L’associato partecipa agli utili, ma non alle perdite? È un lavoratore subordinato

La differenza fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa, dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite.

Lo ha affermato, con la sentenza n. 1817, depositata il 28 gennaio 2013, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro. Partecipazione agli utili non è sinonimo di partecipazione al rischio d’impresa”. La pronuncia in commento trae origine da una vicenda nella quale, pur a seguito della stipula di un contratto di associazione in partecipazione, non solo le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa erano del tutto simili a quelle tipiche del lavoro subordinato inserimento nella struttura aziendale sottoposizione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro vincolo dell’orario di lavoro assenza di qualsiasi spazio di autonomia in ordine alle modalità di estrinsecazione del rapporto , ma, vieppiù, era stata sostanzialmente esclusa la partecipazione dell’associato al rischio d’impresa tout court , atteso che le parti si erano limitate ad aggiungere, all’importo mensilmente pattuito, una somma a titolo di partecipazione agli utili. Nella fattispecie, pertanto, sussistendo comunque una garanzia di guadagno per il prestatore di lavoro, è stato escluso che quest’ultimo, pur partecipando agli utili, fosse anche partecipe del rischio d’impresa. Il confine tra associazione in partecipazione e lavoro subordinato può essere molto incerto . Inquadrata in questi termini la vicenda, la Suprema Corte descrive nozione e caratteri del contratto di associazione in partecipazione, evidenziando che, ai sensi dell’art. 2549 c.c., l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa ovvero di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto. Il sinallagma contrattuale, pertanto, è costituito dalla partecipazione agli utili e quindi al rischio di impresa, di norma esteso anche alla partecipazione alle perdite , a fronte di un determinato apporto dell’associato, che può consistere anche nella prestazione lavorativa del medesimo in questo caso, l’associato che offre la propria prestazione lavorativa si inserisce nell’assetto organizzativo aziendale e quindi – essendo la gestione dell’impresa nella disponibilità dell’associante, ai sensi dell’art. 2552, comma 1, c.c. – si sottopone al potere direttivo di quest’ultimo. Conseguentemente, è ben possibile che l’espletamento della prestazione lavorativa assuma caratteri in tutto simili a quelli della prestazione lavorativa svolta nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato. Solo l’associato partecipa alle perdite . La distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa risiede, pertanto, nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa, dovendosi verificare se l’associato partecipi effettivamente al rischio di impresa, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite cfr. Cass. n. 19475/2003, e n. 24781/2006 . Tale accertamento implica necessariamente una valutazione complessiva e comparativa dell’assetto negoziale, quale voluto dalle parti e quale in concreto posto in essere, con particolare riferimento all’esistenza del sinallagma contrattuale tipico dell’associazione in partecipazione perché ricorra tale fattispecie negoziale occorre, pertanto, che l’associato lavoratore partecipi sia agli utili che alle perdite ex art. 2554 c.c. , non essendo ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite ove invece il prestatore di lavoro non partecipi anche alle perdite, non c’è associazione in partecipazione, ma ricorre un ordinario rapporto di lavoro subordinato. Nel dubbio, prevale la tutela del lavoro subordinato . La Suprema Corte, infine, ricorda che, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell’associato nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale favor accordato dall’art. 35 Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 novembre 2012 - 28 gennaio 2013, n. 1817 Presidente De Renzis – Relatore Marotta Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Torino, G.G. , premesso di essere stato dipendente della Softech Sviluppo Sostenibile s.r.l. sin dal novembre 1990, con regolarizzazione della sua posizione solo in data 1996 con la sottoscrizione di un contratto di associazione in partecipazione, chiedeva il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro con inquadramento nel II livello del C.C.N.L. aziende terziario, distribuzione e servizi nonché la declaratoria di inefficacia del licenziamento intimatogli verbalmente in data 21/10/2004, con condanna della società convenuta al pagamento delle differenze retributive nonché alla reintegra ed al risarcimento del danno. Nella contumacia della società convenuta, il Tribunale accoglieva tutte le domande. Avverso tale pronuncia la Softech proponeva appello dolendosi del fatto che il primo giudice avesse fondato il proprio convincimento circa la fondatezza del ricorso sulla base del contegno processuale della società convenuta ed altresì censurando la integrata violazione dell'art. 2697 cod. civ., l'omessa considerazione di elementi di prova di per sé idonei al rigetto delle avverse domande, la mancanza di deduzioni in ordine alla dissimulazione del contratto formalmente stipulato tra le parti, la mancanza di prova del quantum preteso, l'omessa indagine sull’aliunde percetum. La Corte di Appello di Torino, dopo aver disposto il libero interrogatorio delle parti ed assunto le prove testimoniali dedotte dal G. nel ricorso introduttivo, riteneva infondato l'appello. In particolare, riteneva provata la sussistenza, in punto di fatto, di un schema lavorativo identico, prima e dopo la stipulazione del contratto di associazione in partecipazione, riproducente perfettamente quello della subordinazione. Quindi, riteneva provata n ed incontestata nel quantum la pretesa relativa alle differenze retributive maturate. Infine, riteneva che, in mancanza di ogni allegazione, non potesse essere rilevato d'ufficio l’aliunde perceptum. Per la cassazione di tale sentenza la Softech Sviluppo Sostenibile s.r.l. propone ricorso affidato a sei motivi. Resiste con controricorso l'intimato G G. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. procomma in relazione agli artt. 2094, 2549 e 2697 cod. civ. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. procomma civ. . Deduce che la Corte territoriale ha errato nel non attribuire alcun valore al contratto sottoscritto dalle parti ove le stesse dichiaravano di voler porre in essere un rapporto di associazione in partecipazione ed al fatto che, a far data da tale sottoscrizione, il G. avesse effettivamente percepito quanto pattuito e cioè una percentuale sui ricavi. Deduce, inoltre, che la Corte ha errato nell'omettere ogni indagine sugli aspetti riferibili al contratto di associazione in partecipazione e nel considerare come decisivi elementi propri della subordinazione ma di certo non estranei anche all'associazione. Il motivo non è fondato. In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa, questa Corte cfr. Cass. 19 dicembre 2003 n. 19475 id. Cass. 22 novembre 2006, n. 24781 ha affermato che l'elemento differenziale tra le due fattispecie risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l'apporto della prestazione lavorativa dovendosi verificare l'autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell'associato al rischio di impresa, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite. Quanto all'esatta identificazione delle connotazioni del rapporto intercorso tra la società ed il suo asserito associato e la qualificazione giuridica dello stesso se rapporto di associazione in partecipazione ovvero rapporto di lavoro subordinato , deve considerarsi che le parti hanno qualificato il rapporto, tra loro stesse instaurato a far data dall'I gennaio 1996, come di associazione in partecipazione caratterizzato nella specie dall'apporto di una prestazione lavorativa da parte dell'associato. L'art. 2549 cod. civ., infatti prevede che con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Il sinallagma è costituito dalla partecipazione agli utili e quindi al rischio d'impresa, di norma esteso anche alla partecipazione alle perdite a fronte di un determinato apporto dell'associato, che può consistere anche nella prestazione lavorativa del medesimo. Che ciò sia possibile risulta anche indirettamente da C. cost. 15 luglio 1992, n. 332, che ha dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., e art. 38 Cost., comma 1, il d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, nella parte in cui non prevede tra le persone assicurate gli associati in partecipazione i quali prestino opera manuale. In tal caso l'associato che offre la propria prestazione lavorativa si inserisce nell'assetto organizzativo aziendale e quindi - essendo la gestione dell'impresa nella disponibilità dell'assodante art. 2552, comma 1, cod. civ. - si sottopone al potere direttivo di quest'ultimo. E ben possibile allora che l'espletamento della prestazione lavorativa assuma caratteri in tutto simili a quelli della prestazione lavorativa svolta nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato. Ed allora l'elemento differenziale tra le due fattispecie risiede essenzialmente nel contesto regolamentare pattizio in cui si inseriscono rispettivamente l'apporto della prestazione lavorativa da parte dell'associato e l'espletamento di analoga prestazione lavorativa da parte di un lavoratore subordinato. Tale accertamento implica necessariamente una valutazione complessiva e comparativa dell1 assetto negoziale, quale voluto dalle parti e quale in concreto posto in essere. Ed anzi la possibilità che l'apporto della prestazione lavorativa dell'associato abbia connotazioni in tutto analoghe a quelle dell'espletamento di una prestazione lavorativa in regime di lavoro subordinato comporta che il fulcro dell'indagine si sposta soprattutto sulla verifica dell'autenticità del rapporto di associazione. Il quale - come già rilevato - ha come indefettibile elemento essenziale, che ne connota la causa, il sinallagma tra partecipazione al rischio dell'impresa gestita dal l'assodante a fronte del conferimento dell'apporto in questo caso, lavorativo dell'associato, intendendosi peraltro in tal caso che l'associato lavoratore deve partecipare sia agli utili che alle perdite ex art. 2554 cod. civ. , non essendo ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un'impresa senza partecipazione alle perdite, atteso che l'art. 2554, che pur in generale lo prevede, richiama invece l'art. 2102 cod. civ., quanto alla sola partecipazione agli utili attribuita al prestatore di lavoro, mostrando così di escludere l'ammissibilità di un tale contratto di mera cointeressenza allorché l'apporto dell'associato consista in una prestazione lavorativa. Orbene, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli indicati principi ed avuto riguardo alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, è pervenuta, con motivazione puntuale e non contraddittoria, al convincimento che fossero emersi i tratti maggiormente tipici del rapporto di lavoro subordinato. Così ha ritenuto non determinante la qualificazione formale che le parti avevano dato al rapporto contrattuale escludendo che le stesse, con la stipula del contratto di associazione in partecipazione, avessero in effetti novato ovvero significativamente modificato il rapporto già da anni esistente tra le stesse. A tale conclusione la Corte di merito è pervenuta attraverso il rigoroso e puntuale esame delle risultanze istruttorie tutte deponenti nel senso che, pur a seguito della stipula del contratto di associazione in partecipazione, le modalità di svolgimento del lavoro del G. non erano cambiate, essendo questi rimasto inserito nella struttura aziendale, legato al rispetto di un preciso orario di ufficio che si ampliava in base alle esigenze del lavoro , sottoposto ad un controllo penetrante costante sul proprio operato da parte del dominus arch. P. e dunque sottoposto al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, senza alcuno spazio di autonomia in ordine alle modalità di estrinsecazione del rapporto essendo anzi il predetto tenuto ad avvertire in caso di assenza. Rispetto a tale assetto fattuale, tale da far ritenere tamquam non esset l'intervenuta stipula formale del contratto associativo, la Corte ha, sostanzialmente escluso la partecipazione del G. al rischio d'impresa tout court , che caratterizza la causa tipica dell'associazione in partecipazione, nel senso di una partecipazione tanto agli utili quanto alle perdite con l'assenza di una garanzia di guadagno per il prestatore di lavoro evidenziando come fosse solo emerso che dopo la stipula del contratto, la retribuzione del G. era aumentata essendosi aggiunto all'importo mensilmente pattuito una somma a titolo di partecipazione agli utili. Tale circostanza, peraltro, correttamente non è stata ritenuta, alla luce del complessivo assetto fattuale del rapporto, di per sé sola significativa oltre a quanto già sopra evidenziato si segnala, sul punto, anche quanto affermato da questa Corte nella sentenza del 24 febbraio 2001 n. 2693 In tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa, la riconducibilità del rapporto all'uno o all'altro degli schemi predetti esige un'indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l'obbligo del rendiconto periodico dell'associante e l'esistenza per l'associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell'associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare della persona o dell'organo che assume le scelte di fondo dell'organizzazione dell'azienda e si veda, altresì, in senso conforme Cass. dell'8 ottobre 2008 n. 24871 . Del pari non è stato ritenuto significativo ai fini dell'assunzione del rischio economico, e quindi trascurato che il G. fosse stato messo nella condizione di prendere visione del bilancio sociale ben potendo tale facoltà non necessariamente corrispondente ovvero ricollegabile ad un obbligo di rendiconto essere connessa ad un rapporto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa. Dunque, una volta verificato che all'assetto contrattuale voluto dalle parti non corrispondesse la concreta attuazione di un rapporto di associazione in partecipazione, i giudici di merito hanno correttamente valutato, in questa diversa prospettiva del raggiunto convincimento dell'inesistenza di un rapporto di associazione in partecipazione tra le parti, l'espletamento di una prestazione lavorativa da parte di lavoratori e non già di associati in partecipazione . C'è poi anche da considerare che, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell'organizzazione aziendale senza partecipazione al rischio d'impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell'associato nella gestione dell'impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale favor accordato dall'art. 35 Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni . Sulla base di tale corretto presupposto di diritto, la Corte di appello, in sintesi, avuto riguardo alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, è pervenuta, con motivazione puntuale e non contraddittoria, al convincimento che erano emersi i tratti maggiormente tipici del rapporto di lavoro subordinato. 2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. procomma civ. - mancata ammissione del giuramento decisorio - . Deduce che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che non si evincesse dal tenore letterale dei capitoli quali fossero le somme percepite per ogni singolo anno dal lavoratore e contraddittoriamente, mentre da un lato ha dato ingresso ai conteggi di parte ricorrente che aveva calcolato quanto percepito riferendosi ai pagamenti materialmente avvenuti nell'anno di riferimento, dall'altro non ha ammesso il giuramento decisorio che era la prova speculare contraria rispetto ai minori pagamenti risultanti indicati da parte ricorrente. La doglianza non merita accoglimento. Si premette che il giuramento decisorio deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro e specifico, e la sua formula, dovendo esso vertere su fatti idonei a risolvere in tutto o in parte la lite, deve essere congegnata in modo che il destinatario possa, a sua scelta, giurare e vincere la lite o non giurare e perderla. In buona sostanza tale mezzo istruttorio non può che avere ad oggetto circostanze dalle quali dipende la decisione di uno o più capi della domanda, ossia circostanze tali che al giudice, previo accertamento sull’”an iuratum sit , non resti altro che accogliere o rigettare la domanda ovvero singoli capi di essa, basandosi, quanto al fatto, solo sul giuramento prestato ovvero sulla mancata prestazione del medesimo. Pertanto, un giuramento formulato in modo da non consentire l'attuazione di detto meccanismo è inammissibile, in quanto, la sua mancata prestazione, non potendo essere considerata come riconoscimento della fondatezza della pretesa della parte avversa, non potrebbe essere posta a base della sentenza di condanna. La valutazione sulla decisorietà della formula del giuramento è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, il cui giudizio è sindacabile in sede di legittimità con esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici attinenti all'apprezzamento da quegli espresso, con la conseguenza che è inammissibile in cassazione la censura volta a prospettare una diversa valutazione del giuramento prestato, limitando la portata delle ammissioni da esso desunte dal giudice di merito cfr. in tal senso Cass. 8 giugno 2007 n. 13425 id. 13 novembre 2009 n. 24025 25 giugno 2012 n. 10574 . Le ragioni della mancata ammissione del giuramento decisorio sono state puntualmente ed esaustivamente esplicitate dalla Corte territoriale che, con particolare riferimento ai capitoli dal punto 1 al punto 7, ha precisato che l'arco temporale di un anno cui si riferiscono i pagamenti che si assumono essere stati effettuati dalla Softech nei confronti del G. per ciascuna annualità lavorativa non consentono di comprendere se detti pagamenti si riferiscano a somme a lui dovute, ma imputabili all'anno precedente e ciò specie in considerazione del fatto che alla luce della compiuta istruzione testimoniale è emerso che i pagamenti venivano effettuati costantemente in ritardo . Ad avviso della Corte, pertanto, tale situazione non consente di definire, attraverso il giuramento decisorio come formulato, i rapporti di dare - avere tra la Softech ed il G. per gli anni in esame rendendo, di conseguenza, inattuabile il meccanismo decisorio che costituisce la finalità del richiesto mezzo di prova. Con riferimento, poi, ai capitoli dal punto 8 al punto 11, la Corte di merito ha ritenuto che gli. stessi si riferissero a circostanze marginali attenendo al quantum di una prestazione non contestata nell'an e perciò non tali da rivestire quel carattere di decisorietà, ancorché parziale della controversia. Orbene non si rinvengono nel ragionamento della Corte vizi logici e giuridici ed in modo del tutto inammissibile la ricorrente tende a prospettare una diversa valutazione della decisorietà. 3. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. procomma civ. . Deduce che la Corte territoriale non ha motivato in ordine alla mancata ammissione dei documenti prodotti dalla società e non ha spiegato, a fronte di una espressa deduzione in tal senso, perché gli stessi non fossero da considerare indispensabili ai fini della decisione. Il motivo non è fondato alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, mentre deve esserci sempre la specifica motivazione dell'attivazione dei poteri istruttori d'ufficio ex art. 421 cod. procomma civ., il mancato esercizio di questi va motivato soltanto in presenza di circostanze specifiche che rendono necessaria l'integrazione probatoria cfr. in tal senso Cass. 24 ottobre n. 22305 . Orbene, nel caso di specie, non vi è stata alcuna richiesta di integrazione probatoria in senso proprio bensì, come si evince dallo stesso ricorso per cassazione, una richiesta di acquisizione documentale formulata dalla società ricorrente, contumace nel giudizio di primo grado, solo in sede di atto di appello. Peraltro, sul punto la Corte territoriale ha motivato in ordine alla impossibilità di disporre l'acquisizione di tale documentazione proprio facendo riferimento alla tardività della produzione documentale. Invero, secondo i principi generali, nel rito del lavoro, in base al combinato disposto della norma di cui all'art. 416, comma 3, cod. procomma civ. - che stabilisce che il convenuto deve indicare, a pena di decadenza, i mezzi di prova, dei quali intende avvalersi, ed, in particolare modo, i documenti, che deve contestualmente depositare onere probatorio gravante anche sull'attore, per il principio di reciprocità fissato dalla Corte Cost. con la sentenza n. 13 del 1977 - e della norma art. 437, comma 2, cod. procomma civ, - che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova, fra i quali devono annoverarsi anche i documenti - l'omessa indicazione, nel ricorso o nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, dei documenti, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tali atti, determinano la decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dell'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione stessi ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello. Tale rigoroso sistema di preclusioni trova, invero, un contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della verità materiale , cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d'ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova ai sensi del citato art. 437, comma 2, cod. procomma civ. , ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse così Cass. Sez. U 20 aprile 2005 n. 8202 . Il principio di diritto enunciato, dunque, non consente la ammissibilità, d'ufficio, di prove anche documentali - indispensabili per la decisione della causa - ove la preesistenza di altri mezzi istruttori ritualmente acquisiti e meritevoli di integrazione - che ne costituisce la condizione indefettibile - si esaurisca negli stessi mezzi istruttori, che risultino definitivamente preclusi per le parti. In altri termini, i mezzi istruttori - preclusi alle parti - possono essere, bensì, ammessi d'ufficio, ma suppongono, tuttavia, la preesistenza di altri mezzi istruttori - ritualmente acquisiti - che siano meritevoli della integrazione, affidata, appunto, alle prove ufficiose. Alla luce di detti principi di diritto correttamente la Corte di merito ha ritenuto di non poter acquisire la documentazione prodotta solo in sede di appello dalla società ricorrente essendo, nello specifico, precluso l'esercizio dei richiamati poteri d'ufficio. 4. Con il quarto motivo la società denuncia Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. procomma civ Violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1418, 2126 e 2099 cod. civ. ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. procomma civ. . Deduce che la Corte territoriale, avendo implicitamente sancito che il contratto di associazione in partecipazione era simulato ex art. 1414 cod. civ. ovvero nullo ex art. 1418 cod. civ. avrebbe dovuto, in forza dell'art. 2099 cod. civ. rideterminare secondo equità la retribuzione in base alla quale calcolare gli emolumenti non corrisposti anziché tenere conto di quella più favorevole, contenuta nel contratto di associazione in partecipazione, con ciò disattendendo uno specifico motivo di appello. Il motivo è inconferente rispetto al decisum visto che la Corte fa riferimento alla retribuzione pattuita nel corso del tempo e cioè per gli anni dal 1997 al 2004 e dunque già prima della stipula del contratto di associazione come indicata nei conteggi non contestati. 5. Con il quinto motivo la società denuncia Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc.civ. . Deduce che la Corte territoriale ha errato nel ritenere, con riguardo al quantum dovuto per gli arretrati asseritamente non corrisposti che la prova risulterebbe dalla documentazione prodotta con il ricorso introduttivo costituito, tuttavia, dal solo prospetto redatto dal ricorrente e con riguardo al quantum dovuto a titolo di mancati riposi per lavoro straordinario prestato durante il sabato e la domenica che lo stesso fosse stato determinato sulla base della paga pattuita dalle parti laddove, a monte, era mancata la prova dell'effettuazione da parte del G. di attività lavorativa nei suddetti giorni di sabato e domenica, per almeno quattro mesi all'anno . Il motivo è infondato. Va, sul punto, richiamato l'indirizzo generale consolidato in base al quale la valutazione delle risultanze probatorie, come la scelta, tra queste, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata cfr, ex multis Cass. 9 aprile 2001 n. 5231, id. 15 aprile 2004 n. 7201 7 agosto 2003 n. 11933 5 ottobre 2006 n. 21412 . Del resto, come pure è stato più volte precisato il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360, n. 5, cod. procomma civ., non equivale alla revisione del ragionamento decisorio , ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa si vedano, fra le altre, Cass. 7 giugno 2005 n. 11789, id. 6 marzo 2006 n. 4766 . Orbene, nella fattispecie, la Corte, con motivazione logica ed esaustiva, ha fatto riferimento, quanto all'an degli arretrati, a più di un documento si veda il riferimento ai doccomma 1, 3 e 10 e, quanto all’an dei mancati riposi, agli esiti della compiuta istruttoria testi M. , G. , Ma. . A fronte di ciò, la ricorrente si limita a prospettare la propria lettura delle risultanze di causa invocando una inammissibile revisione del ragionamento decisorio , non sussumibile nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360, n. 5, cod. procomma civ 6. Con il sesto motivo la società ricorrente denuncia Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. procomma civ. . Deduce che erroneamente la Corte territoriale non ha dato ingresso all’aliunde perceptum laddove lo stesso G. in sede di costituzione nel giudizio di appello aveva ammesso di aver prestato altre attività professionali nel corso dell'anno 2004. Anche questo motivo non merita accoglimento. Le argomentazioni della ricorrente non appaiono idonee a scalfire il ragionamento della Corte che ha ritenuto di non dare ingresso ai poteri istruttori d'ufficio escludendo che vi fosse stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possano ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto dei mezzi di prova legittimamente disposti . Peraltro, per come delineata in sede di ricorso in appello, l'eccezione proposta dall'appellante si rivelava come meramente esplorativa e, infatti, non risultavano indicati natura, entità e soggetto erogatore di altri compensi retributivi e/o per prestazioni professionali eventualmente percepiti dal G. . Né precisi elementi in tal senso si ricavano dal riportato contenuto della comparsa di costituzione nel giudizio di appello del G. facendosi nello stesso mero generico riferimento ad alcune attività professionali nei mesi di febbraio e aprile del 2004 e, dunque, prima del licenziamento ed a qualche lavoretto professionale .a partire dal 2004, in tre occasioni e, dunque, dopo il licenziamento rispetto alle quali non viene neppure allegata l'incompatibilità con il perdurare del rapporto di lavoro per cui è causa. 7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. 8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, dovendo farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140. Al riguardo va precisato che l'art. 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, dispone 1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. 2. Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, omissis 3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto . Con Decreto 20 luglio 2012, n. 140, è stato, quindi, emanato il Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi del citato articolo 9. Il Regolamento trova applicazione in difetto di accordo tra le parti in ordine al compenso art. 1 d.m. 140/2012 in riferimento all'art. 9, comma 4, d.l. n. 1/2012, conv. l. 24 marzo 2012 n. 27 . L'art. 41 di tale Decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all'entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012. Il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell'art. 41 citato le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore depone per la soluzione interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell'abrogato sistema tariffario forense. Nel nuovo sistema, che non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, ma esige che la valutazione dell'opera del professionista avvenga per fasi processuali artt. 4 e 11 e secondo parametri specifici art. 11 e tabella A-Avvocati , l'apprezzamento dell'attività difensiva, alla stregua dei criteri di cui al secondo e terzo comma dell'art. 4, non è più correlato al momento in cui l'opera è prestata, ma al momento in cui questa viene valutata dal giudice. Qualsiasi diversa soluzione interpretativa che consentisse l'applicazione del sistema tariffario alle liquidazioni successive all'entrata in vigore del d.m. in esame contrasterebbe non solo con la disposizione regolamentare di cui all'art. 41 citato, ma anche con il dettato normativo di cui al comma terzo dell'art. 9, d.l. n. 1/2012, conv. l. 24 marzo 2012 n. 27, che ha - con chiarezza - escluso l’ultrattività del sistema tariffario oltre la data di entrata in vigore del decreto ministeriale, avvenuta anteriormente alla scadenza del termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione fissato per la transitoria applicazione del sistema tariffario abrogato. Avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa considerati i parametri generali indicati nel menzionato art. 4 del D.M. e non ravvisandosi elementi che giustifichino un discostamento dal valore medio di riferimento indicato per ciascuna delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria nella allegata Tabella A i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di Euro 3.500,00, oltre Euro 40,00 per esborsi. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la società ricorrente al pagamento, il favore della controparte, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.