Se muore il contitolare della pensione, al superstite spettano gli aumenti

di Antimo Di Geronimo

di Antimo Di Geronimo In caso di decesso del contitolare della pensione Inps di reversibilità, al contitolare spetta l'intero importo del trattamento, calcolato a partire dal decesso del dante causa, ivi compresi gli aumenti intervenuti nel tempo a partire da tale data. L'importo va calcolato, infatti, come se il superstite, dal primo momento, fosse stato l'unico titolare. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20104, depositata il 30 settembre scorso. L'antefatto. La Suprema Corte ha rigettato un ricorso presentato dall'Inps, con il quale l'ente previdenziale aveva eccepito che il trattamento andasse calcolato senza tenere conto degli aumenti previsti dall'articolo 4 della legge 140/85, avuto riguardo alla data del decesso del contitolare e non di quella del dante causa, escludendo, così, il diritto agli incrementi retribuitivi maturati in epoca precedente. La pensione va ricalcolata dalla morte del dante causa. Ma la Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la pronuncia della Corte d'Appello, peraltro conforme all'orientamento della S. C. A tal fine, il collegio ha argomentato che alla cessazione del regime di contitolarità tra beneficiari del trattamento di reversibilità, la pensione del titolare residuo deve essere determinata tenendo conto non già di quanto di fatto percepito durante il periodo di contitolarità, ma operando un conteggio virtuale, fin dalla morte del dante causa, al fine di ricostruire la prestazione come se vi fosse stato sempre un unico titolare. Gli aumenti valgono se la pensione godeva dell'integrazione al minimo. Ne consegue che la quota di pensione spettante al contitolare superstite deve essere ricalcolata applicando ad essa tutti gli aumenti e le perequazioni fissati dalle leggi succedutesi nel tempo, tra i quali vanno compresi anche gli aumenti previsti dalla l. n. 140/1985, articolo 4, a prescindere dal fatto che la pensione medesima non godesse della integrazione al minimo durante il regime di contitolarità, essendo necessario accertare se, al momento in cui maturavano i detti aumenti, la pensione stessa, ricalcolata appunto con riguardo alla sua spettanza teorica, fosse o meno passibile di integrazione al minimo. Vale l'accertamento pacifico del giudice di merito. E siccome il giudice di merito aveva accertato sommariamente l'esistenza del diritto all'integrazione e l'Inps non aveva contestato tale accertamento, la Cassazione ha concluso per l'esistenza del diritto agli aumenti previsti dalla legge 140/85. Aumenti da corrispondere in sede di ricalcolo dell'importo di pensione spettante ai superstiti, che vanno computati a far data dalla morte del familiare che ha dato luogo all'insorgenza del diritto alla pensione di reversibilità, previa detrazione dalla pensione originariamente goduta dal dante causa, o al medesimo spettante, della quota del contitolare escluso. Ma l'integrazione deve spettare all'atto del decesso del dante causa. Nulla osta infatti, secondo la Corte, all'applicazione degli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, dal momento che nel ricalcolo, cui si deve procedere necessariamente, si può ben tenere conto degli stessi aumenti, a cui il beneficiario avrà diritto ove la sua quota teorica, e non già quella concretamente erogata in regime di contitolarità, fosse stata integrabile al minimo all'epoca di operatività della medesima L. n. 140 del 1985. Di qui il rigetto del ricorso e la condanna dell'Inps al pagamento delle spese legali.