Evidente il fatto che non si sia prestata attenzione all’identificazione della persona presentatasi come titolare del conto né al confronto delle firme. Questi elementi però passano in secondo piano, una volta appurato che il prelievo è stato effettuato dal nonno omonimo del legittimo proprietario del conto.
Prelievo indebito – per una cifra pari a 10 milioni di vecchie lire – dal conto corrente del cliente. Sotto accusa, ovviamente, l’istituto di credito, che, però, si salva, nonostante l’evidente violazione dei propri doveri per la mancata verifica sulla corrispondenza tra prenditore e titolare e sul controllo delle firme. Decisivo è l’accertamento della truffa provata tra il titolare del conto e l’autore del prelievo illegittimo, che sono rispettivamente nipote e nonno, per giunta omonimi Cassazione, ordinanza numero 13830/19, sez. I Civile, depositata oggi . Accordo. Ricostruita nei dettagli la vicenda, è appurato «l’indebito prelevamento di 10 milioni di lire» da un conto corrente in un istituto di credito nella zona di Perugia. L’operazione è stata messa in atto con «un assegno interno» presentato da un anziano signore, presentatosi come il legittimo titolare del conto e risultato essere invece suo nonno, peraltro con nome e cognome identici. L’assegno è stato regolarmente pagato dalla banca nella convinzione che l’anziano signore fosse in effetti il legittimo proprietario del conto. E l’illegittimo prelievo ha causato un contenzioso tra il titolare reale del conto e la banca, contenzioso centrato su una cospicua «richiesta di risarcimento». Pretesa assolutamente priva di fondamento, però, secondo i Giudici, che prima in Tribunale e poi in Corte d’appello evidenziano il fatto che sì «la banca è venuta meno ai propri doveri quanto alla verifica della corrispondenza dell’accipiens con il titolare del conto e della corrispondenza tra la firma» della persona che ha presentato l’assegno e «lo specimen di firma del correntista», ma essa è stata in realtà «vittima di un tentativo di truffa» concordato tra nipote – titolare del conto – e nonno – presentatore dell’assegno –. Questa valutazione è condivisa in toto dalla Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale del titolare del conto. Anche per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, le carenze addebitabili alla banca passano in secondo piano di fronte «all’accordo fraudolento» tra nipote e nonno, fondato soprattutto «sull’omonimia dei due soggetti».
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 dicembre 2018 – 22 maggio 2019, numero 13830 Presidente De Chiara – Relatore Caiazzo Fatti di causa Il Tribunale di Perugia, con sentenza dell'1.12.10, rigettò la domanda di Sa. Be. nei confronti della Banca CR di Firenze s.p.a., avente ad oggetto la condanna al risarcimento dei danni causati dall'indebito prelevamento della somma di lire 10.000.000 dieci milioni dal conto corrente a lui intestato, effettuato con assegno interno da parte dell'omonimo nonno, soggetto non legittimato presentatosi come titolare del conto. In particolare, il Tribunale accertò che, pur essendo la banca venuta meno ai propri doveri quanto alla verifica della corrispondenza dell'accipiens con il titolare del conto e della corrispondenza della firma del medesimo con lo specimen di firma del correntista, era stata in realtà vittima di un tentativo di truffa da parte di nonno e nipote. L'attore propose appello, che fu respinto con sentenza emessa dalla Corte d'appello di Perugia il 21.1.2014. La Corte osservò, a conferma della motivazione del Tribunale, che sussistevano due indizi gravi, precisi e concordanti di un accordo fraudolento tra i due omonimi Be. a danno della banca l'iniziale negazione della conoscenza dell'autore del prelievo da parte del correntista e la conoscenza del numero del conto del nipote da parte del nonno, che lasciava anche presumere il mendacio del primo anche allorché aveva negato - peraltro senza provarlo - di avere più rapporti con il nonno. Il Be. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrato con memoria. Resiste la Banca con controricorso, illustrato con memoria. Il P.M. ha chiesto il rigetto del ricorso. Il collegio ha deliberato che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata. Ritenuto che Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione dell'articolo 1176 c.c., in quanto la Corte d'appello non ha considerato la mancanza di diligenza dell'addetto allo sportello per non aver verificato la corrispondenza tra il firmatario dell'assegno e il titolare del conto corrente, pur dichiarando di ricordare la fisionomia dell'omonimo nonno Sa. Be., titolare di altro conto presso la stessa filiale. Con il secondo motivo il ricorrente si duole del fatto che l'assegno era stato pagato a soggetto non legittimato, in violazione dell'articolo 43 legge ass. Con il terzo motivo è denunziato l'omesso esame di fatto decisivo, inerente al mancato controllo dell'identità del prenditore dell'assegno. Con il quarto e quinto motivo, in subordine, è denunziata la violazione e falsa applicazione degli articolo 2697, 2727 e 2729, c.c., avendo la Corte d'appello attribuito valenza probatoria ad indizi irrilevanti, senza invece valutare con i criteri di legge la responsabilità della banca. I primi tre motivi, tra loro connessi in quanto con essi si deduce, in sostanza, la violazione, da parte della banca, dei propri doveri per non aver verificato la corrispondenza del prenditore con il titolare del conto e della firma con quella dello specimen, e dunque esaminabili congiuntamente, sono inammissibili. Invero, tali motivi non attengono alla ratio decidendi poiché già il Tribunale - e con esso il giudice d'appello confermando la sua decisione - aveva dato atto della violazione dei propri doveri da parte della banca, ma aveva considerato tale circostanza assorbita dal dolo del cliente e del nonno omonimo, argomentando da un previo accordo fraudolento intercorso tra il prenditore dell'assegno e l'effettivo titolare del conto corrente, fondato sull'omonimia dei due soggetti. Il quarto ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente poiché connessi, sono parimenti inammissibili. La banca ricorrente ha criticato il valore inferenziale degli indizi su cui si basa la decisione impugnata, onde, come rilevato dal P.M., sotto la rubrica della violazione di norme di diritto vengono dedotte sostanziali censure di merito. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 2200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per il rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1quater, del D.P.R. numero 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.