L’incompatibilità tra la domanda di risoluzione e l’azione di recesso per grave inadempimento

Nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la risoluzione di un contratto preliminare di vendita, la Cassazione torna a ribadire che la domanda di risoluzione contrattuale si differenzia nettamente da quella di recesso per inadempimento ex art. 1385 c.c Non solo, sussiste anche un’incompatibilità di tipo strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento.

Così con ordinanza n. 27262/19 depositata il 24 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza con cui il Tribunale, in accoglimento della domanda proposta dagli attori, aveva dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di vendita per grave inadempimento della promissaria acquirente società, e stabiliva il loro diritto a trattenere la caparra versata. La società ricorre per cassazione censurando la decisione dei Giudici di merito laddove, nel confermare la risoluzione del contratto, hanno contestualmente riconosciuto il diritto dei resistenti a trattenere la caparra, senza tener conto del rapporto di incompatibilità tra la domanda di risoluzione e quella volta a far dichiarare la legittimità del recesso ex art. 1385 c.c Azione di recesso per grave inadempimento ex art. 1385 c.c La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso immeritevole di accoglimento, afferma che la ricorrente non ha provveduto ad illustrare le ragioni per le quali doveva ritenersi proposta l’azione ordinaria di risoluzione per inadempimento anziché domanda di accertamento della legittimità del recesso. Tutt’al più se si considera che dalla trascrizione della citazione si comprende come i resistenti avevano chiaramente inteso esercitare il recesso per grave inadempimento, chiedendo di trattenere la caparra, e ciò bastava per ritenere proposta l’azione di cui all’art. 1385 c.c. Ciò nonostante, gli Ermellini ritengono opportuno ribadire che la domanda di risoluzione contrattuale si differenzia nettamente da quella di recesso per inadempimento e che sussiste un’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento . Tuttavia, nel caso di specie, in virtù della natura dell’azione esercitata, il fatto che il Tribunale avesse dichiarato impropriamente la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. è del tutto irrilevante, in quanto i resistenti, una volta accertato l’inadempimento della società, avevano comunque titolo a trattenere gli importi percepiti sulla base dei fatti allegati e del petitum introdotto. Per tutti questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 23 maggio – 24 ottobre 2019, n. 27262 Presidente D’Ascola – Relatore Fortunato Fatti di causa Il Tribunale di Termini Imerese ha accolto la domanda proposta dai germani L. ed ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di vendita stipulato in data 15.12.2006 avente ad oggetto un immobile sito in Cefalù alla omissis , per grave inadempimento della Edil s.r.l., stabilendo che gli attori avevano diritto a trattenere la caparra versata dalla promissaria acquirente. La sentenza è stata confermata in appello. Per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, il giudice di secondo grado ha escluso che il tribunale avesse erroneamente pronunciato la risoluzione per inadempimento e contestualmente dichiarato che i L. avevano diritto a trattenere la caparra, sostenendo che il recesso ex art. 1385 c.c. configura una evidente forma di risoluzione del contratto collegata alla pattuizione e costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti l’inadempimento della controparte che le conseguenze caducazione ex tunc degli effetti del contratto . Ha concluso che il recesso dei germani L. , quale parte non inadempiente, identifica, in definitiva, una ipotesi di risoluzione di diritto da affiancare, piuttosto che da contrapporre, a quelle di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., mediante una modalità ulteriore di risoluzione, destinata ad operare indipendentemente dall’esistenza di un termine essenziale o di una diffida ad adempiere . La cassazione della sentenza è chiesta da Società Edil s.r.l. sulla base di un unico motivo di ricorso. L.F. , L.C. e L.A. hanno depositato controricorso. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1385, 2033 e 1458 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza confermato la pronuncia di risoluzione del contratto, riconoscendo contestualmente il diritto dei resistenti a trattenere la caparra, senza tener conto del rapporto di incompatibilità che intercorre tra la domanda di risoluzione e quella volta a far dichiarare la legittimità del recesso ex art. 1385 c.c Per contro, una volta pronunciata la risoluzione, i promittenti venditori dovevano esser condannati a restituire la caparra, potendo richiedere ed ottenere il solo risarcimento del danno, ove allegato e provato nel suo preciso ammontare. Il ricorso non merita accoglimento. La censura appare minata da un evidente difetto di specificità, poiché il ricorso non illustra le ragioni per le quali doveva ritenersi che i resistenti avessero proposto un’azione ordinaria di risoluzione per inadempimento anziché la domanda di accertamento della legittimità del recesso ex art. 1385 c.c . Inoltre, dalla trascrizione del contenuto della citazione contenuta nel controricorso cfr. pagg. 8-9 emerge che i germani L. , avevano chiaramente inteso esercitare il recesso per grave inadempimento della società acquirente ed avevano chiesto di trattenere la caparra, il che era sufficiente per ritenere proposta l’azione ex art. 1385 c.c., considerato che tale domanda, anche ove non espressamente formulata, poteva ritenersi egualmente avanzata in causa già in base alla sola richiesta di poter trattenere detta caparra quale unica sanzione risarcitoria del dedotto inadempimento Cass. 22657/2017 Cass. 2032/1994 . In definitiva, pur dovendo ribadirsi che la domanda di risoluzione contrattuale si differenzia nettamente da quella di recesso per inadempimento e che sussiste un’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento Cass. s.u. 553/2009 , nello specifico era però irrilevante, stante la natura dell’azione esercitata, che il tribunale avesse impropriamente dichiarato la risoluzione per inadempimento ai sensi degli artt. 1453 c.c. e ss., in luogo di limitarsi a pronunciare la legittimità del recesso o che i due rimedi siano stati ritenuti complementari, invece che alternativi dalla Corte d’appello Cass. 18850/2004 Cass. 9091/2004 , avendo i resistenti comunque titolo a trattenere gli importi percepiti sulla base dei fatti allegati e del petitum introdotto, una volta accertata la gravità dell’inadempimento imputabile alla Edil s.r.l Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%. Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.