Mutuo e usura: finalmente un po' di chiarezza dalla Corte Suprema di Cassazione

Cosa si intende per cumulo degli interessi corrispettivi e moratori? Come si calcola il tasso soglia di mora? Quale rimedio si applica in presenza di usura? A cosa serve e come funziona la clausola di salvaguardia?

Quattro cruciali interrogativi per le sorti del contenzioso bancario ai quali la Corte di Cassazione, con sentenza n. 26286/19 del 17 ottobre, risponde con precisione e chiarezza, enunciandone i principi di diritto. Il caso. Un mutuatario chiedeva al Tribunale di Monza che fosse accertata e dichiarata la natura usuraria delle clausole di pattuizione degli interessi contenute nel contratto di mutuo, con conseguente restituzione, da parte della banca, degli importi indebitamente versati a tale titolo. Il Tribunale rigettava le domande attoree. In particolare, ravvisava l'assenza di prova di usurarietà sia dell'interesse corrispettivo, sia di quello moratorio, escludendo che, ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia , i due tassi dovessero cumularsi, essendo invece destinati ad essere applicati solo in via alternativa. Rilevava, inoltre, che l'interesse di mora era rimasto automaticamente al di sotto del tasso soglia, poiché nel contratto di mutuo era inserita una clausola di salvaguardia. La Corte di Appello di Milano dichiarava inammissibile il gravame del mutuatario il quale proponeva ricorso per cassazione articolando un unico motivo. Gli interessi corrispettivi e gli interessi di mora natura e funzione. La Corte, ribadita anzitutto la diversità di causa e di funzione tra interesse corrispettivo ed interesse moratorio, spiega che A il primo costituisce la remunerazione concordata per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta B il secondo rappresenta, invece, il danno conseguente l'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria. Il cumulo” degli interessi corrispettivi e di mora è un falso problema. Ciò chiarito, spiega ulteriormente la Corte che in materia di rapporti bancari, può discutersi di cumulo degli interessi corrispettivi con quelli moratori convenzionali in due accezioni differenti. Il tasso moratorio ottenuto da quello corrispettivo maggiorato di uno spread. La prima accezione dipende dalla tecnica di redazione dei contratti bancari. Sovente, infatti, tali contratti prevedono che il tasso degli interessi moratori si ottenga sommando uno spread, ossia un incremento di percentuale, al saggio degli interessi corrispettivi. Questa prassi contrattuale, puntualizza la Corte, nasce da un'esigenza pratica, ossia quella di adattare il tasso degli interessi moratori alla complessità dei criteri di calcolo e all'andamento del saggio degli interessi corrispettivi, in modo da evitare che quelli di mora risultino inferiori. Infatti, se di regola lo spread connesso al passaggio del rapporto a sofferenza è rappresentato da un semplice valore numerico, la base di calcolo - ossia il saggio che era dovuto a titolo corrispettivo in costanza di rapporto - si determina invece mediante formule matematiche, talvolta anche complesse, specialmente nei rapporti a tasso variabile. Conclude la Corte che, in questa prima accezione, quando il tasso degli interessi moratori contrattualmente è determinato maggiorando il saggio degli interessi corrispettivi di un certo numero di punti percentuale, solo impropriamente è possibile parlare di cumulo . Posto che non si tratta della contemporanea percezione di due diverse specie di interessi. La banca percepisce soltanto gli interessi moratori, il cui tasso è, però, determinato tramite la sommatoria innanzi descritta. Quindi, è al valore complessivo e non ai soli punti percentuali aggiuntivi che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso di interesse moratorio effettivamente applicato e percepito. Il tasso moratorio nei rapporti ad incaglio. La Corte passa poi ad illustrare la seconda accezione nella quale si pone un problema di cumulo di interessi corrispettivi e moratori. Nei rapporti bancari, soprattutto nei mutui con rata di ammortamento, si suole distinguere - secondo il gergo bancario - la fase dell’incaglio, in cui i pagamenti del cliente divengono problematici, ma la situazione non si è deteriorata a tal punto da dover formulare un giudizio prognostico negativo circa le sue capacità di ripianare la propria esposizione debitoria, dal passaggio a sofferenza, che si verifica nel momento in cui la banca, esercitando il potere di recesso unilaterale attribuitole dal contratto, determina la chiusura del rapporto, con il conseguente obbligo per il cliente di restituire tutte le somme mutuate e non ancora corrisposte, con decadenza dal beneficio del termine. Precisa la Corte che nella fase di incaglio è frequente che intervengano solleciti di pagamento non accompagnati dall'esercizio del diritto di recesso. Questi, pur non determinando la chiusura del rapporto, sono efficaci nel costituire in mora il debitore e, quindi, comportano il decorso degli interessi moratori. Ciò che accade in concreto è dunque che il cliente, dal giorno in cui diviene moroso, è tenuto a corrispondere anche lo spread che costituisce la maggiorazione convenzionale degli interessi moratori. Ora, se il rapporto fosse definitivamente chiuso se la banca avesse cioè esercitato il potere di recesso unilaterale , non vi sarebbe nessuna incertezza nel qualificare l'intero interesse percepito come avente natura moratoria. Nella misura in cui, invece, il rapporto è ancora aperto , vi è la sensazione, osserva la Corte, che il cliente continui a corrispondere l'interesse corrispettivo quale remunerazione per il godimento del denaro ed inoltre l'interesse moratorio per il ritardato adempimento. In questa prospettiva, l'interesse di mora costituito dal solo spread sembra cumularsi con l'interesse corrispettivo, conservando ciascuno dei due la propria individualità, funzione giuridica e autonomia causale. A chi ravvisa, in questa evenienza, un vero e proprio cumulo si deve però controbattere, argomenta la Corte, che l'art. 1224 c.c. prevede espressamente che dal giorno della mora sono dovuti gli interessi moratori nella stessa misura degli interessi previsti prima della mora , ossia a titolo corrispettivo. Ne deriva, dunque, che pure in questa ipotesi non si determina alcun cumulo effettivo. Gli interessi corrisposti dal cliente moroso sono tutti di natura moratoria, sia per quel che concerne la maggiorazione prevista dal contratto nel caso di ritardato pagamento, sia per la parte corrispondente, nell'ammontare, agli interessi corrispettivi previsti prima della mora ma che, per effetto di quest'ultima, ha cambiato natura, così come testualmente disposto dall'art. 1224 c.c In conclusione, ad avviso della Corte, quello del cumulo degli interessi corrispettivi e moratori nei rapporti bancari è un falso problema posto che una volta costituito in mora, gli interessi che il cliente è tenuto a corrispondere hanno tutti natura moratoria, a prescindere dai criteri negoziali di determinazione del tasso convenzionale di mora. Il primo principio di diritto enunciato dalla Terza Sezione della Suprema Corte. Da qui il seguente principio Nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi, pertanto, non si possono fra loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di punti percentuale, è al valore complessivo risultante da tale somma, non ai soli punti percentuali aggiuntivi, che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati . Come si calcola il tasso soglia di mora. Ciò posto, ricorda la Corte che, per sua costante giurisprudenza, anche gli interessi moratori sono sottoposti alla verifica del superamento della soglia usura. Ciò nonostante, la Corte rileva orientamenti di merito di segno contrario orientamenti questi che muovono tutti dall’opinione secondo cui alla configurazione dell'usura c.d. oggettiva o presunta in relazione agli interessi di mora sarebbe d'ostacolo la circostanza che degli stessi manca la rilevazione del T.E.G.M Opinione questa che, però, secondo la Corte, non è persuasiva. In termini analoghi, infatti, si poneva la questione della commissione di massimo scoperto CMS , anch'essa non inclusa nella rilevazione del T.E.G.M., alla stregua delle istruzioni della Banca d'Italia. Questione recentemente risolta dalle Sezioni unite n. 16303/18 le quali hanno ritenuto che, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d'interesse praticato in concreto e della CMS eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia e con la CMS soglia , calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta legge n. 108, art. 2, comma 1, compensandosi, poi, l'importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il margine degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. Il medesimo ragionamento, reputa la Corte, può essere agevolmente traslato agli interessi moratori, giacché la Banca d'Italia, pur non includendo la media degli interessi di mora nel calcolo del T.E.G.M., ne ha fatto una rilevazione separata, individuando una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali. Per individuare la soglia usuraria degli interessi di mora sarà dunque sufficiente sommare al tasso soglia degli interessi corrispettivi il valore medio degli interessi di mora, maggiorato nella misura prevista dall'art. 2, comma 4, l. n. 108/1996. Il secondo principio di diritto enunciato dalla Terza Sezione della Suprema Corte. Da qui il seguente principio Nei rapporti bancari, anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all'applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. tasso soglia previsto dall'art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, si configura la cosiddetta usura c.d. oggettiva che determina la nullità della clausola ai sensi dell'art. 1815, secondo comma, cod. civ Non è di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d'Italia non prevedano l'inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. tasso effettivo globale medio , che costituisce la base sulla quale determinare il tasso soglia . Infatti, poiché la Banca d'Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo , è possibile individuare il tasso soglia di mora del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall'art. 2, comma 4, l. n. 108/1996. Tuttavia, resta fermo che, dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato - senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la parte corrispettiva da quella moratoria -, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l'usura oggettiva, il tasso soglia di mora deve essere sommato al tasso soglia ordinario analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto . Quale rimedio applicare in presenza di tasso moratorio usurario. Venendo alle conseguenze dell’accertata usura dell’interesse moratorio, la Corte precisa che l’'invalidità della pattuizione, comminata dall'art. 1815, comma 2, c.c., si sovrappone al rimedio della reductio ad aequitatem , di cui all’art. 1384 c.c La duplicazione di strumenti di tutela dell'obbligato non è priva di rilievi pratici, segnala la Corte, in quanto i presupposti per l'applicazione dell'art. 1815, comma 2, c.c., da un lato, e dell'art. 1384 c.c., dall'altro, sono differenti A la nullità comminata dall'art. 1815, secondo comma, c.c. presuppone, infatti, la violazione formale del tasso soglia , sicché la clausola contrattuale è valida o è invalida anche per un solo centesimo di punto percentuale in più o in meno B l'art. 1384 c.c., invece, consente al giudice di intervenire tutte le volte in cui ritiene l'eccessività del saggio di mora convenuto fra le parti, a prescindere dalla circostanza che oltrepassi o sia attestato al di sotto del tasso soglia . Differenti sono gli effetti che ne derivano totale caducazione degli interessi oltre soglia nel primo caso reductio ad equitatem nel secondo. Il terzo principio di diritto enunciato dalla Terza Sezione della Suprema Corte. Da qui il seguente principio Per gli interessi convenzionali di mora, che hanno natura di clausola penale in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento, trovano contemporanea applicazione l'art. 1815, secondo comma, cod. civ., che prevede la nullità della pattuizione che oltrepassi il tasso soglia che determina la presunzione assoluta di usurarietà, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 108 del 1996, e l'art. 1384 cod. civ., secondo cui il giudice può ridurre ad equità la penale il cui ammontare sia manifestamente eccessivo. Sono infatti diversi i presupposti e gli effetti, giacché nel secondo caso la valutazione di usurarietà è rimessa a/l'apprezzamento del giudice che solo in via indiretta ed eventuale può prendere a parametro di riferimento il T.E.G.M. e, comunque, l'obbligazione di corrispondere gli interessi permane, sia pur nella minor misura ritenuta equa . Clausola di salvaguardia e onere della prova in capo alla banca. Da ultimo la Corte affronta il tema della clausola di salvaguardia, previsione questa particolarmente diffusa nella contrattazione bancaria. La clausola, precisa la Corte, giova a garantire che, pur in presenza di un saggio di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dall'art. 2, comma 4, l. n. 108/1996. Dal punto di vista pratico tale clausola opera in favore della banca, piuttosto che del cliente. Infatti, ai sensi dell'art. 1815, comma 2, c.c. se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi . La clausola di salvaguardia, dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell'usura c.d. oggettiva , previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca. Puntualizza poi la Corte che tale clausola non presenta profili di contrarietà a norme imperative. Anzi, al contrario, essa è volta ad assicurare l'effettiva applicazione del precetto d'ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. Sebbene la clausola di salvaguardia ponga le banche al riparo dall'applicazione della sanzione prevista dall'art. 1815, comma 2, c.c. per il caso di pattuizione di interessi, la stessa non ha carattere elusivo, poiché il principio d'ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto. Il percepimento di interessi usurari è vietato dalla legge e la relativa pattuizione è nulla. Con la clausola di salvaguardia la banca si obbliga contrattualmente ad assicurare che, per tutta la durata del rapporto, non vengano mai applicati interessi che oltrepassino il tasso soglia . Viene poi precisato, con termini nitidi, che la contrattualizzazione di quello che è un divieto di legge non è priva di conseguenze sul piano del riparto dell'onere della prova. Infatti, se l'osservanza del tasso soglia diviene oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell'inadempimento contrattuale, con conseguente traslazione dell'onere della prova in capo all'obbligato, ossia alla banca. Il quarto principio di diritto enunciato dalla Terza Sezione della Suprema Corte. Da qui il seguente principio In tema di rapporti bancari, l'inserimento di una clausola di salvaguardia' in forza della quale l'eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. tasso soglia antiusura previsto dall'art. 2, comma 4, l. n. 108 del 1996, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell'oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell'impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu , l'onere della prova di aver regolarmente adempiuto all'impegno assunto .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 15 gennaio – 17 ottobre 2019, n. 26286 Presidente Vivaldi – Relatore D’Arrigo Fatti di causa M.D.M. proponeva opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, avverso la procedura esecutiva immobiliare intrapresa a suo danno dal Credito Valtellinese, deducendo l’applicazione di un tasso di interesse usurario nel contratto di mutuo fondiario posto alla base dell’azione esecutiva. Sospesa la procedura esecutiva, il M. introduceva dinanzi al Tribunale di Monza la fase di merito, chiedendo che fosse accertata e dichiarata la natura usuraria delle clausole di pattuizione degli interessi contenute nel contratto di mutuo, con conseguente restituzione degli importi indebitamente versati a tale titolo. Il Tribunale, espletata una consulenza tecnica d’ufficio, rigettava le domande attoree. In particolare, ravvisava l’assenza di prova di usurarietà sia dell’interesse corrispettivo, sia di quello moratorio, escludendo che, ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia , i due dovessero cumularsi, essendo invece destinati ad essere applicati solo in via alternativa. Rilevava, inoltre, che l’interesse di mora era rimasto automaticamente al di sotto del tasso soglia , poiché nel contratto era inserita una clausola di salvaguardia che prevedeva che il saggio di interessi convenzionale dovesse mantenersi comunque entro il limite fissato dalla L. n. 108 del 1996, art. 2 . Il M. impugnava la decisione. La Corte d’appello di Milano, con ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., dichiarava inammissibile il gravame. Il M. , ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, in base ad un unico motivo. Il Credito Valtellinese S.p.a. ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1.1. Con l’unico motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che, ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia dell’usura previsto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, possano essere cumulati gli interessi corrispettivi e moratori. Viceversa, il ricorrente valorizza il tenore letterale dell’art. 1815 c.c., comma 2, e dell’art. 644 c.p., i quali, nel prevedere rispettivamente la sanzione civilistica della nullità, da un lato, e gli elementi costitutivi del reato di usura, dall’altro, non pongono distinzioni tra interessi corrispettivi e moratori, valorizzando entrambe le specie ai fini della verifica dell’eventuale superamento del tasso soglia . 1.2. In aggiunta, il M. censura anche la statuizione del giudice di merito secondo cui la presenza di una clausola di salvaguardia nel contratto di mutuo sarebbe stata, di per sé, idonea ad escludere automaticamente il superamento del tasso soglia . Osserva il ricorrente che la sola presenza di tale clausola contrattuale secondo cui, quale che dovesse essere l’oscillazione del saggio applicato, esso doveva comunque intendersi sempre contenuto entro i limiti del tasso soglia non basta ad escludere in radice l’applicazione di interessi a tasso usurario, dovendo la banca dare dimostrazione di averla effettivamente applicata e rispettata prova, nel caso in esame, assente altrimenti il semplice inserimento di una clausola di salvaguardia nel contratto bancario renderebbe automaticamente e perennemente immune l’ente creditizio da qualsiasi contestazione circa la misura degli interessi praticati. 2. Il ricorso - sebbene articolato in un unico motivo - pone in realtà due distinte questioni giuridiche. La prima concerne la necessità o meno di cumulare interessi corrispettivi e interessi moratori ai fini della verifica del superamento del tasso soglia anti-usura. L’altra questione riguarda l’ambito di applicazione e validità della c.d. clausola di salvaguardia , sovente utilizzata nei contratti di finanziamento al fine di evitare lo sforamento del tasso di interesse oltre le soglie di legge. 3.1. Il corretto inquadramento della prima questione, richiede anzitutto che si faccia chiarezza su cosa si debba intendere come cumulo degli interessi corrispettivi e moratori. Occorre muovere dalla premessa che, com’è noto, vi è una netta diversità di causa e di funzione tra interesse corrispettivo ed interesse moratorio. L’interesse corrispettivo costituisce la remunerazione concordata per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta. L’interesse di mora, secondo quanto previsto dall’art. 1224 c.c., rappresenta invece il danno conseguente l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria. Secondo la regola generale, l’interesse di mora è dovuto nella misura legale o, se maggiore, nella medesima misura degli interessi corrispettivi eventualmente previsti dal contratto. È fatta salva la possibilità per il creditore di provare il maggior danno. Il comma 2 dell’art. 1224 c.c. prevede, però, che il saggio degli interessi moratori possa essere convenuto fra le parti e, in tal caso, non è dovuto l’ulteriore risarcimento. La determinazione convenzione del saggio dell’interesse integra, pertanto, gli estremi di una clausola penale, in quanto costituisce una predeterminazione anticipata, presuntiva e forfettaria del danno risarcibile art. 1382 c.c. . È dunque chiaro che i presupposti per la percezione degli interessi moratori sono ben diversi da quelli degli interessi corrispettivi. 3.2. Ciò posto, in materia di rapporti bancari, può discutersi di cumulo degli interessi corrispettivi con quelli moratori convenzionali in due accezioni differenti. La prima dipende dalla tecnica di redazione dei contratti bancari. Sovente, infatti, tali contratti prevedono che il tasso degli interessi moratori si ottenga sommando uno spread, ossia un incremento di percentuale, al saggio degli interessi corrispettivi. Ad esempio, se gli interessi corrispettivi sono determinati nella misura x%, il ritardato pagamento determinerà una maggiorazione di y punti percentuali e gli interessi moratori saranno dunque pari a y+x %. Ciò, ovviamente, non vuol dire che la banca continuerà a percepire, nonostante la chiusura del rapporto, sia gli interessi corrispettivi nella misura del x%, sia quelli moratori nella misura del y%. A prescindere dalla circostanza che la base del criterio di calcolo è costituita dal tasso dell’interesse corrispettivo, l’istituto mutuante percepirà un saggio complessivo pari a y+x %, ma soltanto a titolo di interessi moratori. Questa prassi contrattuale nasce da un’esigenza pratica, ossia quella di adattare il tasso degli interessi moratori alla complessità dei criteri di calcolo e all’andamento del saggio degli interessi corrispettivi, in modo da evitare che quelli di mora risultino inferiori. Infatti, se di regola lo spread connesso al passaggio del rapporto a sofferenza è rappresentato da un semplice valore numerico, la base di calcolo, ossia il saggio che era dovuto a titolo corrispettivo in costanza di rapporto, si calcola invece mediante formule matematiche, talvolta anche complesse, specialmente nei rapporti a tasso variabile. Orbene, quando il tasso degli interessi moratori contrattualmente è determinato maggiorando il saggio degli interessi corrispettivi di un certo numero di punti percentuale, solo impropriamente è possibile parlare di cumulo . In realtà, non si tratta della contemporanea percezione di due diverse specie di interessi. La banca percepisce soltanto gli interessi moratori, il cui tasso è, però, determinato tramite la sommatoria innanzi descritta. Quindi, è al valore complessivo e non ai soli punti percentuali aggiuntivi che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso di interesse moratorio effettivamente applicato e percepito. 3.3. La seconda dimensione nella quale si pone un problema di cumulo di interessi corrispettivi e moratori è, in una certa misura, collegata alla prima. Nei rapporti bancari, soprattutto nei mutui con rata di ammortamento, si suole distinguere - secondo il gergo bancario - la fase dell’incaglio , in cui i pagamenti del cliente divengono problematici, ma la situazione non si è deteriorata a tal punto da dover formulare un giudizio prognostico negativo circa le sue capacità di ripianare la propria esposizione debitoria, dal passaggio a sofferenza , che si verifica nel momento in cui la banca, esercitando il potere di recesso unilaterale attribuitole dal contratto, determina la chiusura del rapporto, con il conseguente obbligo per il cliente di restituire tutte le somme mutuate e non ancora corrisposte, con decadenza dal beneficio del termine art. 1186 c.c. . Nella fase dell’incaglio è frequente - anzi doveroso, alla stregua di un criterio di comportamento delle parti secondo correttezza e buona fede - che intervengano solleciti di pagamento non accompagnati dall’esercizio del diritto di recesso. Questi, pur non determinando la chiusura del rapporto, sono efficaci nel costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 1219 c.c. e, quindi, comportano il decorso degli interessi moratori. Infatti, gli effetti previsti dall’art. 1224 c.c. si producono dal giorno della mora del debitore e, trattandosi di obbligazioni pecuniarie, da quel momento il creditore ha diritto a percepire gli interessi moratori senza dover fornire la prova di aver sofferto alcun danno. Orbene, considerando la tecnica di redazione dei contratti bancari illustrata nel paragrafo precedente, ciò che accade in concreto è che il cliente, dal giorno in cui diviene moroso, è tenuto a corrispondere anche lo spread che costituisce la maggiorazione convenzionale degli interessi moratori. Ora, se il rapporto fosse definitivamente chiuso id est, se la banca avesse esercitato il potere di recesso unilaterale , non vi sarebbe nessuna incertezza nel qualificare l’intero interesse percepito come avente natura moratoria. Nella misura in cui, invece, il rapporto è ancora aperto , vi è la sensazione che il cliente continui a corrispondere l’interesse corrispettivo quale remunerazione per il godimento del denaro ed inoltre l’interesse moratorio per il ritardato adempimento. In questa prospettiva, l’interesse di mora costituito dal solo spread sembra cumularsi con l’interesse corrispettivo, conservando ciascuno dei due la propria individualità, funzione giuridica e autonomia causale. A chi ravvisa, in questa evenienza, un vero e proprio cumulo si deve però controbattere che l’art. 1224 c.c. prevede espressamente che dal giorno della mora sono dovuti gli interessi moratori nella stessa misura degli interessi previsti prima della mora , ossia a titolo corrispettivo. Ne deriva, dunque, che pure in questa ipotesi non si determina alcun cumulo effettivo. Gli interessi corrisposti dal cliente moroso sono tutti di natura moratoria, sia per quel che concerne la maggiorazione prevista dal contratto nel caso di ritardato pagamento, sia per la parte corrispondente, nell’ammontare, agli interessi corrispettivi previsti prima della mora ma che, per effetto di quest’ultima, ha cambiato natura, così come testualmente disposto dall’art. 1224 c.c In conclusione, quello del cumulo degli interessi corrispettivi e moratori nei rapporti bancari è, in realtà, un falso problema. Una volta costituito in mora, gli interessi che il cliente è tenuto a corrispondere hanno tutti natura moratoria, a prescindere dai criteri negoziali di determinazione del tasso convenzionale di mora. Ed è così sia nel caso il cui il rapporto sia stato definitivamente chiuso , sia quando il rapporto è ancora pendente. Del resto, l’art. 1383 c.c., in tema di clausola penale cui, come abbiamo visto, può essere assimilata la determinazione convenzionale degli interessi di mora , prevede che il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo . Pertanto, non vi è dubbio che gli interessi corrispettivi non possano essere richiesti insieme a quelli moratori. Salvo a voler considerare che gli interessi di mora corrispondano al solo spread nel caso di ritardo e siano, invece, pari alla somma dello spread con il saggio degli interessi corrispettivi in caso di chiusura del rapporto soluzione interpretativa, quest’ultima, malamente collimante con il tenore testuale dell’art. 1224 c.c. e con la formulazione delle clausole della maggior parte dei contratti bancari. 4. In conclusione, è possibile affermare il seguente principio di diritto Nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi, pertanto, non si possono fra loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di punti percentuale, è al valore complessivo risultante da tale somma, non ai soli punti percentuali aggiuntivi, che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati . 5. Il Tribunale ha, invece, escluso in radice che potessero cumularsi interessi corrispettivi e moratori, senza verificare esattamente cosa si dovesse intendere, nel caso in esame, per cumulo . Pertanto, la sentenza deve essere cassata affinché il giudice di rinvio, conformandosi al principio sopra formulato, individui con esattezza il saggio di interesse moratorio convenzionale previsto dal contratto. 6.1 Giova, infatti, rammentare che giurisprudenza di questa Corte non ha mai dubitato dell’applicabilità del tasso soglia anche alla pattuizione degli interessi moratori Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 5598 del 06/03/2017, Rv. 643977 Sez. 3, Sentenza n. 9532 del 22/04/2010, Rv. 612455 Sez. 3, Sentenza n. 5324 del 04/04/2003, Rv. 561894 Sez. 1, Sentenza n. 5286 del 22/04/2000, Rv. 535967 e che in senso analogo, peraltro, si è pronunciata anche la Corte costituzionale Corte Cost., Sentenza n. 29 del 2002 . Più di recente, prendendo atto della circostanza che molti giudici di merito continuano ad opinare diversamente, la Cassazione ha sottoposto ad ampia e approfondita verifica le ragioni del proprio convincimento, pervenendo al risultato finale di confermarne la perdurante validità Sez. 3, Ordinanza n. 27442 del 30/10/2018, Rv. 651333 . 6.2 Oltretutto, il principale argomento speso dall’opinione opposta, secondo cui alla configurazione dell’usura c.d. oggettiva o presunta in relazione agli interessi di mora sarebbe d’ostacolo la circostanza che degli stessi manca la rilevazione del T.E.G.M. tasso effettivo globale medio praticato, nel periodo di riferimento, per la tipologia di contratto , non risulta decisivo. In termini analoghi, infatti, si poneva la questione della commissione di massimo scoperto CMS , anch’essa non inclusa nella rilevazione del T.E.G.M., alla stregua delle istruzioni della Banca d’Italia. Nondimeno, recentemente le Sezioni unite Sez. U, Sentenza n. 16303 del 20/06/2018, Rv. 649294 hanno ritenuto che, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della CMS eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia e con la CMS soglia , calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta L. n. 108, art. 2, comma 1, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il margine degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. Il medesimo ragionamento può essere agevolmente traslato agli interessi moratori, giacché la Banca d’Italia, pur non includendo la media degli interessi di mora nel calcolo del T.E.G.M., ne ha fatto una rilevazione separata, individuando una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali. Per individuare la soglia usuraria degli interessi di mora sarà dunque sufficiente sommare al tasso soglia degli interessi corrispettivi il valore medio degli interessi di mora, maggiorato nella misura prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4. 6.3 Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto Nei rapporti bancari, anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. tasso soglia previsto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, si configura la cosiddetta usura c.d. oggettiva che determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815 c.c., comma 2. Non è di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. tasso effettivo globale medio , che costituisce la base sulla quale determinare il tasso soglia . Infatti, poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo , è possibile individuare il tasso soglia di mora del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4. Tuttavia, resta fermo che, dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato - senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la parte corrispettiva da quella moratoria -, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, il tasso soglia di mora deve essere sommato al tasso soglia ordinario analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto . 6.4 L’invalidità della pattuizione, comminata dall’art. 1815 c.c., comma 2, si sovrappone al rimedio della reductio ad aequitatem, comunque possibile per gli interessi convenzionali di mora. Gli stessi, infatti, assolvono alla funzione di una clausola penale art. 1382 c.c. , in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento. La duplicazione di strumenti di tutela dell’obbligato non è priva di rilievi pratici, in quanto i presupposti per l’applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2, da un lato, e dell’art. 1384 c.c., dall’altro, sono differenti. La nullità comminata dall’art. 1815 c.c., comma 2, presuppone, infatti, la violazione formale del tasso soglia , sicché la clausola contrattuale è valida o è invalida anche per un solo centesimo di punto percentuale in più o in meno. L’art. 1384 c.c., invece, consente al giudice di intervenire tutte le volte in cui ritiene l’eccessività del saggio di mora convenuto fra le parti, a prescindere dalla circostanza che oltrepassi o sia attestato al di sotto del tasso soglia . Differenti sono pure gli effetti, poiché l’art. 1815 c.c., comma 2, prevede la totale caducazione della pattuizione degli interessi oltre soglia se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi , mentre, nel caso di reductio ad aequitatem, l’obbligazione di corrispondere gli interessi permane, anche se ridotta dal giudice nella misura ritenuta equa. 6.5 Va quindi affermato il seguente principio di diritto Per gli interessi convenzionali di mora, che hanno natura di clausola penale in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento, trovano contemporanea applicazione l’art. 1815 c.c., comma 2, che prevede la nullità della pattuizione che oltrepassi il tasso soglia che determina la presunzione assoluta di usurarietà, ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, e l’art. 1384 c.c., secondo cui il giudice può ridurre ad equità la penale il cui ammontare sia manifestamente eccessivo. Sono infatti diversi i presupposti e gli effetti, giacché nel secondo caso la valutazione di usurarietà è rimessa all’apprezzamento del giudice che solo in via indiretta ed eventuale può prendere a parametro di riferimento il T.E.G.M. e, comunque, l’obbligazione di corrispondere gli interessi permane, sia pur nella minor misura ritenuta equa . 7.1 La seconda questione prospettata dal ricorrente concerne la validità e gli effetti della clausola contrattuale c.d. di salvaguardia . Si tratta di una clausola particolarmente diffusa nella contrattazione bancaria, a partire dal 1996, secondo cui, quale che sia la fluttuazione del saggio di interesse convenzionalmente pattuito, esso non potrà mai superare il tasso soglia , che ne costituisce quindi il tetto massimo. Il Tribunale ha attribuito rilevanza dirimente alla presenza di tale clausola, osservando che anche il tasso di mora, di per sé considerato, di volta in volta applicato ai singoli inadempimenti, si è sempre automaticamente mantenuto, nel corso del rapporto, nei limiti del tasso soglia legalmente previsto, in conformità a quanto pattuito dalle parti la previsione della c. d. clausola di salvaguardia evita l’automatico superamento del tasso soglia pag. 5 . Tale autonoma ratio decidendi costituisce oggetto di specifica impugnazione da parte del ricorrente, il quale osserva che l’inserimento della clausola di salvaguardia nel contratto di mutuo non esclude, di per sé, che effettivamente possano essere stati percepiti tassi usurari. 7.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono. La clausola c.d. di salvaguardia giova a garantire che, pur in presenza di un saggio di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4. Dal punto di vista pratico tale clausola opera in favore della banca, piuttosto che del cliente. Infatti, ai sensi dell’art. 1815 c.c., comma 2, se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi . La clausola di salvaguardia , dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell’usura c.d. oggettiva , previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca. Nondimeno, la clausola non presenta profili di contrarietà a norme imperative. Anzi, al contrario, essa è volta ad assicurare l’effettiva applicazione del precetto d’ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. Sebbene la clausola di salvaguardia ponga le banche al riparo dall’applicazione della sanzione prevista dall’art. 1815 c.c., comma 2, per il caso di pattuizione di interessi usurari nessun interesse è dovuto , la stessa non ha carattere elusivo, poiché il principio d’ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto. Non vale in contrario quanto ritenuto in altra occasione da questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016, Rv. 640109 , poiché quella pronuncia ha ad oggetto una ben diversa clausola, che prevedeva l’applicazione del principio solve et repete agli interessi che eventualmente fossero successivamente risultati usurari. 7.3 Dunque, il percepimento di interessi usurari è vietato dalla legge e la relativa pattuizione è nulla. Con la clausola di salvaguardia la banca si obbliga contrattualmente ad assicurare che, per tutta la durata del rapporto, non vengano mai applicati interessi che oltrepassino il tasso soglia . La contrattualizzazione di quello che è un divieto di legge non è priva di conseguenze sul piano del riparto dell’onere della prova. Infatti, se l’osservanza del tasso soglia diviene oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell’inadempimento contrattuale, con conseguente traslazione dell’onere della prova in capo all’obbligato, ossia alla banca. 7.4 Il Tribunale, invece, si è attestato sulla posizione della valenza dirimente della clausola di salvaguardia in sé considerata, ritenendo - in sostanza - che l’inserimento di tale clausola nel regolamento contrattuale fosse sufficiente ad escludere in radice l’usurarietà degli interessi percepiti dalla banca. Non ha pregio neppure l’osservazione - riferita dalla controricorrente - secondo cui il consulente d’ufficio non avrebbe rilevato lo sforamento del tasso soglia, neanche con riferimento al periodo di applicazione del tasso di mora. Si tratta, infatti, di conclusioni del c.t.u. che non sono state mai validate dal Tribunale, che ha basato la propria decisione unicamente sulla presenza, nel contratto di mutuo, della clausola di salvaguardia . 8. Il giudice del rinvio dovrà quindi uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, al seguente principio di diritto In tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola di salvaguardia , in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. tasso soglia antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto . 9. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio. Poiché il ricorso è stato proposto ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, il rinvio va disposto alla Corte d’appello territorialmente competente. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.