Acquisto di un’area edificabile effettuato “a corpo” e possibile riduzione del prezzo

Se la compravendita è determinata a corpo” si ha diritto alla riduzione del prezzo solamente se la misura reale differisce da quanto contrattualmente pattuito in misura superiore a 1/20 del totale.

Il caso. Un’impresa edile acquistava da alcuni soggetti un’area edificabile di considerevole estensione. Tale acquisto, come specificato nel contratto di compravendita, veniva effettuato a corpo e non a misura. A seguito della compravendita l’acquirente prendeva contezza della minore estensione dell’area rispetto a quanto pattuito e agiva giudizialmente avverso i venditori al fine di ottenere una riduzione del prezzo e un risarcimento per il danno subito. Il Tribunale adito rigettava la domanda della parte attrice. Diversamente, la Corte d’Appello sovvertiva l’esito del primo grado e condannava i venditori alla restituzione di parte del prezzo. Il ricorso in cassazione. A seguito della soccombenza in grado di appello i venditori depositavano un ricorso il Cassazione. Tale ricorso era incentrato sulla presunta errata applicazione, da parte della Corte d’Appello, della legge in materia di compravendite di fondi a corpo e non a misura. A detta dei ricorrenti, infatti, il giudice di merito avrebbe errato nell’applicare l’articolo 1538 comma I del Codice Civile, che afferma che Nei casi in cui il prezzo è determinato in relazione al corpo dell'immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, salvo che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto”. La Corte d’Appello, quindi, avrebbe errato nella propria decisione ignorando il dispositivo della citata norma e determinando la riduzione del prezzo con un calcolo aritmetico misurando proporzionalmente la differenza di metratura e attribuendole un valore per ridurre l’importo pattuito dalle parti per la vendita. La Cassazione accoglie il ricorso. Con la sentenza Cass. Sez. II, 2 settembre 2019, n. 21946 la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso limitatamente al motivo sopra tratteggiato. In particolare la Cassazione poneva l’accento, nella propria decisione, sulla sostanziale differenza tra vendita a corpo e a misura. La vendita a misura, infatti, è descritta dall’art. 1537 c.c. il quale afferma che Quando un determinato immobile è venduto con l'indicazione della sua misura e per un prezzo stabilito in ragione di un tanto per ogni unità di misura, il compratore ha diritto a una riduzione, se la misura effettiva dell'immobile è inferiore a quella indicata nel contratto”. L’elemento caratteristico di tale negozio giuridico, quindi, è la quantificazione del prezzo basata sulla effettiva misura del bene. Ad esempio, nel caso di un fondo edificabile, una vendita a misura prenderebbe come parametro un costo al metro quadro e moltiplicherebbe detto costo per i metri quadri totali, giungendo al prezzo finale. Una vendita a corpo art. 1538 c.c. , invece, come nel caso presente, prescinde dall’effettiva metratura e prende come parametro il prezzo unitario del bene in quanto tale. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, richiamata dalla sentenza in commento, la revisione del prezzo prevista dall’art. 1538 c.c. è basata sull’esigenza di riequilibrare il sinallagma contrattuale, in caso di sostanziali discrepanze, superiori a 1/20 tra il bene pattuito e quello effettivamente esistente. Qualora, invece, si operasse una riduzione di prezzo per ogni tipo di discrepanza si frustrerebbe l’istituto stesso della vendita a corpo, equiparandola di fatto ad una vendita a misura. La Corte d’Appello, quindi, aveva effettivamente errato nell’applicare la normativa vigente, e in particolare modo l’art. 1538 c.c. Alla luce di tali valutazioni gli Ermellini cassavano la sentenza impugnata e disponevano il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione nel merito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 20 marzo – 2 settembre 2019, n. 21946 Presidente Lombardo – Relatore Picaroni Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza pubblicata il 2 dicembre 2014, ha parzialmente accolto l’appello proposto da F.A. avverso la sentenza del Tribunale di Oristano n. 86 del 2011, e nei confronti di M.G., Mo.An. , M.C. , M.M.G. e M.A. . 1.1. Il Tribunale aveva rigettato la domanda di riduzione del prezzo e di risarcimento danni proposta dal F., titolare di impresa edile, che aveva acquistato dai germani M. un’area edificabile situata in , di complessivi mq 1.486. 2. La Corte d’appello ha ritenuto, invece, fondata la domanda di riduzione del prezzo. 2.1. Qualificato il contratto inter partes come vendita a corpo, e accertato che non era stata consegnata all’acquirente una striscia di terreno di mq 443, la Corte territoriale ha ridotto il prezzo di vendita dell’importo corrispondente alla superficie non consegnata, sulla base del prezzo unitario di Euro 55,125 al metro quadro, convenuto dalle parti. 3. Ricorrono per la cassazione della sentenza M.G., Mo.An. , M.C. , M.M.G. e M.A. , sulla base di sei motivi, ai quali resiste con controricorso F.A. . Ragioni della decisione 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati. 1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per contestare che la Corte d’appello aveva fatto riferimento alle misure indicate dal CTU, riguardanti la superficie catastale, anziché a quelle risultanti dall’atto pubblico 26 gennaio 2000 e indicate dal F. nell’atto di citazione e nell’atto di appello, con il risultato di riconoscere una eccedenza di ulteriori mq 13. 1.2. La doglianza è inammissibile in quanto non è configurabile ultrapetizione - ovvero violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato - nello scostamento tra le indicazioni della parte e l’esito dell’accertamento giudiziale riguardante l’estensione del terreno compravenduto. Nessun vincolo derivava dalle indicazioni della parte, e la censura si risolve nella critica all’accertamento svolto dal CTU, di cui si assume l’erroneità, senza peraltro riportare il contenuto della consulenza onde dar modo a questa Corte di verificare la sussistenza del preteso errore. 2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 359 c.p.c. e art. 277 c.p.c., comma 1 e si contesta il mancato esame delle eccezioni di merito formulate dagli appellati. 2.1. La doglianza è inammissibile. Premesso che l’omessa pronuncia su eccezioni di merito è censurabile in cassazione sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., non anche per violazione delle norme richiamate dai ricorrenti, che si limitano a dettare la disciplinano della fase decisoria, in realtà i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto e deciso sulle eccezioni formulate. In disparte l’atecnicità della locuzione, è evidente che la censura investe il modo nel quale la Corte d’appello ha apprezzato le risultanze istruttorie e ricostruito la quaestio facti, ciò che non può mai integrare errore processuale ma semmai vizio di motivazione, deducibile secondo il paradigma delineato dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come enucleato dalla giurisprudenza ormai assurta a diritto vivente per tutte, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053 . 3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e si contesta la valutazione delle prove testimoniali e della CTU nonché l’omesso esame di documenti allegati alla CTU. 3.1. La doglianza è inammissibile. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione ex plurimis, Cass. 12/10/2017, n. 23940 Cass. 30/11/2016, n. 24434 . 4. Con il quarto motivo è denunciato omesso esame fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, e si contesta che la Corte d’appello non avrebbe esaminato le questioni indicate nei motivi secondo e terzo del ricorso. 4.1. Il motivo è inammissibile. L’omesso esame denunciabile in cassazione deve riguardare il fatto storico, allegato dalle parti, non la questione, e si deve trattare di fatto che risulti dal testo della sentenza impugnata o dagli atti processuali, con conseguente onere a carico della parte ricorrente di indicare chiaramente il fatto storico del cui mancato esame ci si duole, il dato testuale emergente dalla sentenza o extra-testuale emergente dagli atti processuali da cui risulti la sua esistenza, nonché il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e di spiegarne, infine, la decisività. Il mezzo in esame è carente di specificità, rinvia genericamente a questioni-fatti indicati nei motivi secondo e terzo, senza distinguere tra gli uni e gli altri, e non ne spiega la decisività. 5. Con il quinto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1538 c.c. e si contesta che il prezzo di acquisto del terreno non era stato parametrato all’estensione ma alla capacità edificatoria, che era rimasta inalterata. In assunto dei ricorrenti, la Corte d’appello, pure avendo ritenuto che il F. avesse esatta conoscenza della situazione dei luoghi avendo anche preso visione della convenzione di lottizzazione, non ne avrebbe tratto la conseguenza che il F. non potesse non sapere quanta parte del terreno acquistato era compresa nel lotto fondiario n. 27 del piano di lottizzazione . 5.1. La doglianza è inammissibile. La Corte d’appello ha ritenuto che il contratto inter partes configurasse una vendita a corpo, e che il riferimento al preesistente piano di lottizzazione non implicasse la volontà delle parti di pattuire il prezzo del terreno con riferimento alla capacità edificatoria riconosciuta dagli strumenti urbanistici al lotto 27 . Per censurare correttamente l’interpretazione del contratto, che è l’oggetto della doglianza, i ricorrenti avrebbero dovuto denunciare la violazione dei canoni previsti dagli artt. 1362 c.c. e segg. e indicare il punto ed il modo in cui la Corte di merito si fosse dagli stessi discostata, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione auspicata e quella accolta nella sentenza impugnata, che non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ex plurimis, Cass. 28/11/2017, n. 28319 Cass. 20/11/2009, n. 24539 . 6. Con il sesto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1538 c.c. e si contesta, in subordine, che la quantificazione del minor prezzo sarebbe stata effettuata senza rispettare la previsione di legge, con riferimento sia alla quantificazione della differenza 1/20 rispetto a quanto previsto nel contratto, sia al criterio di attribuzione del valore alla superficie mancante. 6.1. Il motivo è fondato nella parte in cui contesta che la Corte d’appello abbia determinato la riduzione del prezzo in misura proporzionale, mediante calcolo aritmetico. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la revisione del prezzo prevista dall’art. 1538 c.c., che risponde all’esigenza di ripristinare l’equilibrio delle prestazioni in concreto fissato dalle parti, pregiudicato dalla sperequazione emersa dopo la stipula, non deve seguire il criterio del valore di mercato nè il criterio proporzionale secco , entrambi distonici rispetto alla ratio dell’istituto. Il valore di mercato, infatti, si sovrapporrebbe all’equilibrio contrattuale raggiunto dai contraenti, e il criterio proporzionale secco cancellerebbe la volontà delle parti di vendere a corpo , anziché a misura . La previsione normativa postula la ricerca di un equo adattamento della programmazione contrattuale alla effettiva consistenza immobiliare, il che si realizza con l’applicazione di un criterio proporzionale corretto , che prescinda dall’esatta misurazione del bene ex plurimis, Cass. 29/08/2013, n. 19890 Cass. 19/05/2006, n. 11793 Cass. 25/11/1978, n. 5549 . 6.2. La sentenza impugnata, che ha fatto applicazione del criterio proporzionale secco , è cassata con rinvio al giudice designato in dispositivo, che esaminerà nuovamente la domanda di riduzione del prezzo facendo applicazione del principio di diritto sopra richiamato, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta i rimanenti, cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione.