, quale unità di misura temporale, i giorni e non le ore come sostenuto dalla ricorrente e verificando che vi sia stata effettiva prestazione lavorativa, non potendosi assolutamente tener conto dei periodi di assenza ovvero di mancata prestazione, a prescindere dalla loro causale. Ha, quindi, aggiunto che i periodi di riposo settimanale e compensativi, in quanto in essi il lavoratore non ha prestato effettivamente attività di lavoro, non possano essere calcolati ai fini del periodo di prova. Il dato letterale. Tale interpretazione, sostiene il Collegio, risponde ai canoni di ermeneutica contrattuale, avendo il Giudice del merito attribuito rilevanza prevalente al dato letterale e, in particolare, all’aggettivo effettiva” riferito alla presenza al lavoro, contenuto nell’art. 54 del C.C.N.L. e ripreso anche nel contratto individuale di lavoro, che fa riferimento a 25 giorni di effettiva prestazione lavorativa . Si tratta, continua la Corte, di espressioni assolutamente equivalenti dal punto di vista letterale, sicché non si ravvisa alcun contrasto tra la formula contenuta nel contratto collettivo e quella riportata nel contratto individuale, che invece la ricorrente privilegia al fine di ritenere, erroneamente, che quest’ultima abbia inteso contemplare nella durata del periodo di prova anche i giorni di riposo. La comune intenzione delle parti. Solo per motivi di completezza si ricorda quanto precisato dalla giurisprudenza della S. C. al riguardo, e cioè che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha rigettato il ricorso con la condanna della lavoratrice al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 2 dicembre 2014, n. 25482 Presidente Macioce – Relatore Doronzo Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con sentenza depositata in data 12 aprile 2011, la Corte d'appello di Roma rigettava l'impugnazione proposta da B.E. contro la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, che aveva rigettato le domande da lei proposte, dirette ad accertare, per quanto qui ancora rileva, l'illegittima risoluzione del contratto di apprendistato, con condanna della datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni. 1.2. La Corte d'appello dichiarava altresì inammissibile l'impugnazione incidentale condizionata proposta dalla Cremonini s.p.a., volta ad ottenere la declaratoria di improcedibilità della domanda per intervenuta rinuncia o transazione tra le parti. 1.3. A sostegno della sua decisione la Corte rilevava che l'assunto dalla ricorrente, posto a fondamento dell'impugnazione, secondo cui ella aveva eseguito quanto meno trentacinque giornate effettive di lavoro ed il rapporto era così durato un tempo superiore alle venticinque giornate previste per il superamento del periodo di prova, era infondato, in considerazione di quanto previsto dall'art. 54 del CCNL del Turismo settore Pubblici esercizi, applicabile al rapporto in esame, confermato dall'art. 57 del CCNL successivo, a tenore dei quali la durata del periodo di prova del rapporto di apprendistato era di 25 giorni di effettiva presenza al lavoro che, con tale locuzione, le parti stipulanti avevano ritenuto di computare ai fini del detto periodo solo le giornate di effettiva prestazione lavorativa, escludendo così i periodi di assenza, ovvero di mancata prestazione, a prescindere dalla loro causale . Ne conseguiva che il conteggio della ricorrente era errato, avendo ella incluso i periodi di riposo settimanale e compensativi, così come era errata l'operazione di calcolo effettuata dall'appellante sulla base delle ore effettivamente lavorate, anziché dei giorni, come invece previsto dalla norma contrattuale. 1.4. Contro la sentenza la B. propone ricorso per cassazione fondato su un unico articolato motivo, con cui censura violazioni e falsa applicazione di norme di diritto e della contrattazione collettiva, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. 1.5. La Cremonini resiste con controricorso e, a sua volta, propone ricorso incidentale condizionato, fondato su un unico motivo. 1.6. In via preliminare, deve essere disposta la riunione delle due impugnazioni, in quanto proposte contro la medesima sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c 2. Con l'unico articolato motivo di ricorso la lavoratrice censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2077, 2096 e 2109 c.c. degli artt. 1362 e ss. c.c. degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. del d.lgs. 25/2/2000, n. 61 degli artt. 10, 64, 65,66, 86, 90 del CCNL del 19/7/2003 del settore Turismo, nonché per irrazionalità ed illogicità della motivazione , in quanto a era stato erroneamente applicato l'art. 57 del nuovo CCNL che, all'epoca del deposito del ricorso introduttivo del giudizio 5/7/2006 , non ancora entrato in vigore, nonché l'art. 54 del C.C.N.L., sul quale non vi era mai stato contraddittorio tra le parti b la domanda era infatti fondata solo sul contratto individuale di lavoro del 14/10/2005, che costituiva l'unica fonte di regolamento del rapporto tra le parti, resa possibile dall'art. 10 dello stesso C.C.N.L., che per alcune materie rimandava, attraverso il rinvio operato alla contrattazione integrativa o di secondo livello aziendale o territoriale, alla contrattazione individuale, nonché dall'art. 2077, comma 2, c.comma che consente la prevalenza del contratto individuale di lavoro, ove più favorevole al prestatore di lavoro c la Corte territoriale non aveva considerato che la norma del C.C.N.L. riguardava esclusivamente il rapporto di apprendistato, laddove il contratto intercorso tra le parti aveva natura o causa mista, essendo un part-time d l'art. 87, punto 2 del C.C.N.L. prevedeva che ai fini del periodo di prova erano utili esclusivamente le giornate di effettiva prestazione lavorativa e l'art. 90 disponeva che la normale durata del rapporto di lavoro settimanale effettivo è fissata in 40 ore , e tanto in applicazione del principio di non discriminazione di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 61/2000 e al fine di determinare il periodo di prova la Corte avrebbe dovuto considerare le effettive giornate di lavoro come risultanti dai cedolini stipendiali della ricorrente e relativi ai mesi di ottobre e novembre 2005, dai quali risultavano, rispettivamente, 21 e 22 giornate lavorative, per un totale di 43 giornate di effettivo lavoro svolto f in ogni caso i riposi compensativi avrebbero dovuto essere calcolati perché accordati ai lavoratori a recupero delle maggiori prestazioni rese nella settimana e quindi collegate ad una prestazione di lavoro effettivamente già effettuata g la norma contrattuale come interpretata dalla Corte territoriale violava le disposizioni degli artt. 1362 e ss. c.comma perché la locuzione presenza al lavoro , contenuta nell'art. 54 cit., non equivale ad effettivaprestazione lavorativa contenuta nel contratto individuale. 3. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. 3.1. È inammissibile nella parte in cui la ricorrente non trascrive gli atti difensivi dai quali dovrebbe dedursi l'estraneità al thema decidendum della questione relativa all'interpretazione dell'art. 54, che pure introduce nel ragionamento impugnatorio, né indica dove gli stessi sarebbero attualmente rinvenibili, se nei fascicoli d'ufficio o di parte, così impedendo alla Corte di verificare ex actis , prima ancora della sua fondatezza, la veridicità dell'assunto ed in spregio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il quale trova applicazione anche con riferimento alla violazione di norme processuali Cass., 4 aprile 2005, n. 6972 Cass., 20 settembre 2006, n. 20405 . Ne consegue che la denunzia del vizio di ultra petizione o di violazione del contraddittorio non può consistere nella generica affermazione che l'art. 54 del C.C.N.L. non è stato . mai citato da alcuna delle parti e nemmeno posta a fondamento delle domande e delle eccezioni , poiché tale asserzione, per l'ampiezza dell'espressione usata, non esclude il rischio di un soggettivismo giudiziario , ove il giudice fosse onerato di una ricerca, non sempre agevole, degli atti di causa, al di fuori di un regolare contraddirtene. 3.2. La violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione imposto dagli art. 366 comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.comma emerge con evidenza anche con riferimento alla mancata trascrizione e produzione unitamente al ricorso per cassazione , del contratto individuale di lavoro, su cui la ricorrente appunta le censure sintetizzate ai punti b e c , così come non risultano trascritti, neppure per sintesi, i cedolini paga che il giudice avrebbe omesso di esaminare o avrebbe mal valutato Cass., 11 febbraio 2014, n. 3026 . 3.3. Inconferente è poi la censura riguardante la violazione del principio di non discriminazione, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, mentre del tutto privo di decisi vita è il profilo di censura relativo all'inapplicabilità dell'art. 57 del contratto collettivo successivo a quello applicabile ratione temporis , dal momento che è incontestato che tanto l'articolo 57 del C.C.N.L. per i dipendenti da aziende del settore turismo del 19 luglio 2003 quest'ultimo invocato dalla stessa ricorrente , quanto l'articolo 54 hanno la stessa formulazione letterale e la sentenza le ha richiamate solo per ribadirne la univocità del loro significato. 4. È invece infondato il mezzo di impugnazione concernente l'errata interpretazione della norma del contratto collettivo. 4.1. A tal riguardo, occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso - in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova - in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del parto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Quest'ultimo, data la sua funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova Cass., 5 novembre 2007 n. 23061 Cass., 13 settembre 2006 n. 19558 . 4.2. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo così Cass., 5 novembre 2007,-23061 Cass., 22 marzo 2012, n. 4573 . Il giudice del merito ha fatto corretta applicazione di tale principio procedendo ad una interpretazione della disciplina contrattuale, congiuntamente ad un accertamento di fatto, correttamente ed esaurientemente motivato, come tale non suscettibile di censura in sede di legittimità. 4.3. Ed invero, la Corte territoriale ha ritenuto che le norme contrattuali succedutesi nel tempo, che fissano in 25 giorni di effettivapresenza al lavoro la durata del periodo di prova abbiano un inequivoco significato letterale, nel senso che il periodo deve essere calcolato utilizzando, quale unità di misura temporale, i giorni e non invece le ore, come opinato dalla ricorrente, le quali sono rilevanti solo ai fini di individuare l'unità di misura della retribuzione e verificando che vi sia stata effettiva prestazione lavorativa, non potendosi assolutamente tener conto dei periodi di assenza rectius di mancata prestazione, a prescindere dalla loro causale . Ha quindi aggiunto che i periodi di riposo settimanale e compensativi, in quanto in essi il lavoratore non ha prestato effettivamente attività di lavoro, non possano essere calcolati ai fini del periodo di prova. 4.4 . Tale interpretazione è rispondente ai canoni legali di ermeneutica contrattuale,avendo il giudice del merito attribuito rilevanza prevalente al dato letterale e, in particolare, all'aggettivo effettiva riferito alla presenza al lavoro, contenuto nell'art. 54 del C.C.N.L. e ripreso, secondo l'assunto della stessa ricorrente, anche nel contratto individuale di lavoro, che nella parte trascritta fa riferimento a 25 giorni di effettiva prestazione lavorativa . Si tratta di espressioni assolutamente equivalenti dal punto di vista letterale, sicché non si ravvisa alcun contrasto tra la formula contenuta nel contratto collettivo e quella riportata nel contratto individuale, che invece la ricorrente privilegia al fine di ritenere, erroneamente oltre che assiomaticamente, che quest'ultima abbia inteso contemplare nella durata del periodo di prova anche i giorni di riposo. 4.5. Deve peraltro ricordarsi che, secondo il disposto dell'art. 1362, comma 1, c.comma nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole il comma successivo stabilisce poi che, per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare al riguardo che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa cfr, explurimis, Cass., 22 dicembre 2005, n. 28479 Cass., 22 febbraio 2007, n 4176 Cass., 4 gennaio 2013, n. 110 . 4.6. Quest'ultima condizione è riscontrabile nel caso in esame, posto che la ricordata disposizione della norma contrattuale di riferimento è chiara nella sua portata precettiva, facendo espresso riferimento oltre che all'effettività della prestazione lavorativa anche ai giorni come unità temporale di riferimento, ed in cui è evidente la volontà delle parti di collegare la verifica della reciproca convenienza del rapporto di lavoro ad una reale ed esattamente valutabile sperimentazione dello stesso, con esclusione dei giorni in cui la prestazione non è di fatto resa rendendo così la sperimentazione meramente virtuale. 5. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, mentre rimane assorbito il ricorso incidentale condizionato. In applicazione del criterio della soccombenza la B. deve essere condannata al pagamento delle spese processuali in favore della società controricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge.