Ritardo nell’esercizio dell’opzione al sistema contributivo. E il maturato previdenziale?

Com’è noto Cassa Forense, di fronte all’art. 24, comma 24, legge n. 214/2011 anziché optare per il sistema di calcolo contributivo modellandolo secondo la propria specificità come opportunamente ha fatto Inarcassa , ha proposto l’ennesima correzione del sistema retributivo nel solco degli interventi parametrici succedutisi negli ultimi anni, vale a dire attraverso la diminuzione delle prestazioni e l’aumento dei contributi, correzione che sarà approvata dai ministeri vigilanti.

È peraltro scontato, e dovrebbe essere ormai entrato nel patrimonio di tutti coloro che si occupano di questa materia, che con un rapporto patrimonio/debito tra i peggiori nel quadro della previdenza delle professioni e con le prospettive demografiche e reddituali dell’Avvocatura che si vanno giorno dopo giorno aggravando, rimanere pervicacemente avvinghiati al sistema di calcolo retributivo significa dover deliberare ogni due o tre anni interventi di ulteriore diminuzione delle prestazioni e di aumento della contribuzione all’inseguimento di una precarissima sostenibilità attuariale. È stato giustamente osservato come guardando alla storia più recente, negli ultimi sei anni, Cassa Forense ha deliberato due interventi di riduzione delle prestazioni e di aumento dei contributi nel 2006 e nel 2009 e, oggi, nel 2012. Il debito previdenziale quale conseguenza del metodo retributivo. Il problema nel sistema di calcolo retributivo è rappresentato dal debito previdenziale che tale metodo ha prodotto e continua a produrre nel sistema previdenziale forense. Conservando il metodo retributivo, si può ignorare l’enorme debito previdenziale maturato, non inferiore oggi a 25 miliardi si può far finta che il debito non esista per ricordarsene solo in occasione della stesura del bilancio tecnico che costringerà ogni volta Cassa Forense a diminuire le prestazioni e ad aumentare la contribuzione così scaricando il peso e il prezzo della passata generosità sugli iscritti più giovani e sulle future generazioni di avvocati. L’orientamento della Cassazione. La situazione deve poi confrontarsi con la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione nei termini che verremo a delineare, sia pure brevemente. Il 26 ottobre 2012 è stata depositata la sentenza della Sezione lavoro, n. 18479 che ha definito una controversia tra un iscritto e la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali. In tale precedente, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito il proprio precedente orientamento dando contenuto al criterio del pro rata temporis che, nel passaggio rivoluzionario dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo afferma che gli assicurati hanno, non già un mero interesse di fatto al futuro trattamento pensionistico, ma una posizione previdenziale già maturata e che appartiene al patrimonio di ciascun assicurato come diritto al montante complessivo della contribuzione già versata. Ciò non vuol dire, continua la Suprema Corte, che ci sia un diritto quesito alla pensione calcolata secondo un più favorevole criterio previgente – tra quelli in vigore al momento del versamento della contribuzione – rispetto a quello vigente al momento del collocamento in quiescenza ma neppure, al contrario, che l’assicurato abbia solo una mera aspettativa alla pensione, cosicché, quanto ai criteri di calcolo, il legislatore ordinario potrebbe liberamente determinarli nell’esercizio della propria discrezionalità. C’è, continua sempre la Suprema Corte, una soglia minima di trattamento pensionistico corrispondente alla posizione previdenziale maturata via via nel corso della vita lavorativa secondo un criterio sinallagmatico contribuzione versus prestazione l’ammontare della contribuzione fino a un certo momento accumulato dall’assicurato ha un suo valore economico in termini di potenziale rendita vitalizia una sorta di maturato previdenziale che non può essere sterilizzato dal legislatore. Quindi il sistema previdenziale pubblico e privato hanno un’intrinseca soglia minimale di protezione, derivata – e garantita a livello costituzionale – dal criterio di adeguatezza previsto dall’art. 38, comma 2, Cost., e modulata diacronicamente in quanto dipendente dalla variabilità di plurimi parametri che concorrono a definirla primo fra i quali il coefficiente che esprime l’aspettativa di vita ciò che porta a negare validità alla tesi, sostenuta dalla difesa della Cassa, secondo cui l’assicurato avrebbe soltanto una mera aspettativa di fatto a un trattamento pensionistico di anzianità o di vecchiaia. Ecco allora che la giurisprudenza di legittimità dà contenuto al sistema del pro rata temporis riportandovi l’intero maturato previdenziale e poiché il sistema del pro rata rientra nell’ambito di previsione dell’art. 1, comma 2, legge n. 335/1995, secondo cui le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica. Le successive leggi della Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge, se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni , il cerchio è chiuso. Ritardi nell’esercizio dell’opzione al contributivo. Nel caso di Cassa Forense le riforme parametriche, prima o poi, si concluderanno con l’opzione al sistema di calcolo contributivo. L’opzione sarà però molto ritardata nel tempo rispetto alla possibilità operativa già introdotta con la legge n. 335/1995. Siffatto ritardo consacrerà nella figura del maturato previdenziale la quota A della pensione che dovrà comunque sin lì essere liquidata a tutti con il sistema di calcolo retributivo, mentre la quota B dalla rivoluzione in poi opzione al sistema di calcolo contributivo seguirà appunto il sistema di calcolo contributivo. L’impossibilità di incidere, diminuendola, sulla generosità della quota A avrà come effetto immediato l’aumento, fuori controllo, del debito previdenziale maturato con la conseguenza che sarà scaricato tout court sulle generazioni più giovani.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 settembre - 26 ottobre 2012, n. 18479 Presidente Stile – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo n. 629/10, respinge la domanda di P.A. volta ad ottenere la condanna della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali d’ora in poi CNPR alla corresponsione della differenza annua di pensione spettantegli, previa dichiarazione di illegittimità dei criteri di calcolo della pensione introdotti successivamente al 22 giugno 2002. La Corte d’appello di Brescia per quel che qui interessa, precisa che a per effetto della modifica dell’art. 49, comma 2, del regolamento della CNPR, è stato introdotto, per la determinazione del reddito professionale medio da porre a base del calcolo della pensione, il criterio della media di tutti i redditi professionali annuali , in sostituzione del precedente criterio più favorevole e con il limite secondo cui la misura della pensione non poteva essere inferiore all’80% di quella derivante dall’applicazione della precedente disciplina b la giurisprudenza di merito e anche di legittimità ha considerato, non senza contrasti, illegittima tale delibera perchè in contrasto col principio del pro rata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 c in seguito all’entrata in vigore, a partire dal 1 gennaio 2007, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, la situazione è cambiata la nuova norma infatti non prevede più che il pro rata sia un vincolo cogente, ma lo configura come vincolo elastico perchè concorrente con le esigenze di gradualità e di equità tra generazioni d la norma non ha efficacia retroattiva ma opera per il futuro e ciò significa che dal 1 gennaio 2007 l’autonomia regolamentare degli enti non incontra più i limiti che erano previsti dal vecchio testo della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, ma solo quelli nuovi più blandi e gli atti e i provvedimenti adottati dagli enti prima della vigenza della nuova norma restano efficaci e la loro legittimità deve essere valutata sulla base del vecchio testo dell’art. 3, comma 12, cit. f nella presente controversia il nuovo regime è inapplicabile, in quanto il pensionamento si è verificato il 1 giugno 2006 e, quindi, ad esso si applica la vecchia normativa g ne consegue l’accoglimento dell’appello di CNPR, con compensazione delle spese processuali. 2.- Il ricorso di A.P. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi resiste, con controricorso, la CNPR, che propone anche ricorso incidentale per un motivo. Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso principale. 1.- Con il primo motivo si denunciano a violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, per disapplicazione del principio del pro rata alla quota A della pensione di anzianità liquidata al ricorrente con decorrenza 1 giugno 2006 b insufficiente o contraddittoria motivazione sul punto c nullità della sentenza. Si contesta il riferimento della sentenza impugnata alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, entrato in vigore l’anno successivo alla maturazione del diritto a pensione del ricorrente. Si sostiene anche che l’iter argomentativo della sentenza sia contraddittorio e non consenta di individuare la regola di diritto applicata dalla Corte bresciana. 2- Con il secondo motivo si denunciano a violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, sulla inapplicabilità del coefficiente di neutralizzazione b omessa motivazione sul punto c omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Si sostiene che si sarebbe formato il giudicato sul capo della sentenza del Tribunale riguardante la disapplicazione giudiziale del coefficiente di neutralizzazione per tutto il periodo anteriore al 7 giugno 2003, introdotto con la delibera 7 giugno 2003 e applicato dalla Cassa a tutta l’anzianità contributiva pregressa del ricorrente. Conseguentemente la Corte d’appello, dandone atto, avrebbe dovuto riconoscere almeno il diritto del ricorrente ad ottenere la quota A della pensione senza la riduzione conseguente al coefficiente di neutralizzazione indicato, fino al 1 giugno 2003. Se, invece, la Corte territoriale avesse ritenuto il pertinente capo della sentenza di primo grado impugnato dalla Cassa - nell’ambito della generica richiesta di accertamento della legittimità del proprio operato, contenuta nell’atto di appello - allora avrebbe dovuto pronunciarsi al riguardo, salva restando l’illegittimità dell’applicazione, nel caso di specie, del coefficiente citato. 3.- Con il terzo motivo si denunciano a violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, sulla inapplicabilità del sistema contributivo ad un assicurato che era iscritto alla CNPR da oltre 18 anni al momento dell’introduzione del suddetto sistema b omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato c omessa motivazione. Si sostiene che la Corte bresciana non abbia esaminato le argomentazioni contenute nell’appello incidentale del P. sul punto indicato. Si sottolinea anche che, ferma restando l’inapplicabilità del sistema contributivo, comunque nel caso di pensioni miste retributivo-contributive a carico della CNPR, le quote contributive devono essere calcolate includendo nella base di calcolo gli ultimi redditi dichiarati alla Cassa fino all’anno anteriore il pensionamento, mentre la Cassa ha fatto riferimento ai redditi cristallizzati all’epoca del computo delle singole quote. Si contesta, infine, la decisione di compensazione della spese giudiziali che si assume non sorretta da adeguata motivazione e si allega nota spese analitica . II - Sintesi del motivo dei ricorso incidentale. 4.- Con il motivo di ricorso incidentale la CNPR denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, e della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763. Si contesta l’affermazione della Corte bresciana secondo cui la salvezza degli atti e delle deliberazioni delle Casse di previdenza privatizzate contenuta dell’art. 1, comma 763, cit. non significa che sono conformi alla legge, ma solo che non perdono efficacia. Si sostiene che una simile interpretazione a viola il canone dell’interpretazione letterale delle leggi, in quanto attribuisce all’espressione fare salvi il significato proprio della diversa locuzione restano in vigore b rende del tutto inutile la disposizione in oggetto. Oltretutto la suddetta interpretazione si porrebbe in contraddizione con la portata innovativa che la Corte territoriale ha attribuito all’art. 1, 763, cit., affermando che ha introdotto una disciplina diversa rispetto a quella contenuta nella L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12. III - Esame delle censure. 5.- Il ricorso principale - i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente - è da accogliere, per le ragioni di seguito precisate. 6.- Con la delibera del 7 giugno 2003 il Comitato dei delegati ha introdotto, a far tempo dal primo gennaio 2004, il nuovo sistema contributivo, in luogo del precedente sistema retributivo per il calcolo delle pensioni, di talchè, secondo il criterio deliro rata, i professionisti iscritti alla Cassa in data anteriore al primo gennaio 2004 avrebbero ricevuto una pensione articolata in due quote, l’ima sino al 31 dicembre 2003, di carattere retributivo, l’altra dal gennaio 2004, contributiva. Detta delibera non è stata nè è sospettabile di illegittimità, posto che la possibilità di passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo delle pensioni dei liberi professionisti è espressamente contemplata dalla legge vigente al momento della delibera stessa, ossia dalla citata L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che nell’ultima parte prevede che Gli enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge . La presente controversia nasce dalla modifica, disposta con la precedente delibera del 22 giugno 2002, del sistema di calcolo delle pensioni, ovviamente, all’epoca, retributive e, quindi, commisurate ai redditi professionali. Infatti, mentre con il sistema precedente si prendevano a base della pensione i quindici migliori redditi degli ultimi venti anni anteriori alla maturazione del diritto a pensione, con la delibera del 2002 è stato previsto invece che la pensione dovesse essere liquidata in base alla media di tutti i redditi professionali annuali e, con la successiva delibera del 20 dicembre 2003 la base di riferimento del calcolo è stata ulteriormente modificata, ricollegandola alla media degli ultimi 24 redditi professionali . 7- Le questioni sollevate al riguardo sono già state esaminate dalla giurisprudenza di questa Corte vedi, in particolare, Cass. 18 aprile 2011, n. 8847 e altre conformi Cass. 30 luglio 2012, n. 13609 , che le ha risolte in senso contrario a quanto sostenuto dalla Cassa, controricorrente e ricorrente incidentale nel presente giudizio. 8 - Il suindicato nuovo sistema di calcolo determina una diminuzione sull’ammontare delle pensioni rispetto a quello che sarebbe stato il risultato secondo il sistema precedente e, quindi, una minor misura della quota della pensione retributiva, maturata fino al 31 dicembre 2003 di qui la controversia, con la quale sono state chieste le differenze di pensione, sostenendosi che detta quota avrebbe dovuto invece essere mantenuta intatta in base alla regola del pro rata sancita dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che recita per quanto qui interessa Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto D.Lgs., la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dell’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti . Gli enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge . In realtà occorre tener conto del carattere assolutamente speciale dei regolamenti di delegificazione previsti in generale, e disciplinati nella formazione, dalla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite” Corte cost. n. 376 del 2002 tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale, cosicchè la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione pertanto, laddove il legislatore delegante ha inteso assegnare alla fonte subprimaria delegata anche il potere normativo di derogare a specifiche disposizioni collocate al superiore livello primario lo ha previsto espressamente ad es. per i regolamenti di organizzazione degli enti pubblici non economici di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 27, facoltizzati a dettare norme anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano . Ciò non è avvenuto nella presente vicenda. Il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, ha trasformato in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, tra cui la CNPR, nel nuovo contesto profondamente riformato, ha posto alle Casse privatizzate l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale. Per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale ad introdurre norme generali ed astratte”. A tal proposito si è parlato di sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti Cass. 16 novembre 2009, n. 24202 e si è aggiunto anche in deroga a disposizioni di legge precedenti , ma in realtà le suddette disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit. non hanno affatto attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, citato art. 17, comma 2, sicchè ad essi - e, quindi, anche all’emanando Regolamento della CNPR - non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse privatizzate , a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che costituisce il riferimento normativo centrale per l’esito di questa controversia e che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate. Ciò del resto è dimostrato anche dal fatto che, quando è emersa l’opportunità di modificare tale disposizione, vi ha provveduto la legge L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763 e non il Regolamento della Cassa. 9.- La predetta L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, per i sistemi previdenziali delle Casse privatizzate, nel testo originario ha, da una parte, ribadito l’obiettivo dell’equilibrio di bilancio e della stabilità delle rispettive gestioni da realizzare in un arco temporale non inferiore a quindici anni e, dall’altra, ha previsto una sorta di delega, facoltizzando gli enti privatizzati suddetti ad adottare provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico. In particolare, le Casse avrebbero potuto optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della legge stessa. Nel far ciò il legislatore ha tuttavia previsto una garanzia specifica, stabilendo che, nel caso di introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti , avrebbe operato comunque il rispetto del principio deliro rata in relazione alle anzianità già maturate, come disciplinato dall’art. 1, comma 12, della legge stessa. In base a tale disposizione si è stabilito che per i lavoratori iscritti alle forme di assicurazione generale obbligatoria e a quelle sostitutive ed esclusive della stessa, i quali alla data del 31 dicembre 1995 potevano far valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione era - ed è - determinata dalla somma di due quote distinte la quota A di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data la quota B di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo. In altri termini, con tale sistema - del pro rata - una parte della pensione è calcolata secondo il più favorevole previgente criterio retributivo e un’altra parte della pensione è calcolata secondo il nuovo criterio contributivo. In riferimento all’applicazione di tale criterio può dunque in generale considerarsi che gli assicurati hanno, non già un mero interesse di fatto al futuro trattamento pensionistico, ma una posizione previdenziale già maturata e che appartiene al patrimonio di ciascun assicurato come diritto al montante complessivo della contribuzione già versata. Ciò non vuoi dire che ci sia un diritto quesito alla pensione calcolata secondo un più favorevole criterio previgente - tra quelli in vigore al momento del versamento della contribuzione - rispetto a quello vigente al momento del collocamento in quiescenza ma neppure, al contrario, che l’assicurato abbia solo una mera aspettativa alla pensione, cosicchè, quanto ai criteri di calcolo, il legislatore ordinario potrebbe liberamente determinarli nell’esercizio della propria discrezionalità. C’è una soglia minimale di trattamento pensionistico corrispondente alla posizione previdenziale già maturata via via nel corso della vita lavorativa secondo un criterio sinallagmatico contribuzione versus prestazione l’ammontare della contribuzione fino ad un certo momento accumulata dall’assicurato ha un suo valore economico in termini di potenziale rendita vitalizia una sorta di maturato previdenziale che non può essere sterilizzato dal legislatore. Quindi il sistema previdenziale pubblico e privato ha un’intrinseca soglia minimale di protezione, derivata - e garantita a livello costituzionale - dal criterio di adeguatezza prescritto dall’art. 38 Cost., comma 2, e modulata diacronicamente in quanto dipendente dalla variabilità di plurimi parametri che concorrono a definirla primo tra i quali il coefficiente che esprime l’aspettativa di vita ciò che porta a negare validità alla tesi, sostenuta dalla difesa della Cassa, secondo cui l’assicurato avrebbe soltanto una mera aspettativa di fatto ad un trattamento pensionìstico di anzianità o di vecchiaia così, testualmente, Cass. 30 luglio 2012, n. 13607 e n. 13609 nonchè altre coeve cit. . 10.- Nel presente giudizio viene specificamente in rilievo la garanzia dell’art. 3, comma 12, nella versione originaria applicabile nella specie ratione temporis in forza di tale garanzia le Casse erano si facoltizzate a variare le aliquote contributive e a riparametrare i coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma ciò avrebbero potuto fare rispettando il criterio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti conseguentemente la eventuale diversa regolamentazione poi in effetti realizzatasi avrebbe dovuto far salva la quota di trattamento pensionistico relativo all’anzianità contributiva maturata fino alla riforma con lo stesso meccanismo dell’art. 1, comma 12 una quota A calcolata con i previgenti criteri più favorevoli una quota B calcolata con i nuovi meno favorevoli criteri in questo modo era certamente rispettata la soglia minima di garanzia del maturato previdenziale e veniva apprestata una garanzia forte , perchè tutta la quota A sarebbe stata calcolata con i previgenti più favorevoli criteri. Inoltre il criterio del pro rata era sganciato dall’eventuale possibile passaggio dal sistema retributivo e quello contributivo, cosicchè qualsiasi aggiustamento delle aliquote contributive o riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, complessivamente peggiorativo per gli assicurati, si sarebbe associato ex lege a questa garanzia. La garanzia forte testè ricordata sarebbe stata resa meno rigida soltanto con la legge finanziaria 2007 L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763 , ma fino a quella data il potere regolamentare della Cassa si sarebbe dovuto confrontare con tale garanzia del pro rata. Tenuto conto che la pretesa diretta al ricalcolo del trattamento pensionistico fa riferimento alle modifiche intervenute nel 2002-2003, deve rilevarsi che è proprio in tale lasso di tempo che si è avuto il più radicale punto di svolta, perchè si è passati dal sistema contributivo a quello retributivo con l’introduzione di due quote di pensione - A retributiva e B contributiva - in simmetria con la riforma del 1995 v. L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 12, cit. - Più in particolare nella CNPR intervennero tre delibere quella del 22 giugno 2002 per cui si calcolano, al fine della determinazione della quota A di pensione, tutti i redditi professionali annuali quella del 7 giugno 2003 con la quale si introduce, con finalità dissuasiva, il criterio c.d. della neutralizzazione, con coefficienti di riduzione del trattamento pensionistico di anzianità in ragione dell’età anagrafica quella del 20 dicembre 2003 con la quale si calcolano, sempre al fine della determinazione della quota A di pensione, i redditi professionali degli ultimi 24 anni, con una modifica della delibera del 22 giugno 2002 in termini più favorevoli per i pensionati, ma comunque peggiorativi rispetto alla previgente disciplina regolamentare . Quindi la complessiva normativa regolamentare di risulta - per tale intendendosi quella posta dalle tre delibere suddette - prevede pensioni liquidate col criterio interamente retributivo, secondo i criteri previgenti, se maturate in data antecedente al 31 dicembre 2003, mentre, per quelle maturate successivamente, prevede una quota A retributiva , determinata considerando la media dei redditi degli ultimi 24 anni come base di calcolo limitatamente all’anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 2003, e una quota B contributiva per l’anzianità contributiva successiva a tale data prima della modifica regolamentare del 2003 la pensione - come già rilevato - era calcolata con il criterio interamente retributivo non solo, ma anche secondo i parametri più favorevoli del 1997. 11.- Il problema che si pone è dunque stabilire se il principio deliro rata si applichi, o no, anche al criterio di calcolo della quota A retributiva che, nel 2002-2003, è stata regolamentata in termini meno favorevoli per i pensionati e alla risposta affermativa già data dalla giurisprudenza di questa Corte occorre dare continuità per le ragioni già sopra indicate il criterio del pro rata è formulato dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, in termini generali con riferimento alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti della Cassa e quindi il dato testuale della disposizione non autorizza a distinguere tra modifiche peggiorative del criterio retributivo e modifiche peggiorative a seguito dell’applicazione del criterio contributivo. In ogni caso all’anzianità già maturata corrisponde una quota di pensione la quota A non solo calcolata con il criterio retributivo e non già contributivo, ma anche calcolata secondo i previgenti più favorevoli parametri. Si tratta quindi di una complessiva, ma specifica, clausola di non regresso e non già di trattamento di miglior favore - operante dopo la riforma del 1995 legge n. 335 del 1995 . Non occorre quindi - diversamente da quanto sostiene la difesa della Cassa - fare applicazione di ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo a partire dalla L. n. 160 del 1963, poi seguita dalla L. n. 1140 del 1970, quindi dalla L. n. 414 del 1991, e poi dalle delibere del 1997 e da ultimo dalle delibere del 2002-2003. Si ha infatti che il principio del pro rata è stato posto, per le Casse privatizzate, dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e quindi opera solo dall’entrata in vigore di tale legge di riforma ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della quota A e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità. Questa interpretazione ampia del principio del pro rata - non limitata quindi al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo - non solo ha il supporto testuale dell’art. 3, comma 12, citato, ma - come già osservato - risponde ad un’esigenza generale di adeguatezza del trattamento pensionistico ai sensi dell’art. 38 Cost., comma 2, da cui può estrarsi la regola di una insopprimibile soglia minima di trattamento pensionistico corrispondente al maturato previdenziale Il quale non necessariamente coincide con il criterio del pro rata, ma, essendo questo l’unico all’epoca previsto dal legislatore, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 12, cit., che si aggiunge e rafforza il canone dell’interpretazione testuale, conduce a ritenere ampio l’ambito di operatività di tale criterio, applicabile quindi anche alle modifiche in peius dei soli criteri di calcolo della quota retributiva della pensione così, testualmente, Cass. 30 luglio 2012 n. 13609 cit. . 12.- Ne discende che non appaiono condivisibili le argomentazioni della Cassa secondo cui la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, imporrebbe l’applicazione del principio del pro rata solo nei casi di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico e non già nei casi di opzione per il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Il tenore testuale della norma non consente infatti questa interpretazione e, in ogni caso, sarebbe incongruo escludere la regola del pro rata proprio nei casi in cui il mutamento di legislazione è più vistoso e incide maggiormente sui trattamenti pensionistici ed importo, invece, quando le modifiche deliberate potrebbero apportare solo lievi variazioni all’ammontare delle pensioni spettanti. Infatti, è proprio nei casi di rivoluzioni del sistema che sì fa più acuta l’esigenza di salvaguardare i diritti in via di maturazione, evitando di sottoporre l’intera anzianità assicurativa acquisita nel vigore della vecchia normativa ad una normativa nuova, meno favorevole, emanata poco prima del conseguimento del diritto, che, in alcuni casi, opera solo per gli ultimi anni o, addirittura, per gli ultimi mesi. Non è un caso che - come già osservato dalla citata sentenza di questa Corte n. 24202 del 2009 - la più importante fattispecie di pro rata sia stata prevista proprio dalle legge n. 335 del 1995, che ha introdotto, per le pensioni INPS, il mutamento del sistema pensionistico da retributivo a contributivo. D’altra parte anche il sistema del pro rata rientra nell’ambito di previsione della medesima L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 2, secondo cui Le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica. Le successive leggi della Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge, se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni . Poichè il criterio del pro rata era sganciato dal pur prefigurato come possibile passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, qualsiasi aggiustamento delle aliquote contributive o riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, complessivamente peggiorativo per gli assicurati, si sarebbe associato ex lege a questa garanzia. Va quindi condivisa l’affermazione di Cass. n. 24202 del 2009 cit., e della successiva giurisprudenza ad essa conforme, che ha disatteso Cass. 25 giugno 2007, n. 14701, secondo cui il principio del pro rata avrebbe una portata più limitata e non si applicherebbe nel caso di modifiche in pejus per gli assicurati del solo criterio retributivo. Questa limitazione dell’operatività della garanzia suddetta non ha base legale, atteso che l’art. 3, comma 12, riferisce il principio del pro rata all’ introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti quella della Cassa e quindi anche alle sole modifiche peggiorative del criterio retributivo pur più favorevole del criterio contributivo . Ma non solo tale formulazione ampia della garanzia del principio del pro rata non consente la limitazione predicata da Cass., n. 14701 del 2007, ma lascerebbe anche un vuoto normativo, perchè - per le considerazioni sopra svolte in ordine alla rilevanza in termini di situazione giuridica protetta del maturato previdenziale - deve comunque esserci la garanzia di una soglia minima di protezione. La ricordata successione delle deliberazioni assunte sul punto dalla Cassa non inficia tali considerazioni, trattandosi comunque di modificazioni che, seppure in misura diversa, hanno alterato, in pregiudizio dell’avente diritto, l’ammontare della liquidazione del trattamento pensionistico quale risultante dall’applicazione della regola deliro rata. 13.- La L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, legge finanziaria 2007 ha sostituito il primo ed il secondo periodo della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 ribadito l’obiettivo, da perseguire ad opera delle Casse privatizzate, di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle gestioni previdenziali in un arco temporale non inferiore a trenta anni, il legislatore ha facoltizzato gli enti medesimi, sulla base del bilancio tecnico della gestione previdenziale, ad adottare i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni ha poi aggiunto sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge . Deve rilevarsi che non si tratta di norma di interpretazione autentica, non avendone nè la tipica formulazione testuale, nè il contenuto trattasi invece di una norma a carattere innovativo, che, in particolare, sostituisce il principio del pro rata di cui all’originario art. 3, comma 12, nella formulazione della L. n. 335 del 1995, con un principio similare, ma meno rigido non è più previsto il rispetto del principio del pro rata” ma occorre che le Casse privatizzate nell’esercizio del loro potere regolamentare, abbiano presente il principio del pro rata nonchè i criteri di gradualità e di equità fra generazioni tutto ciò a partire dal 1 gennaio 2007. Il legislatore del 2006 ha quindi inteso rendere flessibile il criterio del pro rata ponendolo in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni in questo modo lo spazio di intervento delle Casse è maggiore e le esigenze di riequilibrio della gestione previdenziale potrebbero richiedere un sacrificio maggiore a chi è già assicurato a beneficio dei nuovi assicurati tale sarebbe la rideterminazione della quota retributiva della pensione secondo i criteri delle menzionate delibere del 2002-2003 della Cassa. La questione non è tuttavia da approfondire nel presente giudizio, atteso che nella specie il trattamento pensionistico è maturato prima del 1 gennaio 2007, quando non era ancora operante la modifica della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, è infatti pacifico che il pensionamento del ricorrente è intervenuto con decorrenza dal 1 giugno 2006. La menzionata clausola di salvezza per la precedente normativa regolamentare delle Casse contenuta nella L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, non costituisce validazione ex post della normativa regolamentare della Cassa nella parte in cui non ottemperava all’ampia prescrizione del rispetto del principio del pro rata per l’obiettiva irragionevolezza intrinseca che ne conseguirebbe a parte la violazione dell’affidamento nella stabilità della normativa vigente che ha una valenza particolare nella materia pensionistica per la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione vedi Corte Costituzionale n. 263 del 2009 infatti non potrebbero coesistere - per la contraddizione che non lo consente - due prescrizione opposte da una parte il previsto obbligo per le Casse di tener presente il principio del pro rata nella propria normativa regolamentare futura, ossia successiva al 1 gennaio 2007 dall’altra la pretesa legittimità ex tunc come tale operante fino al nuovo esercizio del potere regolamentare delle Casse di una precedente normativa regolamentare che non avesse ottemperato alla prescrizione del rispetto del principio del pro rata , quale che fosse stato lo scostamento da tale obbligo. Inoltre, anche sotto il profilo letterale, far salvo un provvedimento significa che esso non perde efficacia per effetto della nuova legge, ma non anche che esso sia conforme a legge, di talchè gli atti ed i provvedimenti adottati dagli enti prima della disposizione del 2006 rimangono efficaci e la loro legittimità, per i pensionamenti maturati entro il 2006, come nella specie, deve essere vagliata alla luce del vecchio testo della disposizione in quanto normativa da applicare ratione temporis. Invece la salvezza prevista dalla legge finanziaria del 2006 è funzionale a coprire il periodo successivo all’entrata in vigore di tale legge, allorquando le regole dettate per le delibere erano già state modificate, ma non si era avuto ancora il tempo di adottarne di nuove secondo le prescrizioni del nuovo sistema si tratta in definitiva di una norma transitoria dettata al fine di non paralizzare l’attività degli enti cfr, ex plurimis, Cass. n. 8847 del 2011 cit. . 14.- Neppure rileva, ancora ratione temporis, nel presente giudizio lo jus superveniem costituito dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 24, comma 24, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, art. 1, comma 1, che, nel dettare per le Casse privatizzate ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994, ulteriori prescrizioni per assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche, ha disposto l’estensione alla generalità degli iscritti alle relative gestioni, quanto all’applicazione del pro rata, del sistema contributivo con decorrenza 1 gennaio 2012, secondo quanto previsto dal comma 2 del medesimo art. 24 , in mancanza di diversa disciplina regolamentare delle Casse stesse. III – Conclusioni. 15. - Le considerazioni che precedono portano all’accoglimento del ricorso principale, nei termini, e con assorbimento dei profili di censura non espressamente esaminati e, al contempo, al dell’unico motivo del ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte. Deve quindi essere affermato il principio di diritto secondo cui, in applicazione del criterio del pro rata, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali è tenuta a corrispondere al ricorrente principale la quota retributiva della pensione di anzianità nella misura risultante dall’applicazione della normativa previgente alle modifiche regolamentari adottate con le delibere del 22 giugno 2002, del 7 giugno 2003 e del 20 dicembre 2003 e, perciò, secondo il più favorevole criterio di calcolo della media dei 15 redditi professionali annuali più elevati nell’arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione conseguentemente la Cassa dovrà corrispondere al ricorrente le differenze spettanti sui ratei di pensione già corrisposti, oltre agli interessi legali dalla maturazione di ogni singolo rateo fino al saldo. Avendo il ricorrente principale richiesto la condanna specifica della Cassa al pagamento delle differenze pensionistiche ed essendo quindi necessario l’accertamento fattuale del relativo importo nonchè, quale presupposto necessario, dell’importo complessivo della quota retributiva della pensione di anzianità spettante in applicazione del pro rata , va disposto il rinvio al Giudice designato in dispositivo, che deciderà conformandosi all’indicato principio e provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale e respinge il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.