Rendita ai superstiti se c’è nesso tra morte del lavoratore e infortunio

Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., secondo la quale il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficacia causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23990, depositata l’11 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello, confermando la sentenza del Tribunale di Chieti, rigettava la domanda proposta nei confronti dell’INAIL, avente ad oggetto la condanna di controparte alla costituzione di rendita superstiti sul presupposto dell’esistenza di un nesso tra la morte del suo dante causa e l’infortunio subito. La Corte del merito riteneva dovesse escludersi che la morte del lavoratore fosse rapportabile all’epotapatia da virus c probabilmente contratta in occasione del trattamento dell’infortunio lavorativo subito dal predetto de cuius . L’attrice, ricorrendo per cassazione contro tale decisione, denuncia che la Corte territoriale non ha applicato il principio di equivalenza causale e non ha tenuto conto delle critiche, basate sulla letteratura scientifica, mosse dalle consulenze di parte alla consulenza d’ufficio relativamente alla sussistenza di un nesso causale tra infezione da HCV, epatite C, epatocarcinoma e linfoma non Hodgking in termini di elevata probabilità. Interviene la Corte di Cassazione, ricordando una serie di principi, dai quali discende la fondatezza della censura mossa dalla ricorrente. Principio dell’equivalenza delle condizioni. È principio consolidato, afferma il Collegio quello secondo il quale anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficacia causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento. Il giudice di merito e l’adesione alle conclusioni della ctu. Orientamento costante, prosegue la Corte, è anche quello in base al quale, nel giudizio in materia di invalidità, è denunciabile, in sede di legittimità, il vizio della sentenza che abbia aderito alle conclusioni del ctu, ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi. Critiche basate sulla letteratura scientifica. Nei giudizi in cui sia stata esperita ctu medico – psichiatrica, il giudice di merito, nell’aderire alle conclusioni dell’accertamento peritale, non può, ove all’elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, come ha fatto nel caso in esame. La Corte di merito doveva, invece, verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presentava devianza dalla scienza medica e che risultava oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale. Infatti, dalle critiche mosse alle conclusioni della ctu, emergeva come negli studi scientifici internazionali più recenti si sia evidenziato che i linfomi non Hodgking rappresentano le manifestazioni extra epatiche correlate con maggiore sicurezza al virus dell’epatite C. Da queste considerazioni deriva che nella sentenza impugnata è presente non solo un vizio di motivazione, ma anche la violazione del principio dell’equivalenza delle condizioni di cui all’art. 41 c.p. La Corte ha, pertanto, deciso per la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 ottobre – 11 novembre 2014, numero 23990 Presidente Vidiri – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello Degli Abruzzi - l'Aquila, confermando la sentenza del Tribunale di Chieti, rigettava la domanda di V.M., proposta nei confronti dell'INAIL, avente ad oggetto la condanna di controparte alla costituzione di rendita superstiti e tanto sul presupposto dell'esistenza di nesso quanto meno in via concausale tra la morte del suo dante causa e l'infortunio subito. A base del decisum la Corte del merito poneva il rilievo fondante che, alla stregua della espletata CTU, doveva escludersi che la morte del dante causa della Vispo fosse rapportabile, neanche in via minima e concausale o semplicemente accelerativa, all'epotapatia da virus C probabilmente contratta in occasione del trattamento dell'infortunio lavorativo subito dal predetto de cuis. Avverso questa sentenza V.M. ricorre in cassazione sulla base di unico articolato motivo. Resiste con controricorso l'INAIL. Motivi della decisione Con l'unico motivo, precisato da plurimi quesiti, la ricorrente, deducendo violazione degli artt. 2 e 85 DPR numero 1124 del 1965, 113, 115, 116, 420 e 427 cpc con riferimento all'art. 2697 cc, 41 cp e vizio di motivazione, sostanzialmente denuncia che la Corte territoriale non ha applicato il principio di equivalenza causale e non ha tenuto conto delle critiche, basate sulla letteratura scientifica, mosse dalle consulenze di parte alla consulenza d'ufficio relativamente alla sussistenza di un nesso causale tra infezione da HCV, epatite C, epatocarcinoma e linfoma non Hodgkin in termini di elevata probabilità. La censura è fondata nei sensi di seguito indicati. E' principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art. 41 cp, per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge per tutte V. Cass. 3 giugno 2002 numero 8033 e Cass. 18 luglio 2005 numero 15107 . Costituisce, altresì, orientamento costante della Cassazione quello secondo il quale nel giudizio in materia d'invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione Cfr. per tutte Cass 3 febbraio 2012 numero 1652 . Parallelamente si è rimarcato da questa Corte che nei giudizi in cui sia stata esperita CTU, medico-psichiatrica, il giudice di merito, nell'aderire alle conclusioni dell'accertamento peritale, non può, ove all'elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto - sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici - a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare Cass. 20 marzo 2013 numero 7041 . Nella specie la Corte del merito a fronte delle critiche - di cui alle consulenze di parte trascritte nel ricorso per cassazione in adempimento del principio di autosufficienza - mosse alle conclusioni della CTU, nelle quali si dà conto che negli studi scientifici internazionali più recenti si è evidenziato che i linfomi non Hogdkin rappresentano le manifestazioni extra epatiche correlate con maggiore sicurezza al virus dell'epatite C., si è limitata al mero richiamo alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio. Tanto comporta non solo un difetto di motivazione della sentenza impugnata, ma conseguentemente anche una violazione del richiamato principio dell'equivalenza delle condizioni di cui all'art. 41 cp. La sentenza impugnata, pertanto, va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 8 ottobre 2014.