Distinzione tra contratto preliminare e puntuazioni scritte

In tema di responsabilità precontrattuale, al di là delle puntuazioni fatte per iscritto, che non hanno valore contrattuale ma sono utili per valutare il comportamento tenuto dalle parti in relazione al programma di conduzione delle trattative, oggetto della valutazione del giudice dev’essere il comportamento complessivo tenuto dalle parti, prima della fase precontrattuale, durante le trattative e dopo la loro rottura.

Dal coordinamento dei due principi del iura novit curia e del divieto di del divieto di ultra o extra petizione deriva che il giudice nella qualificazione della domanda non può mutarla, sostituendo la causa petendi con una diversa basandosi su fatti diversi da quelli allegati dalle parti. Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 12017/20, depositata il 22 giugno, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Il giudizio trae origine da una domanda di risarcimento dei danni subiti a causa della mancata stipula di un preliminare di vendita di un bene immobile. Precedentemente le parti avevano sottoscritto una proposta d’acquisto nella quale, l’una, aveva proposto di acquistare l’immobile ad una determinata somma ed aveva versato un deposito che l’altra si era impegnata a restituire qualora impedimenti tecnici avessero precluso la stipula del preliminare le parti si erano impegnate alla stipula del contratto definitivo entro e non oltre un dato termine. La stipula del preliminare era poi saltata perché il venditore aveva sollevato impedimenti tecnici, nonché restituito il deposito. L’altra parte, ritenuto tale rifiuto ingiustificato, aveva proposto domanda risarcitoria. Il Tribunale aveva ritenuto responsabile il convenuto per ingiustificata rottura delle trattative e aveva poi rimesso la causa in istruttoria per l’accertamento del danno . Questi aveva impugnato il provvedimento parziale per errata ricostruzione della volontà delle parti con violazione delle norme ermeneutiche e comunque per inosservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. L’appello era stato rigettato. Il ricorso in cassazione è affidato a tre motivi. Qualificando la domanda, il giudice non può mutarla, sostituendo la causa petendi . Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione delle norme di cui agli artt. 112 e 163 c.p.c. e dunque il fatto che la Corte d’Appello confermando la sentenza di primo grado abbia accertato la responsabilità precontrattuale qualificandola come extracontrattuale sebbene la domanda attorea chiedesse l’accertamento della responsabilità contrattuale. All’uopo è richiamato l’indirizzo giurisprudenziale espresso nella sentenza n. 14909/2002 secondo cui è da considerarsi come questione nuova dunque inammissibile se sollevata per la prima volta in sede di Legittimità, la qualificazione in termini di responsabilità extracontrattuale della domanda originariamente posta di responsabilità contrattuale, avendo le due azioni causa petendi e petitum diversi, riguardando entrambe diritti eterodeterminati, per individuare i quali è necessario fare riferimento a fatti costitutivi che sono differenti tra loro e identificano due diverse entità. Il motivo per la Corte è inammissibile. La questione era stata già sollevata in grado di appello ed era stata scartata i Giudici avevano infatti escluso che il giudice di primo grado avesse violato il divieto di pronuncia ultra petita di cui all’art. 112 c.p.c. , nonché le preclusioni di cui all’art. 163 c.p.c. che impongono la specificazione dei petitum e causa petendi . La sentenza di primo grado aveva correttamente inquadrato la fattispecie e affermato con adeguata motivazione la natura precontrattuale dell’accordo e quindi la correlata responsabilità extracontrattuale del convenuto. Ebbene, spiegano i Giudici di Legittimità, la qualificazione della domanda spetta al giudice del merito, sebbene entro limiti, che nella specie non sono stati superati. Se da un lato il giudice, in virtù del principio iura novit curia ” di cui all’art. 113 c.p.c., può operare una diversa qualificazione giuridica di fatti, rapporti e azione esercitata e ricorrere a norme giuridiche differenti da quelle richiamate dalle parti, al contempo egli non deve travalicare i limiti del divieto di ultra o extra petizione di cui all’art. 112 c.p.c., secondo il quale il giudice non può decidere andando oltre i limiti della domanda e delle eccezioni, mutando i fatti costituivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato . Dunque, dal coordinamento dei due principi, deriva che il giudice nella qualificazione della domanda non può mutarla, sostituendo la causa petendi con una diversa basandosi su fatti diversi da quelli allegati dalle parti. Errore, questo, non compiuto nella fattispecie, ove, osserva la Corte, i giudici hanno effettuato una diversa qualificazione giuridica ma i fatti sono rimasti quelli allegati e provati da parte attorea. La emendatio libelli, cioè la precisazione della domanda, è ammissibile. Inoltre, la resistente ha specificato che nella domanda chiese il risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale o precontrattuale ex art. 1337 c.c. a seconda della fattispecie giuridica in cui si volesse inquadrare la fattispecie ci sarebbe stata dunque, al più, una emendatio libelli, cioè una semplice precisazione della domanda. E, rammenta la Corte, nella sentenza n. 12310/2015 le Sezioni Unite rilevarono che se non muta la sostanza del petitum e della causa petendi non abbiamo una mutatio libelli , ma una emendatio libelli, come tale ammissibile. Concludendo, nella specie, non risultano mutati né il petitum , cioè il bene della vita richiesto, per la sola diversa qualificazione dell’azione, né la causa petendi , essendo rimasti invariati i fatti costituivi della domanda sui fatti costitutivi delle due forme di responsabilità si rinvia alla trattai pone del terzo motivo di ricorso . Non preliminare di preliminare, ma puntuazioni scritte, cioè un programma concordato. Con il secondo motivo si contesta che in violazione delle regole dell’ermeneutica di cui agli artt. 1362 c.c. e conseguente falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., atteso che la condotta illecita descritta da quella norma è stata fatta dipendere dalla interpretazione di quel documento la Corte territoriale si sarebbe limitata alla interpretazione letterale del documento senza realmente ricostruire la comune intenzione delle parti. Il motivo è inammissibile, involvendo valutazioni correttamente eseguite dal giudice di merito. Il motivo richiama innanzitutto la norma che all’art. 1362 c.c. prevede che, nell’interpretare il contratto, il giudice deve valutare il comportamento tenuto dalle parti complessivamente, quindi anche dopo la stipula del contratto. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, l’interpretazione del contratto è valutazione di merito, quindi censurabile in sede di Legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o per vizio di motivazione. Tale indagine, per i giudici, non ha comportato una violazione dei canoni ermeneutici, soprattutto per il dato incontestabile che oggetto di interpretazione nel caso de quo non è era un contratto, ma una dichiarazione di intenti che le parti hanno sottoscritto e scambiato nel corso delle trattative precontrattuali, nell’ambito delle quali ciò che rileva è il comportamento delle parti e non le puntuazioni” scritte, che non hanno un valore contrattuale, ma divengono utili per valutare il comportamento che le parti hanno tenuto rispetto al programma indicato dalle dette puntuazioni. Nella specie, si prosegue, non abbiamo un preliminare di preliminare, si richiama Cass. n. 4628/2015 , il quale costituirebbe vincolo contrattuale, ma una puntazione scritta ” del programma di trattative, ove la questione focale atteneva ad una pratica di condono edilizio dai fatti era emerso che mentre il notaio non aveva ravvisato in tale pratica alcun impedimento tecnico alla stipula, il ricorrente aveva posto tale pratica a fondamento del recesso e poi venduto a terzi l’immobile nella stessa condizione per il giudice di merito, un comportamento non conforme a correttezza verso la resistente, informata del carattere non pregiudizievole dell’impedimento. Responsabilità precontrattuale e onere probatorio. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere probatorio. Qualificata la responsabilità di cui all’art. 1337 c.c. come extracontrattuale, lamenta che la resistente nel giudizio non abbia provato ne chiesto di provare che le dette questioni di carattere tecnico fossero ininfluenti in relazione all’impegno di garantire la perfetta regolarità dell’immobile entro il termini stabilito per la stipula del definitivo. Il motivo è dichiarato inammissibile. Spiega la Corte che esso non centra la ratio decidendi , dal momento che la sentenza impugnata ha considerato che l’attrice ha dato prova del comportamento contrario a buona fede del venditore e del recesso ingiustificato. La Corte territoriale ha rilevato che l’attrice non solo ha dato prova degli elementi costitutivi della fattispecie ex art. 1337 c.c., ma, alla luce della qualificazione operata dal Giudice come di responsabilità extracontrattuale secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale si richiamano da ult. Cass. n. 24738/2019, n. 14888/2016 e n. 16735/2011 , ha dato prova anche dell’elemento soggettivo della colpa, cioè del comportamento contrario a buona fede. Il provvedimento dà conto del fatto che l’istruttoria ha dimostrato che l’impedimento tecnico posto a base del recesso non era nei fatti ostativo alla firma della futura stipula. Così , - si conclude - una volta dimostrata l’assenza di giusta causa nel recesso dalla trattativa, il comportamento di parte convenuta non poteva che inquadrarsi in un mero abuso di libertà contrattuale, come tale contrario a buona fede .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 2 dicembre 2019 – 22 giugno 2020, n. 12107 Presidente Amendola – Relatore Fiecconi Svolgimento del giudizio 1. Con ricorso notificato via Pec l’11/4/2018 avverso la sentenza n. 2259/2018 della Corte di Appello di Firenze, pubblicata il 13/10/2017, il Dott. P.N. chiede la cassazione della sentenza per violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per violazione delle norme relative alla interpretazione del contratto e per violazione dei principi in materia di riparto dell’onere probatorio. Il ricorso è affidato a 3 motivi. Con controricorso notificato il 15/5/2018 resiste l’Arch. G.G. chiedendo il rigetto del ricorso. Il ricorrente ha prodotto memoria. Il Pubblico Ministero concludeva come in atti. 2. Per quanto qui di interesse, il 1/10/2006, l’Arch. G.G. aveva convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Firenze, il Dott. P. chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 193.263,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti a seguito della mancata stipula di un negozio preliminare di vendita con riferimento ad un immobile sito in omissis . Le parti avevano in precedenza sottoscritto una proposta d’acquisto datata 6/12/2005, con la quale la sig.ra G. proponeva di acquistare il predetto immobile al prezzo complessivo di Euro 915.000,00, versando un deposito di Euro 25.000,00, che il Dott. P. si impegnava a restituire nel caso in cui fossero sorti impedimenti tecnici tali da impedire la stipula del preliminare, impegnandosi le parti alla stipula del definitivo entro e non oltre il 31 dicembre 2005 . Era però accaduto che, allorquando le stesse si erano presentate per la stipula del contratto preliminare innanzi al notaio, Dott. R. , il Dott. P. , preso atto della presenza di impedimenti tecnici riferibili alla presenza di una pratica di condono edilizio pendente sull’immobile e di alcune difformità non ancora condonate, rifiutava la sottoscrizione del preliminare e, in seguito, restituiva all’Arch. G. gli assegni ricevuti. L’Arch. G. , ritenendo che il Dott. P. si fosse ingiustificatamente rifiutato di dar corso alla stipula del preliminare e che, quindi, fosse inadempiente rispetto agli impegni assunti, avanzava domanda risarcitoria. La causa veniva istruita a mezzo produzioni documentali e prove orali. Il Tribunale, con sentenza n. 3777 del 5/7/2010, accertava la responsabilità del Dott. P. per ingiustificata rottura delle trattative e rimetteva la causa in istruttoria per l’accertamento del danno effettivamente subito dall’attrice. Il Dott. P. impugnava la sentenza parziale ritenendo che il Giudice di prime cure avesse errato nel ricostruire la volontà delle parti violando le norme di ermeneutica cui l’interprete deve in ogni caso attenersi e, comunque, venendo meno anche all’osservanza del principio della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. 3. La Corte d’appello, investita dell’impugnazione da parte del Dott. P. , respingeva il gravame. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si censura - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 112, 163 c.p.c Il ricorrente lamenta che - confermando la sentenza del giudice di prime cure - la Corte d’Appello abbia accertato la responsabilità precontrattuale configurandola come avente natura extracontrattuale nonostante la domanda attorea fosse tesa all’accertamento della responsabilità contrattuale. Invoca l’indirizzo giurisprudenziale di cui a Cass. 14909/2002 secondo cui Costituisce questione nuova, come tale inammissibile se prospettata per la prima volta in sede di legittimità, la configurazione in termini di responsabilità extracontrattuale dell’originaria domanda di responsabilità contrattuale, avendo le due azioni causa petendi e petitum diversi, giacché entrambe hanno riguardo a diritti cosiddetti eterodeterminati , per l’individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente fra loro ed identificano due diverse entità . 1.1 Il primo motivo è inammissibile. 1.1. Già in appello l’odierno ricorrente aveva dedotto il vizio di extrapetizione in merito al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. In quella sede, la Corte d’Appello aveva ritenuto che il giudice di primo grado non era incorso in una violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 163 c.p.c., non avendo contravvenuto nè al divieto di pronuncia ultra petita, nè alle preclusioni di cui all’art. 163 c.p.c., che impongono all’attore la specificazione di petitum e causa petendi. Il primo giudice - secondo la Corte d’appello - aveva correttamente provveduto in ordine all’inquadramento sistematico della fattispecie e affermato, con ampia ed esaustiva motivazione, la natura precontrattuale dell’accordo in esame, che dà ingresso a una responsabilità extracontrattuale. 1.2 La qualificazione della domanda spetta al giudice di merito, secondo giurisprudenza costante di questa Corte Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30607 del 27/11/2018 Sez. L, Sentenza n. 12943 del 24/7/2012 , seppure con taluni limiti che - nel caso concreto - non sono stati travalicati. L’applicazione del principio iura novit curia , di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio, se posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato , fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti, ai rapporti dedotti in lite e all’azione esercitata in causa. Tuttavia, il coordinamento con il divieto il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., vieta al giudice - nella qualificazione della domanda - di procedere ad un mutamento della stessa, sostituendo la causa petendi dedotta in giudizio, con una differente, basata su fatti diversi da quelli allegati dalle parti. 1.3 Nel caso concreto non si riscontra un vizio di tal genere i fatti necessari per il perfezionamento della fattispecie in tema di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., ritenuto applicabile nonostante la puntuazione scritta in atti prodotta, coincidono con quelli allegati e provati dalla parte attrice in relazione alla responsabilità contrattuale originariamente dedotta dalla parte attrice, poi diversamente qualificata dal giudice di primo grado, in adesione a un indirizzo giurisprudenziale prevalente. La Corte d’Appello, dunque, ha correttamente ritenuto che il primo Giudice - a prescindere dalla qualificazione giuridica della dedotta responsabilità, qui non in contestazione - abbia provveduto a qualificare la domanda nell’esercizio del proprio potere discrezionale, sulla base degli stessi fatti costitutivi e delle stesse ragioni allegate e dedotte a fondamento della domanda. 1.4 In più, la resistente ha eccepito che nella memoria istruttoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, aveva chiesto il risarcimento dei danni cagionati dalla colpevole condotta del convenuto - a titolo di responsabilità contrattuale o precontrattuale ex art. 1337 c.c., a seconda della fattispecie giuridica in cui si voglia inquadrare il caso di specie, all’esito ed alla stregua delle risultanze istruttorie. Pertanto, vi sarebbe stata, al limite, una forma di emendatio libelli, in quanto l’originaria domanda è stata semplicemente oggetto di precisazione. Ed invero, nel 2015 Cass. Sez. U., Sentenza n. 12310 del 15/6/2015 , questa Corte ha sottolineato che se non muta la sostanza del petitum e della causa petendi non potrà parlarsi di mutatio libelli, ma di semplice emendatio libelli, come tale ammissibile. 1.5 In conclusione, quindi, nel caso specifico, non è ravvisabile una variazione del petitum, non risultando mutato il bene della vita per il solo fatto che l’azione è stata riqualificata nell’ambito della azione extracontrattuale, anziché contrattuale, al fine di valutare la lesione dell’affidamento ingenerato nell’attrice da parte convenuta inoltre, è restata ferma anche la causa petendi, perché i fatti costitutivi su cui si basa la domanda attorea - a prescindere dalla natura attribuibile alla responsabilità precontrattuale - sono i medesimi. In merito agli elementi costitutivi delle due forme di responsabilità - contrattuale o extracontrattuale - si veda il successivo punto n. 3, relativo al terzo motivo. 2. Con il secondo motivo si denuncia - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1362 c.c. e segg., con conseguente falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., nell’interpretare le puntuazioni in atti. Il ricorrente deduce che la Corte d’Appello, nella lettura del documento proposta G. , sarebbe incorsa in una violazione delle regole dell’ermeneutica di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., che si sarebbe tradotta in una falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., atteso che la condotta illecita descritta da quella norma è stata fatta dipendere dalla interpretazione di quel documento. Nella specie, la Corte si sarebbe limitata ad una interpretazione letterale del documento e non avrebbe proceduto alla ricostruzione della comune intenzione delle parti. 2.1 Il motivo è inammissibile in quanto palesemente infondato, venendo a incidere su valutazioni di merito correttamente eseguite dal giudice di merito indagando il comportamento tenuto dalle parti, più che il testo delle puntuazioni intervenute in sede di trattative. La censura fa anzitutto riferimento alla violazione dell’art. 1362 c.c., in tema di interpretazione del contratto, secondo il quale la comune intenzione delle parti deve essere valutata sulla base del complessivo comportamento tenuto dalle parti, anche dopo la conclusione del contratto. Ed invero, secondo un consolidato orientamento di questa Corte Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 20294 del 26/7/2019 Sez. 1, Sentenza n. 16181 del 28/6/2017 Sez. L, Sentenza n. 10434 del 8/5/2006 , l’interpretazione del contratto, o comunque di una scrittura privata, è attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o per vizio di motivazione. 2.2 Tale indagine, tuttavia, non risulta essere stata effettuata in violazione dei canoni ermeneutici, soprattutto in riferimento al dato, incontestabile, che in tale caso non si tratta di dovere interpretare un contratto, bensì una dichiarazione di intenti che le parti hanno sottoscritto e si sono scambiate nel corso delle trattative precontrattuali, ove rileva l’esame del comportamento tenuto dalle parti, al di là delle puntuazioni formalmente indicate per iscritto, che non hanno valore contrattuale, ma sono certamente utili per valutare il comportamento tenuto dalle parti in relazione al programma di conduzione delle trattative che è stato concordato. Infatti, nel caso in esame non è stata ravvisata la stipulazione di un preliminare del preliminare Cass. Sez. U, Sentenza n. 4628 del 06/03/2015 , che darebbe luogo a un vincolo contrattuale, bensì una puntuazione scritta del programma di trattativa, ove il nodo da sciogliere era relativo alla presenza di una pratica di condono edilizio in corso. A tal proposito, dunque, il giudice del merito ha correttamente messo in secondo piano il riferimento al dato testuale dell’ impedimento di carattere tecnico , rinvenibile nella scrittura, scrutinando piuttosto i comportamenti tenuti dalle parti prima della fase precontrattuale vera e propria, durante le trattative e successivamente alla loro rottura, ove è emerso che, nonostante il notaio non avesse ravvisato nel condono in corso alcun ostacolo per il passaggio di proprietà dell’immobile, il convenuto aveva poi venduto a terzi l’immobile nella stessa condizione di irregolarità posta a giustificazione del suo recesso, da ciò desumendo un comportamento non conforme a buona fede nei confronti dell’attrice che, in proposito, era stata compiutamente informata del carattere non pregiudizievole di tale impedimento. 3 Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - di norme di diritto con riferimento all’art. 2697 c.c Con tale motivo di gravame il ricorrente, sul presupposto che la responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall’art. 1337 c.c., costituisca una forma di responsabilità extracontrattuale, lamenta che la resistente, nel corso del giudizio, non avrebbe chiesto di provare, nè avrebbe fornito la prova, che le questioni di carattere tecnico risultanti dalla relazione del 20.12.2005 del geometra incaricato fossero irrilevanti rispetto all’obbligo che il venditore avrebbe dovuto assumere entro il 31.12.2005 di garantire la perfetta regolarità dell’immobile, in relazione alla pratica di condono edilizio in corso. 3.1 Il motivo è inammissibile. 3.2 Il motivo non si dimostra idoneo a colpire la ratio decidendi, posto che, in proposito, la Corte di merito ha considerato che l’attrice ha compiutamente allegato e fornito la prova, testimoniale e documentale, del comportamento contrario a buona fede del promittente venditore e del suo recesso ingiustificato dalle trattative. La Corte di merito ha rilevato che l’attrice non si è solo limitata ad allegare e provare i fatti costitutivi della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., ma - in virtù dell’inquadramento in termini di responsabilità extracontrattuale operato dal giudice del merito in conformità a un consolidato orientamento giurisprudenziale v. da ultimo Cass. 2, sentenza n. 24738 del 3/10/2919 Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14188 del 12/07/2016 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16735 del 29/07/2011 - ha dimostrato anche la colpa , ossia il comportamento contrario alla regola di condotta secondo buona fede tenuto dal convenuto, odierno ricorrente. Nella motivazione impugnata si dà quindi sufficientemente conto che dall’istruttoria svolta è emerso che l’impedimento tecnico addotto dal futuro venditore a motivo del suo recesso dalla trattativa non fosse nei fatti ostativo - come dichiarato dal notaio sentito come teste - della futura stipula. Così, una volta dimostrata l’assenza di giusta causa nel recesso dalla trattativa, il comportamento di parte convenuta non poteva che inquadrarsi in un mero abuso di libertà negoziale, in quanto tale contrario a buona fede. 4. Conclusivamente il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore della parte resistente. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7.800,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’tensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .