I limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano se volta ad individuare la reale portata del contratto

Il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, mentre non investe la prova diretta ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti.

Così la Cassazione con ordinanza n. 9952/20 depositata il 27 maggio. Gli attori citavano in giudizio i promittenti venditori esponendo di aver stipulato un contratto preliminare per l’acquisto di un appartamento, di aver versato agli stessi una somma a titolo di acconto e caparra confirmatoria e di essersi determinati all’acquisto perché dello stesso faceva parte una veranda , risultata poi abusiva e per la quale non era stata presentata alcuna istanza di condono. Tale abuso, secondo gli attori rendeva nullo il preliminare di vendita e inadempienti i promittenti venditori , tanto che dichiaravano di volere esercitare la facoltà di recesso ex art. 1385 c.c. . Accolte in primo grado le domande attoree, la Corte d’Appello provvedeva a riformare la decisione di prime cure dichiarando il diritto dei promittenti venditori appellanti di trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra, in quanto dal tenore letterale del contratto preliminare risultava che la vendita riguardava un terrazzino, e non una veranda, e dunque il Tribunale , in forza del divieto di cui all’art. 2722 c.c. , non avrebbe dovuto ammettere la prova per testi diretta a provare circostanze contrarie al contenuto del patto scritto. Avverso tale ultima decisione, gli attori hanno proposto ricorso per cassazione . Secondo la Corte di Cassazione il motivo di ricorso con cui i ricorrenti lamentano la dichiarata inammissibilità della prova per testi da parte della Corte territoriale è fondato . Infatti, costituisce consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui i limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano quando la stessa sia diretta non già a contestare il contenuto di un documento, ma a renderne esplicito il significato in particolare il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’ art. 2722 c.c. , in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, mentre non investe la prova diretta ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti . Nella fattispecie, secondo la Corte, il Tribunale aveva correttamente ritenuto necessario di procedere all’ approfondimento istruttorio testimoniale , dal quale aveva poi tratto il convincimento del peculiare interesse degli acquirenti alla veranda, quale elemento essenziale della formazione del consenso , e del legittimo affidamento dei promissari acquirenti sull’inclusione della stessa nella vendita. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 7 maggio 2019 – 27 maggio 2020, n. 9952 Presidente Campanile – Relatore San Giorgio Fatti di causa 1.- L.P.E. e A.R. convennero in giudizio V.E. , F. , G. , L. , M. , R. , C.C. , D.U. e gli eredi di R.A. , esponendo di aver stipulato un contratto preliminare per l’acquisto di un appartamento in per il prezzo di Euro 113620,00 di aver versato la somma di Euro 20658,28 quale acconto e caparra confirmatoria di essersi determinati all’acquisto perché dello stesso faceva parte una veranda di mq. 27 di aver concluso l’affare con la intermediazione dello Studio Uditore 2 s.a.s. e di aver corrisposto a quest’ultima la somma di Euro 3821,28 quale provvigione di avere accertato, prima della stipula dell’atto pubblico, che la veranda era abusiva e che non era stata presentata alcuna istanza di condono. Ritenendo che l’abuso rendesse nullo il preliminare, e che i promittenti venditori dovessero considerarsi inadempienti, dichiararono di esercitare la facoltà di recesso ex art. 1385 c.c., chiedendo altresì la condanna del mediatore alla restituzione della somma versata a titolo di provvigione. I promittenti venditori convenuti dedussero che la veranda non era oggetto della compravendita,a la quale comprendeva solo il terrazzino senza alcuna struttura, e che gli attori si erano resi inadempienti all’obbligo di stipulare il definitivo, non presentandosi davanti al notaio. Il Tribunale accolse le domande attoree, ritenendo che la veranda fosse inclusa nell’oggetto della promessa di vendita, e che, quindi, l’averne taciuto ai promissari acquirenti la irregolarità giuridica integrasse grave inadempimento, tale da giustificare la risoluzione del contratto o il recesso unilaterale della parte adempiente, e condannò i promittenti venditori al pagamento del doppio della caparra versata e il mediatore alla restituzione della provvigione. 2.-Su gravame dei convenuti la Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 10 dicembre 2014, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda degli appellati e dichiarò il diritto degli appellanti di trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra. Rigettò, invece, l’appello incidentale dello Studio Uditore 2 s.a.s Osservò il giudice di secondo grado che dal tenore letterale del contratto preliminare risultava che la vendita riguardava, oltre i tre vani, il terrazzino di circa mq. 27, e non una veranda, e che il Tribunale, in forza del divieto di cui all’art. 2722 c.c., non avrebbe dovuto ammettere la prova per testi diretta a provare circostanze contrarie al contenuto del patto scritto. I promittenti venditori si erano dichiarati disponibili a smontare la struttura metallica abusiva. Gli appellati invece avevano rappresentato di essersi determinati all’acquisto essenzialmente per usufruire della veranda e di non avere pertanto più interesse all’acquisto, in mancanza della stessa, nonostante non fosse stato nemmeno allegato che i venditori fossero stati messi al corrente di tale interesse. Nè aveva rilievo, secondo la Corte di merito, la generica dizione contenuta nel preliminare, secondo cui l’immobile sarebbe stato trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, trattandosi di mera clausola di stile. L’appello incidentale della Studio Uditore 2 fu rigettato alla stregua del rilievo che il non aver informato i promissari acquirenti della esistenza di una irregolarità urbanistica non sanata configurava inadempimento dell’obbligo, del mediatore, previsto dall’art. 1759 c.c., comma 1, di comunicare alle parti le circostanze a lui note circa la valutazione dell’affare che possano influire sulla conclusione dello stesso. 3.-Per la cassazione di tale sentenza ricorrono il L.P. e la A. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso V.M. e gli altri. Ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2722 e 2729 c.c., nonché degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c Avrebbe errato la Corte di merito nel rilevare la inammissibilità della prova per testi, sulla base della quale il giudice di primo grado aveva deciso la controversia ritenendo che, nonostante il tenore letterale del contratto preliminare - ove si faceva riferimento alla vendita di un appartamento composto da tre vani, cucina, wc, bagno, wc doccia, ripostiglio, saletta, sala, due piccoli disimpegni e terrazzino retrostante alla via OMISSIS esteso circa mq. 27 -, il terrazzino fosse in realtà una veranda. La Corte d’appello aveva sostenuto, in forza del divieto di provare per testi circostanze contrarie al contenuto di un patto scritto, stabilito dall’art. 2722 c.c., la inammissibilità delle prove dirette a dimostrare con riguardo ad un rapporto convenzionale una disciplina pattizia diversa da quella risultante dalla scrittura che lo documenta, in dipendenza dell’allegata stipulazione di verbale di accordi integrativi o contrari in un momento anteriore o contemporaneo a quello di formazione della scrittura. Secondo i ricorrenti, la prova di cui si tratta non era intesa a smentire il contenuto della pattuizione, ma solo a precisarlo, tenuto anche conto della clausola contrattuale secondo la quale l’immobile de quo sarebbe stato trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava. I ricorrenti ravvisano nella decisione impugnata anche la violazione del principio alla stregua del quale il contratto deve essere interpretato secondo buona fede. 2.-La doglianza è meritevole di accoglimento. Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, i limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano quando la stessa sia diretta non già a contestare il contenuto di un documento, ma a renderne esplicito il significato in particolare il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, mentre non investe la prova diretta ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti v., ex aliis, Cass., sent. n. 4601 del 2017 . Nella specie, si poneva con particolare forza il problema di chiarire il contenuto della pattuizione, soprattutto alla luce della clausola, contenuta nel contratto, secondo la quale l’appartamento di cui si tratta sarebbe stato trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trova , clausola che, come rilevano i ricorrenti, evocava modifiche strutturali. E, dunque, correttamente il giudice di prime cure, non essendosi limitato, in ossequio ai criteri ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., all’esame del dato formale risultante dal tenore letterale del contratto, ove si faceva riferimento ad un terrazzino, ma avendo valutato la predetta clausola, e valorizzato il comportamento delle parti, ed in particolare della parte venditrice - che aveva mostrato ai promittenti acquirenti l’appartamento fornito di veranda, senza comunicarne la natura abusiva - ritenne la necessità di procedere all’approfondimento istruttorio testimoniale, dal quale egli trasse il convincimento del peculiare interesse degli acquirenti alla veranda, che si poneva come elemento essenziale della formazione del consenso, e del legittimo affidamento dei promissari acquirenti sulla inclusione nella vendita della veranda, invece risultata caratterizzata da irregolarità urbanistica. La Corte d’appello ha, dunque, errato nell’applicazione delle norme in tema di limiti alla prova testimoniale. 3.- Resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso l’esame del secondo, con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 c.c., in cui è incorsa la Corte di merito facendo scaturire la sua decisione di accoglimento del gravame dalla mancata rivalutazione del quadro probatorio dal quale emergeva l’inadempimento dei venditori. 4.- Concusivamente, deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo - cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio - che la riesaminerà alla luce dei criteri espressi sub 2. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.