Il conduttore non ha diritto a percepire indennità per i miglioramenti realizzati nell’immobile locato…

L’autorizzazione alla effettuazione di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione non è consenso alla effettuazione di miglioramenti, che sono altra cosa rispetto alla manutenzione, sia pure straordinaria della cosa locata a prescindere da ciò, è regola secondo cui nel contratto di locazione, il diritto del conduttore alla indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell’art. 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore .

Il caso. Una associazione conveniva in giudizio una società. La prima, difatti, locava un immobile commerciale dalla seconda, e tale immobile era stato adibito ad attività di ristorazione. A seguito di un controllo di polizia, tuttavia, era stata accertata la totale assenza di permessi amministrativi per svolgere le attività commerciali dell’associazione. Questa, quindi, era stata costretta a chiudere l’attività e, a seguito dei mancati pagamenti dei canoni, era stata sfrattata. A seguito dello sfratto, però, l’associazione aveva citato in giudizio la società locatrice, domandando un risarcimento sia per l’avere fornito locali sprovvisti delle caratteristiche necessarie a svolgere l’attività di ristorazione, sia per domandare il rimborso di alcune migliorie effettuate nei locali, che per richiedere il risarcimento di alcuni beni strumentali smarriti durante lo sfratto. Il giudice di prime cure, tuttavia, aveva rilevato come l’associazione avesse domandato il termine di grazia peraltro non rispettato e ricavato dallo stesso un’acquiescenza rispetto all’inadempimento dell’associazione e quindi dichiarava soccombente la società sul punto e convalidava lo sfratto. Stante il mancato deposito delle motivazioni, però, la sentenza veniva annullata. A seguito della riassunzione, però, il giudice di primo grado non variava la propria opinione nel merito, dichiarando la soccombenza dell’associazione. La sentenza veniva appellata dalla parte soccombente, ma il giudice d’appello confermava quanto deciso in prime cure. L’associazione agisce in cassazione, motivando la propria richiesta risarcitoria sulla presunta acquiescenza della proprietaria rispetto ai lavori. Stante l’esito del giudizio d’appello, l’associazione agiva depositando ricorso in Cassazione con il quale contestava il presupposto della decisione di merito. A detta della parte ricorrente, infatti, il giudice del Riesame non avrebbe correttamente interpretato la portata dell’art. 1592 c.c Tale norma afferma al primo comma che Salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un'indennità corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna”. A parere del ricorrente, la parte proprietaria, informata dell’esecuzione dei lavori, non aveva dato alcun parere contrario, di fatto dimostrando acquiescenza e anzi assenso all’esecuzione dei lavori, con conseguente dovere di corrispondere l’indennità degli stessi. La cassazione rigetta il ricorso sulla base della necessità del consenso esplicito alla realizzazione dei lavori. Con l’ordinanza numero 15317 del 6 giugno 2019, la Terza Sezione della Cassazione rigettava il ricorso dell’associazione. Secondo la Suprema Corte, infatti, il giudice d’Appello aveva correttamente valutato la questione, esprimendosi in senso contrario alle domande della ricorrente. Ai sensi dell’art. 1592 c.c. infatti la parte proprietaria deve prestare un consenso chiaro ed essere previamente informata sulle opere da svolgere. Nel caso in questione, invece, l’associazione aveva comunicato di essere intenzionata a svolgere opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, quindi una situazione ben diversa rispetto a quanto prospettato in atti dall’associazione. La Cassazione, quindi, affermava che l’autorizzazione alla effettuazione di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione non è consenso alla effettuazione di miglioramenti, che sono altra cosa rispetto alla manutenzione, sia pure straordinaria della cosa locata a prescindere da ciò, è regola secondo cui nel contratto di locazione, il diritto del conduttore alla indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell’art. 1592 c.c. che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore” il consenso in questione, poi, deve comportare un vaglio di tipo economico e di convenienza dei lavori e non può essere implicito, né può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni”. Sulla base di tali principi, quindi, la Cassazione dichiarava il rigetto del ricorso dell’associazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 8 febbraio – 6 giugno 2019, n. 15317 Presidente Armano – Relatore Cricenti Fatti di causa La ricorrente ha preso in locazione un immobile dalla società C. Costruzioni s.r.l., con l’intento di esercitarvi attività di ristorazione. Poco dopo la stipula, la ricorrente ha subito una verifica da parte dei vigili, che, accertato il difetto di autorizzazioni amministrative, per lo svolgimento di quell’attività di ristorazione, ha emesso sanzioni a carico della società. Quest’ultima ha dunque interrotto il pagamento dei canoni, ed ha subito azione di sfratto per morosità. In quel giudizio si è costituita la società conduttrice, ed in via riconvenzionale, ha chiesto il risarcimento dei danni che il locatore avrebbe provocato non assicurando l’esistenza delle autorizzazioni, nonché l’indennità per i miglioramenti, ed infine il risarcimento dei danni per alcuni beni, di sua proprietà, andati perduti dopo l’esecuzione dello sfratto. Il Tribunale, in primo grado, considerato che la conduttrice aveva chiesto il termine di grazia per sanare la morosità, e che non lo aveva peraltro rispettato, ha ritenuto implicitamente fatta acquiescenza alla questione del suo inadempimento, ed ha convalidato lo sfratto. Tuttavia, ha depositato il solo dispositivo senza mai depositare la motivazione. Detto provvedimento è stato, dunque, annullato sul presupposto che fosse da ritenersi inesistente una decisione simile, del tutto priva dei motivi. Riassunta la causa, a seguito del rinvio in primo grado, la conduttrice ha riproposto le domande di risarcimento e di indennizzo, che però sono state dichiarate improcedibili perché coperte da giudicato. Secondo il giudice del rinvio, poiché nel precedente giudizio, convalidato lo sfratto, erano state rigettate tutte le eccezioni, istanze e difese dell’intimata, si doveva ritenere che anche la riconvenzionale lo fosse, e che dunque non potesse essere riproposta nel giudizio di rinvio. La conduttrice ha proposto appello avverso tale decisione, riproponendo le iniziali pretese. La Corte di appello ha innanzitutto ritenuto ammissibili le domande, in quanto non coperte da giudicato nel merito ha rigettato sia la domanda di risarcimento fatta sul presupposto dell’inadempimento degli obblighi di procurare l’autorizzazione, sia quella per il rimborso dei miglioramenti, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni per i beni andati perduti. Ricorre ora avverso tale decisione la conduttrice, con due motivi di doglianza, cui si oppone la locatrice, che propone ricorso incidentale sulla questione della improcedibilità per violazione del giudicato. Ragioni della decisione Il ricorso contiene una lunga esposizione dei fatti, e si chiude con l’enunciazione dei motivi nelle sole ultime tre pagine. Con il primo motivo si denuncia sia violazione dell’art. 1592 c.c. che omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo. Il motivo contiene in sé dunque due censure, la prima delle quali attiene al difetto di motivazione, ma nei termini in cui era inteso nella vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e dunque, come tale, inammissibile, trovando ormai il difetto di motivazione rilievo solo nell’ipotesi in cui la sua gravità integri una nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4. Con la seconda censura sempre posta all’interno del secondo motivo la società ricorrente contesta la decisione di merito secondo la quale non era emerso un valido consenso del locatore ai miglioramenti sulla cosa locata, in quanto il consenso, per essere tale, deve essere conscio della entità anche economica e della convenienza dei lavori. La ricorrente contrasta questa tesi ritenendo che l’art. 1592 c.c. non richieda un consenso cosi esplicito ed informato, essendo sufficiente una preventiva autorizzazione ad effettuare lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione. Il motivo è infondato. A prescindere dal rilievo che l’autorizzazione alla effettuazione di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione non è consenso alla effettuazione di miglioramenti, che sono altra cosa rispetto alla manutenzione, sia pure straordinaria, della cosa locata a prescindere da ciò, è regola secondo cui nel contratto di locazione, il diritto del conduttore alla indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell’art. 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore, e tale consenso, importando cognizione dell’entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può essere implicito, nè può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni, così che la mera consapevolezza o la mancata opposizione del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta dell’indennizzo Cass. 2494/ 2009 Cass. 5541/ 2012 . Ne consegue che correttamente la corte di appello ha ritenuto che la preventiva e generica autorizzazione ad effettuare lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria non fosse sufficiente a costituire valido consenso ad effettuare miglioramenti sulla cosa locata. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo. Il motivo è però inammissibile in quanto, a parte che è formulato in relazione al vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed è persino privo delle ragioni che lo dovrebbero illustrare a parte ciò anche sotto la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non coglie la ratio della decisione, in quanto le attribuisce omesso esame del quantum del danno, ma appare evidente ed anche dallo stesso motivo di ricorso che la corte di appello ha bensì esaminato la questione dell’ammontare del pregiudizio, ma ritenendolo di difficile stima, lo ha liquidato equitativamente, mostrando cosi di avere preso in considerazione il fatto controverso. E ciò a prescindere dal rilievo per cui la ricorrente, pur denunciando omesso esame del quantum, non dice in che modo sarebbe stata violata la regola che, nel giudizio di merito, ha presieduto alla stima equitativa del danno. 2.- Partimenti infondato è il ricorso incidentale. Esso è basato su tre motivi, i primi due attinenti alla questione della procedibilità delle domande del conduttore, il terzo relativo proprio al danno che la corte di appello ha liquidato al conduttore per la perdita dei beni contenuti nell’immobile poi rilasciato. I primi due motivi posso dunque esaminarsi congiuntamente. Il primo denuncia violazione dell’art. 2909 c.c., in tema di giudicato. Sostiene la locatrice che in realtà il giudice di primo grado si era pronunciato sulle domande riconvenzionali del conduttore, e le aveva rigettate, con la conseguenza che, non essendovi impugnazione sul punto, quelle domande erano passate in giudicato e non potevano essere riproposte in altro giudizio. L’argomento su cui la controricorrente fonda tale assunto è che il giudice di primo grado, nel convalidare lo sfratto, ha espressamente detto che ogni contraria istanza, eccezione e deduzione doveva intendersi disattesa. Il motivo è però infondato. È evidente che tale formula ogni contraria istanza ed eccezione disattesa non costituisce affatto decisione di rigetto delle domande riconvenzionali, in quanto una pronuncia di rigetto non solo presuppone un esplicito dispositivo in tal senso, ma altresì un minimo di motivazione a supporto. Nella espressione in questione v’è da identificare solo una formula di stile fatta per ritenere l’assorbimento delle eccezioni che il conduttore ha rivolto contro la convalida, accolta la quale, quelle sono respinte. Non è una formula sufficiente a costituire capo autonomo di rigetto della domanda riconvenzionale, che invece, presuppone che sia individuabile una motivazione relativa. Con il secondo motivo la locatrice, ricorrente incidentale, denuncia violazione dell’art. 1460 c.c., attribuendo alla corte di merito di avere male inteso una clausola del contratto che imponeva alla conduttrice di pagare i canoni prima di poter intraprendere ogni azione, pena la risoluzione di diritto del contratto. La corte di appello avrebbe invece disatteso questa indicazione contrattuale ritenendo ammissibili le domande di risarcimento e di indennizzo della conduttrice. Il motivo è infondato in quanto non attribuisce alla decisione impugnata una erronea interpretazione dell’art. 1460 c.c., bensì una erronea interpretazione della clausola contrattuale artt. 7 e 8 che, a dire del controricorrente, impediva alla conduttrice di agire in giudizio per i danni. Inoltre, le previsioni contrattuali richiamate prevedono l’obbligo del conduttore di pagare i canoni prima di intraprendere azioni a tutela dei suoi diritti, e non già quale condizione per l’esercizio di quelle azioni. Prova ne sia che, in caso contrario, quelle clausole non prevedono e del resto non potrebbero farlo l’improponibilità di eventuali domande del conduttore aventi causa nel contratto, ma prevedono la risoluzione del medesimo. Se il conduttore non paga prima di intraprendere azioni in giudizio per sue rivendicazioni, il contratto si risolve, ma non è previsto che quelle azioni siano inammissibili o non proponibili in giudizio. Con la conseguenza che è corretta la tesi del giudice di merito circa l’ammissibilità delle domande di risarcimento avanzate dal conduttore, che non sono condizionate dal previo pagamento del canone. Il ricorso va pertanto respinto, e con esso quello incidentale, con compensazione delle spese, attesa la reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale. Compensa le spese. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato da parte del ricorrente incidentale.