Valido il patto di gestione della lite. Ma se l’assicurato sceglie un altro avvocato?

In presenza di una polizza assicurativa con patto di gestione della lite e previsione del rimborso delle spese legali c.d. di resistenza sostenute dall’assicurato, deve considerarsi valida la clausola contrattuale che escluda il suddetto rimborso laddove l’assicurato decida di non avvalersi della difesa tecnica offerta dalla compagnia assicuratrice.

Così la Suprema Corte con l’ordinanza n. 4202/20, depositata il 19 febbraio. Il caso. Una dentista, convenuta in giudizio per risarcimento danni da responsabilità professionale medica, chiedeva il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al pagamento dei compensi dovuti. Otteneva inoltre la chiamata in causa della propria compagnia assicurativa. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea, condannando la compagnia assicurative a tenere indenne la convenuta delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno. Veniva invece rigettata la domanda della dentista al rimborso, da parte dell’assicurazione, delle spese legali sostenute. La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello. La dentista ha dunque proposto ricorso in Cassazione. Improcedibilità. Il Collegio rileva in primo luogo il mancato deposito da parte della ricorrente, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata di notificazione in violazione dell’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c Manca inoltre qualsiasi documentazione della notifica della sentenza, con la conseguenza che la notifica del ricorso non supera la c.d. prova di resistenza essendo stata effettuata ben oltre il termine di 60 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, con conseguente improcedibilità del ricorso stesso. Clausola contrattuale. La pronuncia in esame rileva comunque l’inammissibilità delle doglianze sollevate. Correttamente la Corte d’Appello ha riconosciuto la validità della clausola contrattuale che esclude l’obbligo dell’assicuratore di rimborsare le spese di resistenza sostenute dall’assicurato nel complessivo contesto delle condizioni generali di contratto, quale patto di gestione della lite a cui la suddetta clausola deve essere ricondotta. La giurisprudenza riconosce infatti pacificamente la compatibilità del patto di gestione della lite con l’art. 1917, comma 3, c.c. il quale pone a carico dell’assicuratore le spese c.d. di resistenza in giudizio sostenute dall’assicurato posto che con esso si realizza comunque la ratio della norma, ovvero tenere indenne l’assicurato dalle spese di resistenza. Conseguentemente, correttamente il Giudice di merito ha ritenuto valida anche la clausola che esclude il rimborso laddove l’assicurato decida di non avvalersi della difesa tecnica offerta dalla compagnia assicurativa, trattandosi di ragionevole corollario di quel patto volto a tutelare il sinallagma contrattuale . Nel caso di specie, è emerso che la ricorrente/assicurata ha deciso di non avvalersi della clausole relativa al patto di gestione della lite scelta in sé legittima e tale da rendere inoperante il diritto al rimborso .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 7 novembre 2019 – 19 febbraio 2020, n. 4202 Presidente Scoditti – Relatore Iannello Rilevato che 1. Convenuta in giudizio per risarcimento danni da responsabilità professionale medica in relazione agli esiti di trattamento ortodontico, G.A.M. , oltre a instare per il rigetto delle domande, chiedeva in via riconvenzionale la condanna degli attori al pagamento dei compensi dovuti e chiedeva inoltre e otteneva di chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice, Levante Assicurazioni S.p.A., per esserne manlevata. L’adito tribunale accolse la domanda principale e rigettò quella riconvenzionale, condannando l’assicurazione chiamata in causa a tenere indenne la convenuta delle somme da questa dovute agli attori a titolo di risarcimento del danno. Rigettò invece la domanda - che unicamente viene in rilievo in questa sede - con cui la G. aveva chiesto la condanna della compagnia assicuratrice anche al rimborso, ai sensi dell’art. 1917 c.c., comma 3, delle spese sostenute per la propria difesa tecnica in giudizio. 2. La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha confermato in toto tale decisione. Quanto in particolare al preteso rimborso delle spese di lite ha osservato testualmente quanto segue sostiene l’appellante che la clausola prevista all’art. 10 delle condizioni generali di assicurazione secondo la quale la società non riconosce spese incontrate dall’Assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati non osti all’applicazione della norma di cui all’art. 1917 c.c., comma 3, da un lato non avendo la compagnia assicuratrice assunto la gestione della pratica a nome dell’assicurato, e d’altro canto trattandosi di norma non specificamente approvata ex art. 1341 c.c., comma 2. Il motivo di impugnazione deve essere rigettato, in ragione della compatibilità tra la clausola di cui all’art. 10 delle condizioni generali di contratto ed il disposto di cui all’art. 1917 c.c., comma 3 in tale contesto la specifica pattuizione secondo la quale La società non riconosce spese incontrate dall’assicurato per legali o tecnici che non siano stati da essa designati costituisce previsione negoziale pienamente valida ed efficace, non in contrasto con il principio di cui all’art. 1917 c.c., comma 3. A tal proposito giova ribadire, richiamando quanto osservato dal primo giudice sul punto, che tale clausola non rientra tra quelle di cui all’art. 1341 c.c., comma 2. Va infine osservato che la condotta dell’assicurato, che decideva di non valersi della clausola di cui all’art. 10 e che agiva poi in via riconvenzionale per fatti esorbitanti dal la copertura assicurativa, è condotta incompatibile con la domanda di rimborso ex art. 1917 c.c., comma 3 . 3. Avverso tale sentenza G.A.M. propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo, cui resiste l’intimata, depositando controricorso. 4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2. Considerato che 1. Con l’unico motivo di ricorso G.A.M. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., art. 1419 c.c., comma 2, artt. 1723, 1914, 1917 e 1932 c.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il motivo si articola sostanzialmente in due distinte censure. 1.1. La prima illustrata in ricorso nel § 1.2 e relativi sottoparagrafi, pagg. 9-12 investe la sentenza nella parte in cui afferma che la specifica pattuizione secondo la quale La società non riconosce spese incontrate dall’assicurato per legali o tecnici che non siano stati da essa designati costituisce previsione negoziale pienamente valida ed efficace, non essendo in contrasto con il principio di cui all’art. 1917 c.c., comma 3, nè essendo riconducibile a quelle per le quali è prevista, a pena di inefficacia, la specifica approvazione per iscritto, ex art. 1341 c.c., comma 2. Sostiene per contro la ricorrente, richiamando a sostegno il precedente di Cass. 17/11/1976, n. 4276, che la predetta clausola, di per sé e isolata dalle altre, si pone in contrasto con la previsione di cui all’art. 1917 c.c., comma 3, ed è pertanto da considerarsi nulla e da questa sostituita di diritto ex art. 1932 c.c., comma 2. Secondo la ricorrente, perché possa affermarsi la validità di detta clausola occorrerebbe previamente accertare se la società abbia o meno esercitato la facoltà di gestire in via esclusiva la lite, posto che solo nel primo caso potrebbe rifiutarsi di rimborsare le spese di lite sostenute direttamente dall’assicurato, non anche nel secondo, nella specie ricorrente, per come specificamente dedotto con il relativo motivo d’appello. Ciò posto rileva che l’avere o meno la compagnia assicuratrice assunto la gestione della lite costituiva fatto decisivo su cui le parti si sono confrontate e che invece la Corte d’appello ha omesso di considerare, donde il dedotto vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. 1.2. La seconda censura illustrata in ricorso nel § 1.3 e relativi sottoparagrafi, pagg. 13-14 attinge invece l’altra affermazione secondo cui la scelta dell’assicurato di agire in via riconvenzionale per fatti esorbitanti dalla copertura assicurativa, costituisce condotta incompatibile con la domanda di rimborso ex art. 1917 c.c., comma 3. Osserva infatti che l’art. 1917 c.c., comma 3, non pone tale limite e che inoltre la diversa tesi accolta in sentenza mostra di confondere l’attività espletata per resistere all’altrui azione che dà diritto al rimborso ex art. 1917 c.c., comma 3 con l’attività posta in essere per promuovere una autonoma azione contro il danneggiato che certamente non rientra nella detta previsione . 2. È pregiudiziale - in quanto attinente alla procedibilità del ricorso - il rilievo del mancato deposito, da parte della ricorrente, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata della notificazione che si afferma essere stata effettuata in data 30/5/2018 , in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Manca invero qualsiasi documentazione anche in copia semplice relativa alla notifica della sentenza. Copia di tale relazione non è stata nemmeno aliunde acquisita. La notifica del ricorso non supera la c.d. prova di resistenza Cass. 10/07/2013, n. 17066 , essendo stata effettuata in data 28/7/2018, ben oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza 24/4/2018 . 3. Può comunque rilevarsi che, ove il ricorso non fosse stato improcedibile, sarebbe andato incontro a declaratoria di inammissibilità. La prima delle suesposte censure è infatti inammissibile, per difetto di specificità, non confrontandosi con l’intero ragionamento giustificativo esposto in sentenza e quindi non cogliendo, di questa, l’effettiva ratio decidendi. 3.1. La validità della clausola contrattuale che esclude l’obbligo per l’assicuratore di rimborsare le spese di resistenza sostenute dall’assicurato è invero affermata in sentenza non già, come infondatamente postulato in ricorso, in ragione di una compatibilità in assoluto della stessa, tout court, isolatamente considerata, con la previsione di cui all’art. 1917 c.c., comma 3, ma ben diversamente sull’assunto che essa va letta nel contesto dell’art. 10 delle condizioni generali di contratto che la stessa ricorrente riferisce prevedere, nella parte iniziale, un patto di gestione della lite . Ad essere legittimo cioè, secondo la Corte d’appello, è non già, tout court, la clausola di esclusione del rimborso delle spese legali in sé e per sé considerata indipendentemente dalle restanti previsioni contrattuali, ma bensì il patto di gestione della lite e, per conseguenza, anche detta clausola in quanto ad esso correlata. La compatibilità del patto di gestione della lite con la previsione di cui all’art. 1917 c.c., comma 3, non è contestata nemmeno dalla ricorrente, la quale invero assume solo che, in presenza di detta previsione contrattuale, occorreva anche verificare che la compagnia avesse poi in concreto effettivamente assunto la gestione della lite. È appena il caso dunque in questa sede di ribadire che un tale patto di gestione della lite non si pone in contrasto con la previsione di cui all’art. 1917 c.c., comma 3 che pone a carico dell’assicuratore le spese c.d. di resistenza in giudizio sostenute dall’assicurato , dal momento che, con esso, si realizza comunque lo scopo voluto dalla norma, che è quello, per l’appunto, di tenere indenne l’assicurato dalle spese di resistenza in giudizio. Mette conto solo osservare che detta valutazione non può non estendersi anche alla clausola in virtù della quale, in presenza di detto patto, il diniego di rimborso da parte dell’assicuratore diviene giustificato ove l’assicurato decida di non avvalersi della difesa offerta direttamente dalla compagnia, trattandosi di ragionevole corollario di quel patto volto a tutelare il sinallagma contrattuale. Anche sul punto, a ben vedere, concorda la ricorrente secondo la quale però in tanto, in concreto, potrebbe affermarsi che l’assicurato si sia posto volontariamente al di fuori della previsione pattizia, esponendosi così al legittimo rifiuto del rimborso, in quanto si accerti che la compagnia ne avesse effettivamente assunto o offerto di assumere la difesa in giudizio. È però proprio sul punto che si coglie la non specificità della censura, dal momento che la ricorrente omette di considerare che un accertamento circa la inoperatività del patto in concreto per scelta dell’assicurato è già in effetti contenuto in sentenza, là dove si afferma, come s’è ricordato, che l’assicurato decideva di non valersi della clausola di cui all’art. 10 pag. 11, quintultimo cpv. . 3.2. Secondo la Corte, dunque, a giustificare il rifiuto della richiesta di rimborso è stata la scelta dello stesso assicurato di non avvalersi di detto patto oltre che quella di agire in via riconvenzionale per fatti esorbitanti dalla copertura assicurativa argomento questo da intendersi come meramente aggiuntivo a quello precedente, alla luce della congiunzione e utilizzata nel medesimo cpv., e che pertanto costituisce mera ulteriore e distinta ratio decidendi . Una tale giustificazione si appalesa conforme ad una corretta ricostruzione del dato normativo, quale fornita dalla giurisprudenza di questa Corte chiaro in tal senso, in motivazione, proprio il precedente richiamato in ricorso di Cass. n. 4279 del 1976 per contro gli argomenti critici svolti dalla ricorrente si rivelano inconferenti dal momento che omettono di cogliere l’esatta portata della regola di giudizio in concreto applicata. È ben vero infatti che, come argomentato in ricorso, a giustificare l’esclusione del rimborso delle spese legali non può bastare la sola astratta previsione, quale accessorio del contratto di assicurazione, del patto di gestione della lite, ma occorre che di tale patto le parti abbiano anche manifestato la volontà di avvalersi e di renderlo concretamente operante con l’assunzione diretta da parte della compagnia della difesa legale dell’assicurato. L’indagine al riguardo però può e deve attingere dal comportamento di ciascuna delle parti contraenti e quindi anche del solo assicurato. Ebbene, come detto, la Corte di merito ha, nella fattispecie, accertato che l’assicurato ha deciso di non avvalersi della clausola di cui all’art. 10 scelta, ripetesi, in sé legittima e tale da rendere inoperante il diritto al rimborso. Trattasi di accertamento di fatto che, benché scarsamente argomentato, non risulta fatto segno di specifica censura sul piano motivazionale peraltro, come noto, ammissibile nei ristretti limiti del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e che rende, come detto, aspecifiche le doglianze svolte poiché, prescindendo da esso, inidonee a inficiare l’effettiva ratio decidendi. Come s’è detto, invero, la ricorrente assume che la Corte avrebbe dovuto, per affermare la legittimità del diniego del rimborso, accertare se la società avesse o meno esercitato la facoltà di gestire in via esclusiva la lite. In realtà, però, tale accertamento è nella specie reso superfluo dall’alternativo e assorbente accertamento della volontà dello stesso assicurato di non avvalersi del patto. 4. Resta assorbito l’esame della seconda censura sopra sintetizzata al § 1.2 della parte motiva della presente ordinanza l’accoglimento dello stesso infatti non renderebbe la sentenza priva di giustificazione, restando questa ancorata all’alternativo e autonomo accertamento di cui sopra s’è detto secondo cui è la stessa assicurata ad avere scelto di non avvalersi del patto di gestione della lite. 5. Il ricorso va in definitiva dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. dichiara improcedibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.