L’estensione della proprietà

Il principio enunciato dall’art. 840 c.c. riconosce che l’acquirente del suolo, qualora il titolo non disponga diversamente, acquisti direttamente la proprietà del sottosuolo, con la conseguenza che ricade sulla parte che assume di avere la proprietà separata del sottosuolo la dimostrazione dell’esistenza del titolo costitutivo del suo diritto.

È quanto si legge nell’ordinanza n. 779/2020 della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata il 16 gennaio. Il caso. A.M. conveniva in giudizio G.B.B. al fine di sentire accertare l’illegittima realizzazione di un vano interrato scoperto durante la ristrutturazione del suo immobile. Suddetto vano, invero, insisteva nel sottosuolo di proprietà di A.M. mentre l’ingresso avveniva attraverso la proprietà del convenuto il quale, costituitosi, eccepiva l’infondatezza della domanda attorea posto che il manufatto esisteva da circa sessant’anni e che egli lo aveva ricevuto in virtù di successione dei genitori e del successivo atto di compravendita del 29.11.1973. Il giudice di prime cure sentenza n. 13/2006 Trib. Napoli rigettava la domanda di A.M. la quale, successivamente, impugnava la pronuncia ed otteneva sentenza favorevole. In particolare, la Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 508/2015 accoglie il gravame di A.M. sulla base del principio di cui all’art. 840 c.p.c. Avverso la pronuncia de qua proponevano ricorso per cassazione G.B., M.C.B. e A.C. sulla base della violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 2697 e 840 c.c. con riferimento all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. La presunzione iuris tantum dell’art. 840 c.c Ai sensi dell’art. 840 c.c. la proprietà del suolo si estende al sottosuolo con tutto ciò che vi si contiene. Pertanto, il proprietario del suolo, salvi i limiti imposti dalla legge, può disporre e godere pienamente del sottosuolo, realizzando qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino . In altri termini, qualora il titolo non disponga diversamente, l’acquirente di un suolo automaticamente acquista altresì la proprietà del sottosuolo. Si tratta di una presunzione iuris tantum, di guisa che essa potrà essere solamente superata o con l’usucapione ovvero con un titolo opponibile al proprietario del suolo. Da quanto detto emerge un’inversione dell’onere della prova laddove un terzo si dichiari proprietario del sottosuolo dovrà essere quest’ultimo, infatti, a dimostrare l’esistenza del titolo costitutivo del suo diritto. In definitiva, la disposizione dell'art. 840 c.c. svolge la funzione di risolvere il conflitto tra soggetti terzi, non legati, cioè, da un vincolo contrattuale, attribuendo la proprietà del sottosuolo, salvi i limiti di ordine pubblico previsti dal comma 1, al soggetto titolare del suolo. Il frazionamento orizzontale o verticale della proprietà. Il frazionamento di una proprietà immobiliare consiste nella divisione in due o più parti di un'unità immobiliare originaria in modo tale da creare due o più di due indipendenti ed autonome fra loro. È ben possibile che tale frazionamento avvenga tra il suolo e il sottosuolo purché di ciò ne sia dato atto nell’atto di compravendita. È ormai infatti pacificamente riconosciuta la possibilità di alienare separatamente, quali due entità autonome dal punto di vista giuridico, il soprasuolo ed il sottosuolo. La rei vindicatio ed onere della prova. Tra le azioni a difesa della proprietà, la rei vindicatio permette, a chi si assume essere proprietario di un bene senza averne il possesso, di agire contro chiunque di fatto ne disponga, in modo tale da conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà. Si tratta di un’azione a carattere reale alla cui base vi è la prova della sussistenza, da parte di chi agisce, del suo diritto di proprietà sul bene attraverso la dimostrazione dell’usucapione, ovvero mediante i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario c.d. probatio diabolica . Nel caso di specie quindi, stante la presunzione di cui all’art. 840 c.c., l’onere della prova incombe su chi assume di essere proprietario separato del sottosuolo. Appare corretto ritenere che suddetta prova debba consistere nella produzione dell’atto di alienazione separata del sottosuolo da parte di colui che, originariamente proprietario sia del soprasuolo che del sottosuolo, abbia trasferito solamente quest’ultimo. Nel caso di specie la Corte non ha ritenuto ravvisabili le condizioni per ritenere il separato trasferimento del sottosuolo dal soprasuolo, affermando altresì la corretta applicazione dell’onere della prova la cui violazione si configura solamente nel caso in cui un giudice attribuisca l’onere probatorio ad una parte diversa da quella su cui avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 maggio 2019 – 16 gennaio 2020, n. 779 Presidente Correnti – Relatore Casadonte Rilevato che - il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato da B.G. , B.M.C. , C.A. nei confronti di M.A. avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli che aveva accolto il gravame proposto dalla M. - il contenzioso fra le parti era insorto con citazione del 2000 con cui la M. aveva convenuto B.G.B. al fine di sentir accertare l’illegittima realizzazione del piccolo vano interrato scoperto nel corso di lavori di ristrutturazione del suo immobile, vano che insisteva nel sottosuolo di sua proprietà mentre l’ingresso avveniva attraverso la proprietà del convenuto - costituendosi il convenuto aveva eccepito l’infondatezza della domanda attorea posto che il manufatto esisteva da almeno sessant’anni allorché proprietario era il suo genitore e che egli lo aveva ricevuto in virtù di successione dei genitori e del successivo atto di compravendita del 29/11/1973 -al termine del giudizio di primo grado, esperita istruttoria e ctu, l’adito tribunale con la sentenza n. 13/2006 respingeva la domanda attorea e compensava le spese di lite - proposto appello principale da parte della M. nonché appello incidentale da parte del B. , la Corte d’appello di Napoli accoglieva l’impugnazione ed ordinava l’immediata rimozione del manufatto con condanna al livellamento del terreno all’esito della rimozione - a sostegno della conclusione la corte napoletana argomentava, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che, sia che la domanda attorea venga qualificata quale azione di rivendica piuttosto che actio negatoria servitutis, non era stata provata dal convenuto la prevalenza del proprio diritto rispetto a quello dell’attrice - ciò in quanto il principio enunciato dall’art. 840 c.c. riconosce che l’acquirente del suolo, qualora il titolo non disponga diversamente, acquista automaticamente la proprietà del sottosuolo, con la conseguenza che ricade sulla parte che assume di avere la proprietà separata del sottosuolo, la dimostrazione dell’esistenza del titolo costitutivo del suo diritto - in altri termini la norma riconosce una presunzione che può essere superata o con l’usucapione in tal caso non dedotta dal convenuto , ovvero con un titolo opponibile al proprietario del suolo - ne consegue che attesa l’operatività della presunzione sancita dall’art. 840 c.c. l’onere probatorio si ribalta rispetto a quanto accade normalmente in tema di rivendica, dovendo colui che invoca la proprietà di ciò che è nel sottosuolo, dimostrare l’esistenza di un valido titolo di provenienza opponibile al proprietario del suolo sovrastante - in tale prospettiva ha evidenziato poi la corte territoriale come non sia sufficiente che il proprio titolo di provenienza menzioni il bene collocato nel suolo sottostante l’altrui proprietà, essendo necessario che il titolo di provenienza dedotto da chi quel diritto invoca, provenga in ogni caso da un comune dante causa, in quanto l’alienazione separata di ciò che è nel sottosuolo può validamente essere compiuta solo da chi sia originariamente pieno proprietario del suolo e del sottosuolo, il quale mediante successivi atti di trasferimento abbia poi trasferito a terzi la titolarità del suolo, ferma la necessità di considerare la priorità della trascrizione -in applicazione del suddetto principio la corte territoriale dava atto che nonostante le indagini compiute dal consulente designato non era stato possibile accertare che nell’atto del 1922, con cui si era proceduto allo scioglimento della comunione ereditaria a seguito della quale si erano avuti i successivi atti di trasferimento, erano ravvisabili le condizioni per ritenere il trasferimento della proprietà del vene sito nel sottosuolo effettivamente opponibile all’attrice - la cassazione della sentenza d’appello è chiesta con ricorso tempestivamente notificato il 28/7/2015 da B.G. , B.M.C. , C.A. quali eredi di B.G.B. ed affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso M.A. . CONSIDERATO che - va preliminarmente rilevato d’ufficio che la sentenza impugnata ed autenticata come allegata al ricorso risulta mancante di alcune pagine - tuttavia, ritiene il collegio di fare applicazione del principio giurisprudenziale secondo il quale la produzione incompleta della sentenza impugnata non è causa di improcedibilità del ricorso laddove, per il principio di idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sancito dall’art. 156 c.p.c., comma 3, sia possibile comunque scrutinare l’impugnazione sulla base della pur incompleta copia prodotta per essere l’oggetto cui la prima si riferisce desumibile dalla parte di sentenza risultante dalla copia cfr. Cass. S. U. n. 19675/2016 - infatti, con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 2697 ed art. 840 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d’appello sostenuto a pag. 11 della sentenza pagina presente nella copia autenticata depositata dai ricorrenti che non si poteva affermare con certezza che il bene per cui è causa sia effettivamente menzionato nel titolo l’atto di divisione del 1922 , dal momento che il consulente d’ufficio già in occasione del primo supplemento di perizia depositato in data 11/3/2013 aveva evidenziato come lo studio dei titoli catastali risultava particolarmente complesso in relazione all’atto del 1922 risalente ad epoca remota e non apparendo chiaro se le indicazioni contenute nello stesso erano effettivamente riferibili al catasto provvisorio terreni o ad un diverso elenco - ad avviso di parte ricorrente il giudice d’appello avrebbe violato la norma sulla ripartizione dell’onere probatorio laddove aveva ritenuto meritevole di accoglimento la domanda attorea, a prescindere dalla sua qualificazione in termini di rivendica ovvero di actio negatoria servitutis, avendo ritenuto che il convenuto non abbia dimostrato la prevalenza del proprio titolo rispetto a quello dell’attrice - il motivo appare infondato - la corte territoriale ha fatto applicazione corretta dell’onere della prova la cui violazione si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni - con particolare riferimento al caso di specie, occorre osservare che il proprietario del suolo ha allegato l’atto del 18/3/1999 costituente il titolo costitutivo del suo diritto nei confronti del possessore del vano collocato nel sottosuolo di sua pertinenza in conseguenza di ciò e dell’operatività dell’art. 840 c.c. la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene - ebbene, a fronte di ciò la corte ha applicato il principio ormai acquisito che consente il frazionamento orizzontale della proprietà cfr. Cass.7655/2004 id.24302/2006 - è infatti ormai pacificamente riconosciuta la validità di una separata alienazione del soprasuolo dal sottosuolo quali entità giuridicamente autonome, nonché la costituzione in via accessoria di diritti di servitù in favore del sottosuolo trasferito all’acquirente e a carico del soprasuolo rimasto all’alienante, al fine della migliore utilizzazione del fondo alienato, scindendosi l’unica proprietà originaria appartenente a un solo soggetto in più proprietà distinte in senso verticale facenti capo a soggetti diversi cfr. Cass.72/1956 27256/2018 - in tal caso però la corte territoriale ha ritenuto di applicare il principio secondo il quale la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo, a norma dell’art. 840 c.c., salvo che in senso contrario disponga il titolo di acquisto di quest’ultimo oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile al proprietario del suolo cfr. Cass. 3989/2001 id. 12983/2002 - in tale contesto appare corretto ritenere che tale prova incomba su chi assume la proprietà separata del sottosuolo cfr. Cass. 3317/1968 così come appare corretto ritenere che l’oggetto della prova sia l’atto di trasferimento separato del sottosuolo proveniente da colui che, mediante successive atti di trasferimento, abbia trasferito a terzi la titolarità del suolo - ebbene, la corretta ripartizione dell’onere probatorio da parte del giudice d’appello, comporta l’inammissibilità in questa sede della censura sollevata dai ricorrenti con specifico riguardo all’apprezzamento di fatto formulato dalla corte territroiale peraltro all’esito di disposta ctu e di relativo supplemento - in relazione alla possibilità di ravvisare nell’atto di divisione del 1922 i presupposti per ritenere il trasferimento della proprietà del bene sito nel sottosuolo effettivamente opponibile all’attrice - atteso l’esito del motivo, il ricorso va respinto - in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.