Apertura di credito: l’eccezione di prescrizione della banca al lume del riparto dell’onere probatorio

Spetta al correntista provare che il diritto alla restituzione delle somme indebitamente percepite dalla banca non è prescritto e quindi dimostrare l’apertura di credito e la natura ripristinatoria dei versamenti eseguiti sul conto? Oppure spetta alla banca provare il fatto negativo dell’inesistenza dell’apertura di credito e individuare il dies a quo del decorso della prescrizione specificando le rimesse?

Questo tema, ampiamente dibattuto nelle aule di giustizia, è stato affrontato dalla Prima Sezione Civile della Suprema Corte con la sentenza n. 5610/20, depositata il 28 febbraio. Nel solco degli insegnamenti forniti nel tempo dalle Sezioni Unite e muovendo il ragionamento fra onere di allegazione e onere probatorio, la Corte di Legittimità reputa sufficiente, da parte della banca, eccepire il decorso del tempo e far valere la prescrizione dall’annotazione delle singole rimesse senza dunque alcun onere di indicare il dies a quo del decorso della prescrizione, di specificare le singole rimesse, né di provare l’inesistenza di un contratto di apertura di credito. Il caso. Con citazione notificata il 27 aprile 2006 un correntista conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Mantova la propria banca, chiedendone la condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite per aver applicato interessi debitori ultra legali, la capitalizzazione trimestrale e la commissione di massimo scoperto, senza alcuna pattuizione scritta. La Banca chiedeva il rigetto della domanda ed eccepiva l'irripetibilità del pagamento degli interessi in misura ultra legale attesa la prescrizione decennale. Il Tribunale di Mantova, con sentenza del 4 dicembre 2008, ritenuta l'operatività della prescrizione nei limiti del decennio calcolato a ritroso dalla notifica della citazione, accoglieva la domanda attorea con riferimento agli interessi ultra legali e all'anatocismo, escludendo la pattuizione della commissione di massimo scoperto. La Corte d’Appello di Brescia, esperita consulenza tecnica d'ufficio, con sentenza dell’11 maggio 2016, rigettava l'appello del correntista e l'appello incidentale della Banca, rideterminando tuttavia l'importo dell'indebito a favore del primo. Gli eredi del correntista hanno proposto ricorso per cassazione. Apertura di credito come opera l’eccezione di prescrizione della banca. Col primo motivo sostengono i ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe invertito la regola dell’onere probatorio. In breve, non era l’attore a dover provare che il proprio credito non era prescritto, e quindi a dover provare l'apertura di credito e la natura ripristinatoria dei versamenti eseguiti sul conto. All’opposto, per i ricorrenti era la Banca a dover provare la fondatezza della sollevata eccezione di prescrizione. La Corte di Cassazione avvia il discorso richiamando la fondamentale pronuncia n. 24418/10 delle Sezioni Unite ove affermato che qualora, dopo la cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale a cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre, ove i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti ciò in quanto il contratto di conto corrente bancario collega le varie operazioni sostituendo ai pagamenti e alle riscossioni, gli accreditamenti e gli addebitamenti sul conto, attraverso una registrazione contabile continuativa delle diverse operazioni, non attraverso una compensazione, in senso tecnico, come modalità di estinzione delle obbligazioni né attraverso pagamenti in senso tecnico. Sempre ad avviso delle citate Sezioni Unite, per il sorgere del diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, il pagamento deve esistere, con l'esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto il solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto l' accipiens , ed essere ben individuabile. Non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento, che l'attore affermi indebito tale situazione non muta quando la natura indebita sia la conseguenza dell'accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione del quale il pagamento è stato effettuato, poiché sono diverse la domanda volta alla declaratoria di nullità di un atto, che non si prescrive affatto, e quella volta ad ottenere la condanna alla restituzione di ciò che si è pagato, soggetta a prescrizione in dieci anni in base al disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l'apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità, eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli i versamenti effettuati dal correntista durante lo svolgimento del rapporto possono esser considerati pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione ove indebiti , quando abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, e cioè quando siano stati eseguiti su un conto in passivo o scoperto cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento per converso, quando il passivo non ha superato il limite dell'affidamento concesso, i versamenti in conto fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere, rispetto ai quali la prescrizione decennale decorre non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. L’insegnamento delle Sezioni Unite del 2019 in ordine all’eccezione di prescrizione. Ricorda ancora la Corte che, avendo la prescrizione del diritto alla restituzione decorrenza diversa a seconda del tipo di versamento effettuato solutorio o ripristinatorio , si era posta la questione se, nel formulare l'eccezione di prescrizione, la banca dovesse necessariamente indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l'esistenza di singoli versamenti solutori, a partire dai quali l'inerzia del titolare del diritto poteva venire in rilievo cfr. Cass. nn. 4518/14, 20933/17, 28819/17, 17998/18, 18479/18, 33320/18 , o se potesse limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma in concreto applicabile cfr. Cass. nn. 2308/17, 18581/17, 4372/18, 5571/18, 18144/18, 30885/18, 2660/19 . Questo contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalle Sezioni Unite con la recente sentenza n. 15895 del 13 giugno 2019, affermando che, in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte. Onere di allegazione e onere della prova. La questione posta all’esame delle Sezioni Unite nella appena richiamata decisione si incentrava sulla delimitazione dell'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate, nel corso del rapporto di conto corrente che sia assistito da un'apertura di credito. Secondo le Sezioni Unite, l'onere di allegazione del convenuto va distinto a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto, o eccezioni in senso lato nel primo caso, i fatti estintivi, modificativi o impeditivi, possono esser introdotti nel processo solo dalla parte, mentre nel secondo sussiste il potere-dovere di rilievo da parte dell'ufficio pur nella loro indiscutibile connessione, l'onere di allegazione è concettualmente distinto dall'onere della prova, attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum mentre il secondo, attenendo alla verifica della fondatezza della domanda o dell'eccezione, costituisce per il giudice regola di definizione del processo l'aver assolto all'onere di allegazione non significa avere proposto una domanda o un'eccezione fondata, in quanto l'allegazione deve, poi, esser provata dalla parte cui, per legge, incombe il relativo onere, e le risultanze probatorie devono, infine, esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice. Aggiunge la Corte di legittimità che nello specifico tema della prescrizione estintiva, come già affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 10955/2002, il relativo elemento costitutivo è rappresentato dall'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell'effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l'identificazione del diritto e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge la riserva alla parte del potere di sollevare l'eccezione - in senso stretto - implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell'effetto, e non anche di indicare direttamente o indirettamente cioè attraverso specifica menzione della durata dell'inerzia le norme applicabili al caso di specie, l'identificazione delle quali spetta al giudice, che potrà applicare una norma di previsione di un termine diverso. Non spetta alla banca indicare il dies a quo del decorso della prescrizione. Prosegue la Corte di Legittimità il proprio pensiero evidenziando che l'identificazione della fattispecie estintiva cui corrisponde l'eccezione di prescrizione, va correttamente compiuta alla stregua del fatto principale e che tale fatto va individuato nell'inerzia del titolare, mentre il tempo è configurato soltanto come la dimensione del fatto principale, una circostanza ad esso inerente, che non ha valore costitutivo di un corrispondente tipo di prescrizione non esistono tanti tipi di prescrizione in relazione al tempo del suo maturarsi, e correlativamente, con l'indicazione di un termine o di un altro non si formula una nuova eccezione. In linea con i principi in tema di onere di allegazione, in generale, e di onere di allegazione riferito alla specifica eccezione di prescrizione, non è necessaria, ad avviso dei Giudici di Legittimità, l'indicazione, da parte della banca, del dies a quo del decorso della prescrizione l'elemento qualificante dell'eccezione di prescrizione è l'allegazione dell'inerzia del titolare del diritto, che costituisce, appunto, il fatto principale, al quale la legge riconnette l'invocato effetto estintivo. Richiedere al convenuto, ai fini della valutazione di ammissibilità dell'eccezione, che tale inerzia sia particolarmente connotata in riferimento al termine iniziale della stessa individuando e specificando diverse rimesse solutorie comporterebbe l'introduzione indiretta di una nuova tipizzazione delle diverse forme di prescrizione. Puntualizza la Prima Sezione della Corte che il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice deve valutare la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell'onere probatorio. Non spetta alla banca provare l’inesistenza dell’apertura di credito e neppure la natura solutoria delle rimesse. Sulla base di questi criteri orientativi, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione respinge il ricorso affermando che nella fattispecie non era la banca a dover provare il fatto negativo dell’inesistenza di apertura di credito, o la natura solutoria delle rimesse, che invece scaturiva automaticamente dall'assenza di prova di un rapporto di affidamento in conto corrente per converso era sufficiente per la banca eccepire il decorso del tempo e far valere la prescrizione dall'annotazione delle singole rimesse. Qualche recente precedente sull’onere della prova del contratto di apertura di credito. Per la giurisprudenza di merito, App. Lecce, n. 372/19 secondo cui una volta che la banca abbia tempestivamente e ritualmente formulato l’eccezione di prescrizione per decorso del termine decennale del pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito o comunque dimostrare la natura ripristinatoria e non solutoria dei singoli versamenti cfr. Cass. n. 2660/19 27704/18 18144/18 . In senso analogo, Trib. Roma, n. 14338/19, ove statuito che è onere del correntista, oltre a produrre tutta la documentazione contrattuale e contabile relativa al rapporto, provare il fatto impeditivo, che consiste appunto nell’esistenza di un contratto di apertura di credito ovvero comunque in una situazione di apertura credito in via di fatto così che i versamenti possano essere intesi non come pagamenti ma come mero ripristino della disponibilità accordata, con conseguente posticipazione dell’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto e ancora che analogo onere di produzione, in base a conferente allegazione, riguarda il contratto di conto corrente ed il documento di sintesi, contenente le condizioni applicate al rapporto quindi anche in questo caso chi agisce è onerato dalla relativa produzione, in base ai principi generali di cui all’art. 2697 c.c., da applicare anche in materia bancaria e nei rapporti processuali fra banca e correntista non vi sono motivi per ritenere che le controversie in materia bancaria siano sottratte all’applicazione dei generali principi processualistici Trib. Trani, n. 1113/19, secondo cui poiché la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti, essa sussiste sempre in mancanza di un'apertura di credito onde, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata cfr. Cass. civ. Sez. I, 30-10-2018, n. 27705 . Per la giurisprudenza di legittimità, oltre a quella richiamata nella pronuncia annotata, cfr. Cass. n. 2660/19 secondo cui eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 dicembre 2019 – 28 febbraio 2020, n. 5610 Presidente De Chiara – Relatore Scotti Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato il 27/4/2006 C.A. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Mantova la Banca Agricola Mantovana s.p.a., poi Monte dei Paschi di Siena s.p.a., chiedendone la condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite applicando interessi debitori ultra-legali la cui misura non era stata pattuita per iscritto, la capitalizzazione trimestrale e la commissione di massimo scoperto non pattuita. Si è costituita in giudizio la Banca convenuta, chiedendo il rigetto della domanda ed eccependo la decadenza per mancata contestazione degli estratti conto, l’irripetibilità del pagamento degli interessi in misura ultra-legali, quali obbligazioni naturali, la prescrizione decennale. Il Tribunale di Mantova, con sentenza del 4/12/2008, ritenuta l’operatività della prescrizione nei limiti del decennio, calcolato a ritroso dalla notifica dell’atto di citazione, ha accolto la domanda con riferimento agli interessi ultra-legali e all’anatocismo, escludendo la pattuizione della commissione di massimo scoperto, e ha condannato la Banca convenuta a pagare al C. la somma di Euro 16.027,47, oltre interessi e spese. 2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello C.A. , a cui ha resistito la Banca appellata, proponendo appello incidentale. La Corte di appello di Brescia, esperita preliminarmente consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 11/5/2016, ha rigettato l’appello proposto dal C. e l’appello incidentale proposto dalla Banca, rideterminando tuttavia l’importo dell’indebito in Euro 18.322,70, a spese compensate. 3. Avverso la predetta sentenza dell’11/5/2016, notificata in data 13/5/2016, hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi di C.A. , nel frattempo deceduto, ossia la moglie V.E. e i figli C.R. e C.S. , con atto notificato il 23/6/2016, svolgendo due motivi. Con atto notificato il 31/8/2016 ha proposto controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c., comma 2, e all’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca. 1.1. La Corte territoriale, secondo i ricorrenti, aveva invertito la regola dell’onere probatorio quanto agli elementi costitutivi dell’eccezione di prescrizione proposta dalla Banca non era l’attore a dover provare che il proprio credito non era prescritto, e quindi a dover provare l’apertura di credito e la natura ripristinatoria dei versamenti eseguiti sul conto, ed era invece la Banca a dover provare la fondatezza della propria eccezione. Occorreva invece considerare che il rapporto di conto corrente era stato instaurato nel 1990, quando i contratti bancari non necessitavano di forma scritta e potevano essere conclusi anche verbalmente o per fatti concludenti inoltre, pur se il conto versava costantemente in passivo, la Banca non aveva mai intimato il rientro o assunto altre iniziative di revoca, recesso, diffida, segnalazione a sofferenza. 1.2. L’esame del motivo deve prendere le mosse dai principi espressi dalla sentenza n. 24418 del 2/12/2010 delle Sezioni Unite. Con questa pronuncia le Sezioni Unite hanno affermato che qualora, dopo la cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale, a cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre, ove i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti, perché il contratto di conto corrente bancario collega le varie operazioni sostituendo ai pagamenti e alle riscossioni, gli accreditamenti e gli addebitamenti sul conto, attraverso una registrazione contabile continuativa delle diverse operazioni, non attraverso una compensazione, in senso tecnico, come modalità di estinzione delle obbligazioni nè attraverso pagamenti in senso tecnico. Secondo i ricorrenti, non competeva a loro dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito e la natura ripristinatoria delle rimesse e al contrario l’onere probatorio spettava alla Banca di provare i presupposti della sua eccezione di prescrizione, e così, sviluppando logicamente l’argomentazione, l’inesistenza di una apertura di credito e la natura solutoria delle rimesse. Anche prescindendo dal rilievo circa l’accollo della prova di un fatto negativo così propugnato dai ricorrenti, occorre rammentare che la sentenza n. 24418 del 2.12.2010 delle Sezioni Unite aveva precisato che per il sorgere del diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito il pagamento deve esistere, con l’esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto il solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto l’accipiens , ed essere ben individuabile che non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento, che l’attore affermi indebito che tale situazione non muta quando la natura indebita sia la conseguenza dell’accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione del quale il pagamento è stato effettuato, poiché sono diverse la domanda volta alla declaratoria di nullità di un atto, che non si prescrive affatto, e quella volta ad ottenere la condanna alla restituzione di ciò che si è pagato, soggetta a prescrizione in dieci anni che in base al disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l’apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l’intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità, eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli che i versamenti effettuati dal correntista durante lo svolgimento del rapporto possono esser considerati pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione ove indebiti , quando abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, e cioè quando siano stati eseguiti su un conto in passivo o scoperto cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento che per converso, quando il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso, i versamenti in conto fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere, rispetto ai quali la prescrizione decennale decorre non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. 1.3. In seguito alla citata sentenza i problemi interpretativi si erano concentrati sulla modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca, convenuta in ripetizione. Posto che, secondo la sentenza n. 24418 del 2010, la prescrizione del diritto alla restituzione ha decorrenza diversa a seconda del tipo di versamento effettuato - solutorio o ripristinatorio - si era, infatti, posta la questione se, nel formulare l’eccezione di prescrizione, la banca dovesse necessariamente indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l’esistenza di singoli versamenti solutori, a partire dai quali l’inerzia del titolare del diritto poteva venire in rilievo n. 4518 del 2014, n. 20933 e 28819 del 2017 n. 17998 n. 18479 e n. 33320 del 2018 , o se potesse limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma in concreto applicabile n. 2308 n. 18581 del 2017 n. 4372, n. 5571, n. 18144 e n. 30885 del 2018, n. 2660 del 2019 . 1.4. Il contrasto giurisprudenziale delineatosi fra le opposte tesi è stato recentemente risolto dalla predetta sentenza n. 15895 del 13/06/2019 delle Sezioni Unite Rv. 654580 - 01 , affermando, con arresto condiviso dal Collegio e al quale occorre prestar continuità, che in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte. La questione posta all’esame delle Sezioni Unite si incentrava sulla delimitazione dell’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate, nel corso del rapporto di conto corrente che sia assistito da un’apertura di credito. Secondo le Sezioni Unite, l’onere di allegazione del convenuto va distinto a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto, o eccezioni in senso lato nel primo caso, i fatti estintivi, modificativi o impeditivi, possono esser introdotti nel processo solo dalla parte, mentre nel secondo sussiste il potere-dovere di rilievo da parte dell’ufficio pur nella loro indiscutibile connessione, l’onere di allegazione è concettualmente distinto dall’onere della prova, attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum mentre il secondo, attenendo alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione, costituisce per il giudice regola di definizione del processo l’aver assolto all’onere di allegazione non significa avere proposto una domanda o un’eccezione fondata, in quanto l’allegazione deve, poi, esser provata dalla parte cui, per legge, incombe il relativo onere, e le risultanze probatorie devono, infine, esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice. Nello specifico tema della prescrizione estintiva, come già affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 10955 del 2002, il relativo elemento costitutivo è rappresentato dall’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione - in senso stretto - implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, e non anche di indicare direttamente o indirettamente cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al giudice, che potrà applicare una norma di previsione di un termine diverso l’identificazione della fattispecie estintiva cui corrisponde l’eccezione di prescrizione, va correttamente compiuta alla stregua del fatto principale e che tale fatto va individuato nell’inerzia del titolare, mentre il tempo è configurato soltanto come la dimensione del fatto principale, una circostanza ad esso inerente, che non ha valore costitutivo di un corrispondente tipo di prescrizione non esistono tanti tipi di prescrizione in relazione al tempo del suo maturarsi, e correlativamente, con l’indicazione di un termine o di un altro non si formula una nuova eccezione. In linea con i principi in tema di onere di allegazione, in generale, e di onere di allegazione riferito alla specifica eccezione di prescrizione, non è necessaria l’indicazione, da parte della banca, del dies a quo del decorso della prescrizione l’elemento qualificante dell’eccezione di prescrizione è l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto, che costituisce, appunto, il fatto principale, al quale la legge riconnette l’invocato effetto estintivo richiedere al convenuto, ai fini della valutazione di ammissibilità dell’eccezione, che tale inerzia sia particolarmente connotata in riferimento al termine iniziale della stessa individuando e specificando diverse rimesse solutorie comporterebbe l’introduzione indiretta di una nuova tipizzazione delle diverse forme di prescrizione il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice deve valutare la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio. 1.5. Tanto premesso, non era la Banca a dover provare il fatto negativo della inesistenza di apertura di credito, o la natura solutoria delle rimesse, che invece scaturiva automaticamente dall’assenza di prova di un rapporto di affidamento in conto corrente per converso le era sufficiente eccepire il decorso del tempo e far valere la prescrizione dall’annotazione delle singole rimesse. 1.6. I ricorrenti, con la seconda parte del motivo, sostengono che ai fini della prova della stipulazione di un contratto bancario di apertura di credito risalente al 1990 non era necessaria la forma scritta. Effettivamente l’obbligo della forma scritta per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari è stato imposto dalla L. n. 154 del 1992, art. 3 recante norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari , disposizione che ha acquistato efficacia, in virtù di quanto stabilito dall’art. 11, comma 4, della stessa legge centoventi giorni dopo l’entrata in vigore della legge medesima pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24/2/1992 . Prima dell’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, il contratto di apertura di credito veniva considerato un contratto a forma libera, suscettibile di conclusione anche per fatti concludenti Sez.1 24/6/2008 n. 17090 nonché n. 2915 del 1992 e n. 3842 del 1996 . 1.7. La censura è infondata innanzitutto perché i ricorrenti non contrastano l’affermazione della Corte di appello pag.10 della sentenza impugnata che ha escluso che con l’atto di appello, con cui si era limitato ad affermare l’esistenza di una apertura di credito rotativa , il loro dante causa, l’originario attore e appellante C.A. , avesse tempestivamente dedotto gli elementi sulla base dei quali era stata solo successivamente argomentata criticamente negli scritti conclusionali l’esistenza dell’affidamento in conto corrente. In secondo luogo, la Corte territoriale si è basata sulle indagini del Consulente tecnico d’ufficio che aveva escluso di aver rinvenuto tracce del predetto contratto. In terzo luogo, la Corte bresciana ha esaminato e singolarmente valutato tutti gli elementi indiziari addotti da parte ricorrente a sostegno della asserita stipulazione per facta concludentia, escludendone la concludente valenza probatoria con giudizio di merito e accertamento del fatto non sindacabile e in realtà neppur sindacato in questa sede di legittimità. 2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 111 Cost. e art. 101 c.p.c. e dei principi del giusto processo, nonché degli artt. 61, 101 e 191 c.p.c., nonché vizio di ultra-petizione e violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza anche in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4. 2.1. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello aveva violato il principio del contraddittorio perché le questioni relative all’esistenza dell’apertura di credito, al massimale di tale apertura e in definitiva della natura dei versamenti in conto corrente erano state proposte dal Giudice, e non dalla Banca, solo in grado di appello, quando ormai si erano verificate le preclusioni istruttorie e l’attore non era più in grado di difendersi. Per altro verso, la consulenza tecnica disposta aveva finalità esplorative volte a surrogare la controparte dai propri oneri probatori. 2.2. I ricorrenti non affrontano e non confutano la esplicita motivazione sul punto offerta dalla Corte territoriale, peraltro ineccepibile, che a pagina 9, ha efficacemente chiarito che non si era verificata alcuna violazione del principio del contraddittorio e nessuna missione esplorativa poteva essere rimproverata alla disposizione della consulenza tecnica, che, lungi dal favorire la Banca nell’adempimento dei suoi oneri probatori, aveva mirato semmai a ricercare, peraltro senza successo, elementi a favore della tesi attorea dell’esistenza di un rapporto di affidamento in atto sul conto corrente tema questo ben noto, in quanto allegato dalla stessa parte attrice appellante, seppur prospettato in modo estremamente generico. 2.3. I ricorrenti aggiungono che la sentenza, accogliendo l’eccezione di prescrizione sulla base di elementi costitutivi non dedotti dalla parte interessata, aveva violato l’art. 112 c.p.c. incorrendo in vizio di extra-petizione. È sufficiente richiamare al proposito quanto già esposto nel § 1.4. in ordine alla sentenza n. 15895 del 13/06/2019 delle Sezioni unite per escludere la ventilata violazione del principio di corrispondenza e pronunciato, avendo la Banca puntualmente eccepito quanto era a suo carico, ossia il decorso del decennio dalle singole rimesse. 3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 4.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, ove dovuto.