Pane fresco vs pane surgelato: differenze produttive ed esigenze informative del consumatore

Posto in vendita pane ottenuto dal completamento, previa cottura, di prodotto parzialmente cotto e surgelato senza rispettare le prescrizioni normative sull’etichettatura e confezionamento. Fondamentale operare un collegamento tra la ratio del trattamento differenziato tra pane fresco e pane surgelato e le oggettive differenze del processo produttivo, alle quali occorre collegare l’esigenza del consumatore ad un’informazione precisa e puntuale sul prodotto acquistato.

Così l’ordinanza della Cassazione n. 14712/20, depositata il 10 luglio. Con apposito ricorso una s.r.l. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione con cui era stata contestata la violazione di legge per aver posto in vendita pane ottenuto dal completamento, previa cottura, di prodotto parzialmente cotto e surgelato senza rispettare le prescrizioni normative sull’etichettatura e confezionamento. Il Tribunale rigettava l’opposizione. Anche la Corte d’Appello, adita in secondo grado, rigettava l’impugnazione. Intervenivano così i Giudici di legittimità. Occorre precisare che la Corte territoriale, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, non ha sostenuto che la diversificazione del trattamento tra pane fresco e pane ottenuto da prodotto precotto e surgelato si fonda solo su motivazioni economiche, ma ha operato un collegamento tra la ratio di tale trattamento differenziato e le oggettive differenze del processo produttivo del pane, alle quali ha collegato l’esigenza del consumatore ad un’informazione precisa e puntuale sul prodotto acquistato. Ed inoltre, la diversità di trattamento non comporta limitazioni all’importazione o alla messa in commercio del pane ottenuto dal completamento della cottura di prodotto precotto e surgelato, né alla libertà di iniziativa economica individuale. Tali argomenti, condivisi dai Supremi Giudici, affermano la compatibilità della normativa interna sia ai principi costituzionali sia a quelli comunitari in tema di tutela del consumatore. Non vi è dunque un vizio nella scelta adottata dalla Corte distrettuale di non disporre il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia, non essendoci i presupposti. Il ricorso va quindi rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 12 novembre 2019 – 10 luglio 2020, n. 14712 Presidente Manna – Relatore Oliva Fatti di causa Con ricorso della L. n. 689 del 1981, ex art. 22, Aspiag Service S.r.l. ed A.H. proponevano opposizione innanzi il Tribunale di Udine avverso l’ordinanza, ingiunzione n. 21513 del 16.1.2004, con la quale era stata contestata agli opponenti la violazione della L. n. 580 del 1967, art. 14 e del D.P.R. n. 502 del 1998, art. 1, per aver posto in vendita, all’interno di un esercizio di grande distribuzione aperto al pubblico, pane ottenuto dal completamento, previa cottura, di prodotto parzialmente cotto e surgelato, senza rispettare le prescrizioni normative sull’etichettatura e confezionamento. Gli opponenti eccepivano in particolare l’insussistenza della violazione, alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia E.U., dei principi comunitari e dei criteri costituzionali di pari trattamento tra gli operatori commerciali, dei precedenti del Tribunale di Udine contestavano inoltre l’assenza del profilo soggettivo e la carenza di motivazione circa i termini dell’illecito contestato. Invocavano quindi la declaratoria di nullità o di illegittimità dell’atto impugnato, formulando in via preliminare separate istanze di remissione della questione alla Corte di Giustizia E.U. ed alla Corte costituzionale, sotto i rispettivi profili di compatibilità della normativa nazionale, rispettivamente con i principi e le norme di diritto comunitario sul libero accesso al mercato e sulla parità di trattamento tra gli operatori commerciali, nonché con i criteri di cui agli artt. 3 e 41 Cost., della Repubblica. Si costituiva l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. X del Friuli Centrale resistendo all’opposizione. Con sentenza n. 538/2014 il Tribunale di Udine rigettava l’opposizione confermando l’ordinanza impugnata. Interponevano appello gli odierni ricorrenti e si costituiva in seconda istanza l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. X del Friuli Centrale resistendo al gravame. Con la sentenza oggi impugnata, n. 627/2015, la Corte di Appello di Trieste rigettava l’impugnazione condannando gli appellanti alle spese del grado. Riteneva in particolare la Corte di seconda istanza che la normativa nazionale in materia di etichettatura del pane posto in vendita al dettaglio non violasse sotto alcun profilo i principi comunitari o la libertà di iniziativa commerciale privata, nè costituisse trattamento ingiustamente differenziato tra diversi operatori commerciali, ma fosse piuttosto diretta ad assicurare la piena e consapevole informazione del consumatore circa le caratteristiche, la provenienza e la qualità del prodotto acquistato. Propongono ricorso per lai cassazione di detta decisione Aspiag Service S.r.l. ed A.H. affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso la Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. X del Friuli Centrale. La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale. Ragioni della decisione Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 580 del 1967, art. 14, D.P.R. n. 502 del 1998, art. 1, artt. 3 e 41 Cost., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perché la Corte di Appello non avrebbe rilevato che l’imposizione dell’onere del preconfezionamento soltanto a carico del rivenditore di pane ottenuto mediante completamento della cottura di prodotto parzialmente cotto in precedenza e surgelato, e non anche al rivenditore di pane fresco, costituisce un trattamento irragionevolmente differenziato di situazioni analoghe e si risolve in una ingiusta discriminazione, e limitazione nell’accesso al mercato, per il primo operatore rispetto al secondo. Assumono infatti i ricorrenti che la mera diversità della tecnica di panificazione, rispettivamente del prodotto ottenuto dal completamento della cottura di pane precotto e surgelato, da una parte, e del pane fresco, dall’altra parte, non costituirebbe elemento sufficiente a giustificare il trattamento diversificato dei due prodotti finali, identica essendo l’esigenza di tutela del consumatore. Peraltro, la stessa decisione impugnata darebbe atto, ad avviso dei ricorrenti, che la vera ratio della differenza di trattamento tra i rivenditori di pane fresco e ottenuto dal completamento di prodotto precotto e surgelato risiederebbe nell’esigenza di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione artigianale cfr. pag. 5 della sentenza della Corte di Appello . Infine, i ricorrenti allegano che i documenti prodotti sin dal primo grado del giudizio di merito evidenziavano che il rivenditore aveva provveduto a rispettare la normativa in tema di etichettatura e informazione del consumatore, apponendo tutte le informazioni relative alla tipologia del prodotto sia sugli scaffali destinati alla sua vendita che sulle etichette stampate dalla bilancia in uso alla clientela. La doglianza è infondata. Gli stessi ricorrenti danno atto, nello svolgimento dell’articolata censura in esame, che la Corte territoriale aveva ritenuto non equivalenti le diverse situazioni del rivenditore del pane fresco e del prodotto ottenuto mediante il completamento della cottura di pane precotto, e surgelato. Ed invero a pag. 5 della decisione impugnata si legge, testualmente, che non si rinviene nelle norme contestate alcuna violazione della libertà di iniziativa economica provata, trattandosi di questioni relative alle modalità di vendita di prodotti disomogenei che non determinano limitazioni all’importazione e/o alla messa in commercio degli stessi nè restrizioni alla libertà d’impresa, dovendosi peraltro la stessa contemperare con i generali diritti del consumatore, tali da porsi quale possibile limite di utilità sociale. Sicché, proprio in virtù della diversità di panificazioni e della necessità di consentire al consumatore di conoscere le caratteristiche di ogni tipo al fine di effettuare con libertà una scelta oculata tra diversi tipi di pane, la normativa contestata appare logica e coerente con i principi costituzionali . Il richiamato passaggio motivazionale vale a spiegare la precedente affermazione, richiamata dagli stessi ricorrenti nel corpo della censura in esame, secondo cui il legislatore italiano, al duplice fine di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione tradizionale e, soprattutto, per consentire al consumatore di accedere ad informazioni corrette sulla qualità del pane da acquistare, anche in ossequio a quanto disposto dalla L. n. 146 del 1992, art. 50, ha posto l’accento sulla differenza tra pane fresco , inteso come pane prodotto secondo un processo di produzione unico e continuo nell’arco della giornata, e pane conservato , il cui processo di produzione è connotato da interruzioni finalizzate al congelamento e il cui completamento di cottura è posticipato v. la L. n. 248 del 2006, art. 4 cfr. ancora pag. 5 della decisione impugnata . La corretta lettura delle due affermazioni sopra riportate consente di acclarare che la Corte triestina, a differenza di quanto ritenuto dagli odierni ricorrenti, non ha affatto affermato che la diversificazione del trattamento tra pane fresco e pane ottenuto da prodotto precotto e surgelato si fonda soltanto su motivazioni economiche - in particolare, sull’esigenza di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione artigianale - ma ha operato un diretto collegamento tra la ratio di tale trattamento differenziato e le oggettive differenze del processo produttivo del pane, alle quali ha collegato l’esigenza del consumatore ad una informazione precisa e puntuale sul prodotto acquistato. In altri termini la Corte friulana ha - in modo pienamente condivisibile - ritenuto che una cosa sia l’acquisto di pane ottenuto da un processo produttivo unitario completato in una sola giornata il cosiddetto pane fresco , ed altro sia l’acquisto di pane ottenuto da un processo produttivo che viene interrotto per consentire il surgelamento del prodotto in vista di un posticipato completamento della sua cottura il cosiddetto pane conservato . Il consumatore ha il diritto di ottenere una informazione specifica e precisa circa i due differenti prodotti, onde non può affermarsi che il primo corrisponda al secondo, nè che - per logica conseguenza - sussista una violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 41 Cost., in relazione al trattamento diversificato che la legge prevede, soprattutto in vista della tutela del consumatore, per il prodotto finale derivante dai due diversi processi produttivi. Per completezza va sottolineato che il quadro normativo vigente all’epoca dei fatti l’accertamento è del 17.1.2009 è stato in seguito modificato per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2017, che - abrogando il D.Lgs. n. 109 del 1992 - ha rivisito la normativa in tema di etichettatura e confezionamento degli alimenti destinati al consumo umano. Ne deriva che la soluzione adottata si riferisce al contesto normativo applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 580 del 1967, art. 14, D.P.R. n. 502 del 1998, art. 1, artt. 28 e 30 del Trattato C.E., oggi artt. 34 e 26 del Trattato sul funzionamento dell’U.E., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare un profilo di contrarietà della norma interna applicata al caso concreto rispetto ai principi Eurounitari in tema di libera circolazione e commercializzazione delle merci, accogliendo la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia che era stata riproposta anche in seconde cure con apposito motivo di impugnazione. Ad avviso degli odierni ricorrenti, la Corte triestina si sarebbe limitata e richiamare un passaggio della sentenza della Corte di Giustizia del 18.9.2003 resa in esito al procedimento C-416/2000, nella quale tuttavia era stato affrontato soltanto il profilo attinente alla contrarietà della norma interna rispetto all’art. 30 del Trattato C.E., e non anche rispetto all’art. 28 del medesimo Trattato. La censura è infondata. Come già evidenziato in occasione della disamina del primo motivo, la Corte triestina cfr. pag. 5 della sentenza impugnata ha affermato che i due prodotti di cui si discute - pane fresco e pane ottenuto dal completamento della cottura di prodotto in precedenza cotto e surgelato - non sono analoghi, diverso essendo il rispettivo processo produttivo. Ha quindi configurato un interesse del consumatore ad una corretta e completa informazione circa la tipologia del prodotto acquistato, alla luce della quale ha ritenuto lecito il trattamento diversificato previsto dal legislatore nazionale. Ha inoltre affermato che tale diversità di trattamento non comporta alcuna limitazione all’importazione o alla messa in commercio del pane ottenuto dal completamento della cottura di prodotto precotto e surgelato, nè - in termini generali - alla libertà di iniziativa economica individuale, avendo peraltro cura di precisare che le esigenze di tutela e protezione del consumatore vale comunque come possibile limite di utilità sociale cfr. sempre pag. 5 della sentenza . Tali argomenti, che appaiono pienamente condivisibili, sono stati utilizzati dalla Corte friulana per affermare la compatibilità della normativa interna tanto ai principi costituzionali che alle norme di cui agli artt. 28 e 30 del Trattato C.E., oggi trasfuse negli artt. 34 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’U.E. Di conseguenza, nessun vizio è in concreto ravvisabile nella scelta, operata dal giudice di merito, di non disporre il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia, non ravvisandosene in concreto i presupposti. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perché la Corte di seconda istanza non avrebbe considerato che il Ministero dell’Industria ed il Ministero della Sanità, di concerto tra loro, con apposita circolare n. 129263 emanata il 30.5.1995, avrebbero autorizzato la vendita del pane derivato dal completamento della cottura di prodotto precedentemente cotto e surgelato mediante inserimento in un sacchetto anche al momento della vendita. La censura è infondata. Va innanzitutto ribadita la natura non vincolante della circolare cfr. da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10739 del 25/05/2015, Rv. 635567 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 23960 del 24/11/2015, Rv. 637799 . Inoltre, la relativa censura non risulta dalla sentenza impugnata, nè i ricorrenti indicano in quale momento del processo di merito essa sarebbe stata proposta, con conseguente difetto di specificità del motivo. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano il vizio di motivazione su un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ed al D.P.R. n. 502 del 1998, art. 9, perché la Corte di Appello avrebbe escluso la provenienza comunitaria del prodotto senza fornire alcuna ragione di tale scelta. La doglianza è infondata. Diversamente da quanto ritenuto dai ricorrenti, la Corte friulana ha puntualmente motivato sulla ragione per cui ha ritenuto di escludere la provenienza comunitaria del prodotto in particolare, ha affermato che La documentazione prodotta è composta da bolle di consegna di materiale panificato inviato da ditta estera alla Aspiag Service presso la sua sede di OMISSIS e consegnato alla Stenico Srl in località OMISSIS nulla, dunque, che riconduca e che provi che il prodotto precotto acquistato dalla Aspiag Service che, come affermato in ricorso, opera in diverse regioni e province del Nord Italia con oltre 200 punti vendita diretti e un imprecisato numero di associati sia stato poi consegnato alla sede di Udine e da questa messo in vendita nella data di ispezione cfr. pag. 7 della sentenza impugnata . La censura in esame non supera tale motivazione, poiché i ricorrenti non evidenziano alcun elemento per cui la documentazione esaminata dalla Corte di secondo grado avrebbe dovuto condurre quest’ultima ad una diversa conclusione, nè deducono di aver dimostrato, anche aliunde, l’effettiva provenienza comunitaria del pane precotto e surgelato che l’autorità amministrativa ha accertato esser stato posto in vendita nel, supermercato di Udine al quale si riferisce la contestazione impugnata. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano infine il vizio di motivazione in relazione ad un fatto decisivo, con riferimento della L. n. 689 del 1981, artt. 1-3 e art. 360 c.p.c., n. 5, perché la Corte di merito avrebbe erroneamente addebitato la responsabilità al soggetto apicale della governance della società ricorrente, senza calcolare che si tratta di una società di grande dimensione nella quale non può ragionevolmente presumersi la conoscenza, in capo al legale rappresentante, di tutte le dinamiche afferenti alla gestione dei singoli punti vendita della rete aziendale. La doglianza è inammissibile. Pur dovendosi convenire che, in linea di principio, nelle società di grandi dimensioni si può immaginare una governance articolata su vari livelli, con corrispondente ripartizione tra questi ultimi della responsabilità per le scelte inerenti l’organizzazione e la gestione aziendale, a seconda delle diverse competenze dei funzionari preposti alle singole operazioni o a specifici settori produttivi, era onere dei ricorrenti dimostrare a quale livello di detta governance, ed in ultima analisi a quale soggetto inserito nell’organizzazione aziendale, era nello ascrivibile la responsabilità per il settore della distribuzione e vendita del pane realizzato mediante completamento della cottura di prodotto precotto e surgelato. In difetto di tale prova, cui nel motivo in esame non si fa cenno alcuno, si presume legittimamente la conoscenza, e quindi la responsabilità, del rappresentante legale della società, per effetto del criterio generale di attribuzione della responsabilità incentrato sulla suitas della condotta sanzionata Cass. Sez. U., Sentenza n. 20930 del 30/09/2009, Rv. 610512 . In definitiva, il ricorso va rigettato. In ragione della novità della fattispecie e dell’assenza di precedenti specifici di legittimità, il collegio ritiene opportuno compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.